Marilena Bonomo non è stata una gallerista qualunque, una brava, ma come tanti.
No, Marilena era una persona speciale, attenta, un’amante dell’arte con doti molto particolari: sapeva vedere, capire, ascoltare e, alla fine, decidere. A questo mondo ci sono ormai milioni di persone che ” si interessano” d’arte.
Meglio così, naturalmente. Abbiamo fatto tanto per diffondere e affermare un’arte oggettivamente difficile, ed ecco i buoni risultati. Oggi, rispetto agli inizi di Marilena ( 1971), il pubblico è almeno decuplicato.
Lei è stata responsabile di questa esplosione, anche se sicuramente non se l’aspettava così grande, come tutti noi d’altronde. Quando abbiamo iniziato nei primi anni Settanta, subito dopo le gallerie storiche (Castelli, Sonnabend, Schwarz, Apollinaire, Maeght, Schmela, Beyeler), subito dopo altre molto potenti: Marlborough, Elkon, Juana Mordò, Annely Juda per citarne poche, una numerosa pattuglia di nuovissime gallerie fonda e dà voce a una nuova idea, un nuovo modo di porsi. Contemporaneamente giovani critici (Szeemann, Celant, Gachnang, Kasper König, ABO, Pontus, Wim Beeren) appoggiano le nuove correnti dell’arte minimalista, povera, concettuale. Nella ” pattuglia” dei Konrad Fisher, Yvon Lambert, Gian Enzo Sperone, John Weber, Paul Maenz, Art & Project, Marilena Bonomo ci stava perfettamente. L’unico problema era che se ne stava a Bari. “But where is Bari?” le chiedevano un po’ stupiti artisti di New York che di lì a poco sarebbero diventati famosi. E lei, invece di minimizzare, riaffermava la centralità della periferia, anticipando il concetto di “Genius Loci” che anni dopo sarebbe diventato di moda. “…But where is Bari?” diventerà un logo, un piccolo tormentone, usato per pubblicità e per il suo libro dei 40 anni di galleria. Lei, che ora ci manca, come Lucio Amelio, come Ugo Ferranti, come Claudia Gian Ferrari, ci porgeva Nonas, LeWitt, Tuttle, Paolini, Boetti, Dibbets, Huebler, Icaro, Weiner, con grande semplicità. Conduceva la galleria senza la spocchia miliardaria delle supergallerie d’oggi, OGM dell’arte: no, lei la portava avanti con passione alla ricerca di un rapporto con l’artista, più che con il mercato. Da lei ho copiato molti aspetti, tra tutti il fatto che un gallerista, a differenza del mercante, ha a che fare con esseri umani e non solo con le opere. Le opere le appendi al muro e le vendi. Gli artisti no, non puoi appenderli al muro… ci litighi, discuti, fai libri e cene, mostre e pubblicità, discussioni e programmi, vai in studio da loro e loro vengono in galleria per capire che fare. Insomma, instauri un rapporto personale che, quando funziona (non sempre funziona) produce scintille, cultura, opere, libri, lettere e cartoline, (mail oggi…), produce idee. Anche Marilena ha provato, come me e prima di me, quel sottile piacere di trovarsi talvolta là dove nascono le idee. E per questi pochi attimi di felicità ha sacrificato ore a fare quell’ordinaria amministrazione che tutti noi affrontiamo, appunto, nella certezza di avere come premio quei rari momenti. Già, ma cosa resta di noi “dopo”? Rimane il percorso costruito, le idee, le battaglie per affermare un pensiero, restano i libri, le lettere, gli scritti, l’archivio, le opere invendute…. Restano i figli che continuano: un abbraccio a Valentina e Alessandra, che non stanno più a Bari…