Siamo abituati a pensare al design scandinavo identificandolo con il legno, le figure geometriche arrotondate, la pulizia formale e il nitore del disegno. In altre parole, con i maestri modernisti degli anni ’30 e ’50. Ma cosa c’era prima di loro? Questo sembra il punto di domanda che muove la ricerca di un giovane designer islandese che si sta conquistando l’attenzione del mercato francofono (e non solo), da Parigi a Losanna. Brynjar Sigurðarson nel 2009 ha compiuto un viaggio impervio per trovare una risposta a questo quesito, passando quattro settimane nel Nord-Est dell’Islanda in un villaggio dominato da ghiaccio e silenzio. Suo compagno un pescatore di squali settantenne che gli ha insegnato una tecnica di tessitura che utilizza un uncino e del filo da pesca. La sua impressione in questo apprendistato è stata di aver toccato la più profonda e autentica anima dell’artigianato nordico, quella che i pescatori si tramandano nelle loro capanne mostrando le mani piuttosto che spiegandosi con le parole. Ne è nata una collezione che dalla solitudine del paesaggio in cui è stata pensata è arrivata alla Galerie Kreo di Parigi: complementi di arredo che fanno del non-finito e dell’imperfetto il loro punto di forza. Un gioco equilibrato di parti ruvide e dettagli levigati, nel quale gli utensili da pesca — galleggianti, uncini, esche — lontano dal mare diventano gocce di colore che rallegrano un intero ambiente. Oggetti dove il filo del materiale e quello del racconto si fondono in arredi che esprimono, oltre le parole, la necessità più primordiale: quella di costruire cose utili ma anche belle. Perché i pescatori islandesi con i loro fili ci vivono e si raccontano. Da millenni, da prima che il design si chiamasse design.