Il remote sensing, è una disciplina tecnico-scientifica o scienza applicata con finalità diagnostico-investigative che permette di ricavare informazioni, qualitative e quantitative, sull’ambiente e su oggetti posti a una certa distanza da un sensore, mediante misure di radiazione elettromagnetica (emessa, riflessa o trasmessa) che interagisce con le superfici fisiche di interesse. In termini iconografici, Rodney Graham (1949, Vancouver, Canada), per la sua prima personale alla Lisson Gallery di Milano, utilizza oggetti informali e informazioni riverberate come radiazioni che si trasformano in metodi investigativi, posti a misuratissima distanza. Attore, interprete della storia dell’arte, di ritorno nel capoluogo lombardo, dopo diversi anni, Graham impersona il collocamento temporale di nuove opere d’arte nel passato, attraverso l’esplorazione addomesticata dell’assurdo, in pieno capovolgimento della logica degenerante della serialità. In questo ambito di interazione con la superficie fisica, reale del tempo ipostatizzato, Graham trova nuovi modi di rileggere pittura e scultura, arricchendo la storia dell’arte con le sue personali invenzioni.
Con More pipe cleaner art! si ripercorre, si rievoca, seppur in parte, lo studio utopico, pre-visionario di Pipe Cleaner Artist, Amalfi, 1961 (2013). Lightbox dipinto che ritrae l’artista canadese all’interno di una stanza frugale ma gremita, dalla prospettiva spianata e illuminata d’oro dal sole; ritratto desoggettivante di un Graham assorto mentre piega scovolini gli uni negli altri, formando maglie aeree compatte. L’ispirazione proviene da tre immagini distinte: il ritratto posato di Jean Cocteau realizzato da Man Ray nel 1930, nel quale il poeta lavora a una costruzione di scovolini simili a quelle realizzate per il suo film d’avanguardia Blood of a Poet; una fotografia che ritrae Asger Jorn nel suo studio di Albisola nel 1961; un’immagine di Lucio Fontana che si rilassa nel cortile del suo studio di Milano mentre sembra giocare con dei ciottoli, muovendoli su di una tela
Sculture e sagome di sé stesso a tempo, che lo ritraggono uomo del rinascimento e soggetto comico, costituiscono immagini dai molteplici riferimenti e dai rimandi visionari, mentre ogni tavola, ogni interno, ogni superficie o dettaglio di luce si verifica per celare infinitesimi riferimenti linguistici e storici che ricordano, con esattezza fulminante la lampante resa enigmatica di rebus illustrati. Così come le opere più datate, realizzate nella serie gifted amateur, che allo stesso modo prosegue il ciclo dello studio d’artista, i nuovi pezzi composti da scovolini si collocano nella convergenza tra distanza ironica, omaggio serioso e aspetto ludico, laddove il romanticismo è nutrito di pragmatismo. Come Cocteau, utilizza gli scovolini, ma la sua arte è informale, le sue influenze più contemporanee comprendono: Klein, Fontana, Manzoni. Si tratta probabilmente di un pittore nordico come Jorn (che credo sia arrivato in Italia per motivi di salute), che cerca di approdare a lavori tridimensionali attraverso l’assemblaggio, un avido sommozzatore la cui opera è influenzata dalla varietà cromatica dei coralli del Mediterraneo.
Ginevra Bria: Con la nuova mostra ‘Più Arte allo Scovolino!’, personale di debutto a Milano, alla Lisson Gallery, quali nuove idee e visioni stai introducendo in Italia?
Rodney Graham: Originariamente avevo un’idea diversa per la mostra, ma ho cambiato opinione quando ho riflettuto più profondamente sul contesto della città e sulle mie relazioni in essa. Molti anni fa ho esposto in una collettiva (con i colleghi e artisti di Vancouver Ian Wallace e Robert Kleyn) allo Studio Casoli, una galleria allora insediata nel vecchio studio di Fontana. In cantina erano conservati diversi oggetti, come: scatole e scatole di colori e svariate cose simili che non ricordo. Tra le altre, invece, c’erano copie del suo Manifesto Bianco. Inoltre ho compiuto diverse ricognizioni in giardino. Ero incuriosito, attratto dall’albero sotto il quale Fontana si faceva fotografare lavorando ad un dipinto. Questa sorta di immagine fotografica successivamente avrebbe ispirato una foto stampata su large dimensioni pochi anni fa, dal titolo Pipe Cleaner Artist. Il personaggio nella fotografia, impersonato da me, era un artista nordico (Asger Jorn, un altro modello per me, dato che la sua foto replica il suo studio ad Albisola) artista nordico che venne in Italia per lavorare negli anni Sessanta e che restò profondamente influenzato da Fontana, Manzoni, Klein e per estensione Fautrier.
GB: Come hai concepito dunque la cornice della mostra? Che cosa rappresenta la metonimia innescata dal tuo alter ego? Quale la funzione dello scovolino per te?
RG: Non credo che si tratti di un vero e proprio alter-ego o almeno io non lo conosco in tale forma. Lo scovolino (pipe-cleaner), invero, è stata un’opportunità, un’immagine creata per esplorare un certo tipo di lavoro nel contesto di quel che ho denominato prop-making. Ho già fatto questo in precedenza, con The Gifted Amateur, un lavoro che nel mostrarsi mi presenta come ad una sorta di pittore amatoriale che tenta l’evoluzione di una specie di pour painting alla Louis Morris. Ho continuato a eseguire dipinti come quello proposto dal personaggio. Volevo e ancora pretendo di lavorare seguendo un processo esterno, al di fuori della fotografia, affascinato come sono dagli effetti e dai compromessi di quella pittura che giunge tardi nella vita di un uomo. Non sono mai stato comunque realmente un fotografo –ad esempio non ho mai scattato fotografie per me stesso, o indipendentemente da un lavoro, da un progetto che dovessi portare a termine. Ho anche realizzato Prop Paintings and Other works per supportare l’immaginario dell’artista che io stesso rappresento le mio film Lobbing Potatoes at a Gong e sto perseguendo l’idea anche all’interno di un nuovo progetto ancora in lavorazione che attualmente ha il titolo di Artist in Artist’s Bar…
GB: Tra Man Ray, Cocteau, Jorn, Klein, Manzoni e Lucio Fontana, potresti cortesemente spiegare come lo statuto dell’artista e dell’arte viene messo in risalto?
RG: Ricordo ancora la prima volta che ho visto alcune ceramiche di Fontana con le interferenze degli smalti sono rimasto realmente colpito, sottomesso dalla loro originalità e dalla loro inclinazione a innestarsi con il kitsch. Ho pensato per molto tempo a questi lavori, soprattutto mentre stavo fabbricando le mie maquette di scovolino che assemblano elementi come il glitter, un materiale che è diventato popolare soprattutto di recente. Io recupero moltissimi elementi dai negozi di artigianato, ma non scovolini artigianali. Quelli veri, che mi piace acquistare li trovo all’ingrosso nelle testate dei grandi supermercati.
GB: Emergerà un aspetto differente della tua inclinazione per la psicoanalisi nel progetto che hai concepito per la Lisson Gallery di Milano?
RG: Effettivamente devo riconoscere di avere un debito di tipo paternale con gli avi che hai menzionato poco fa.
GB: Secondo te, quale versante dei tuoi ultimi lavori, della tua recente prop-making practice la musica ha toccato/trasformato? Essendo un artista tras-mediale quale espressione artistica percepisci come maggiormente tua?
RG: La musica ha schiuso, ha spalancato la mia pratica artistica verso altre possibilità, altre visioni, ma non ho mai, con successo e dedizione, integrato l’esercizio della musica all’interno del mio fare arte, se non in pochissime, rare occasioni. Rimane sempre e comunque un passatempo. C’è una canzone nel mio nuovo album intitolata Dont Give Up the Day Job. I passatempi restano comunque caposaldi, pensieri importanti. Ad esempio ho scoperto che comporre canzoni sia un pensiero davvero molto, molto complesso. Ho provato a scrivere una canzone sulla morte di Luigi Tenco per almeno quattro anni. Senza mai riuscirci del tutto. E’ successo quando stavo allestendo il mio progetto espositivo alla Studio Casoli: sono diventato maggiormente consapevole della musica popolare italiana, tra gli anni Sessanta e Settanta, attraverso anche Ornella Vanoni. Attraverso la sua voce e la sua musica ho scoperto Gino Paoli e alla fine anche Tenco che io ammiro grandemente
GB: Dunque quale nuova accezione aggiungere alla composizione di un omaggio, per un artista come te?
RG: Credo si debba sempre pensare che si stia aprendo una breccia, facendo sempre qualcosa mai visto prima.