Le superfici dei lavori appaiono delicatamente scavate, incise, portatrici di segni che ne rendono distintiva la fluidità precedente, lo stadio che ha generato piccole sculture a pavimento e a parete.Nel 2014, “Parallel Pictures” da Almanac a Torino aveva segnato il primo passaggio espositivo di Jason Gomez in Italia, forse solo anticipando, oppure presagendo l’arrivo, nelle sale di Clima di una nuova evoluzione che oggi sottende ai suoi interventi scultorei minimi. Una crescita che lascia emergere le diverse residenze – tra le quali una in India, di diverse settimane – dell’artista americano, negli ultimi due anni. A Milano, dopo una residenza di due settimane presso FuturDome, palazzo all’interno del quale l’artista ha lavorato e reperito materiali di processo, Gomez utilizza il titolo “Opsis” per presentare un piccolo teatro di componenti scultoree. La parola ὄψις, dal Greco antico, indica il teatro e l’atto di messa in scena di uno spettacolo. Il suo primo uso è stato rintracciato nella Poetica di Aristotele ed è oggi riutilizzato da critici teatrali, storici e teorici per descrivere nuovamente la rappresentazione sul palco.
Grazie all’impiego di fondali riflettenti, Gomez dispiega la rivelazione, l’apparizione della propria ricerca incentrata su forme generative, attraverso cortine che solo a pavimento offrono la profondità di scena da sempre ricercata frontalmente. Incubator (2016) e Hybrid (2016) si mostrano come reliquie, come reperti sciamanici che mantengono ombre e contrasti di un universo apocalittico, catturati da loro stessi, insistendo su un equilibrio spaziale che difende le loro volumetrie concise. Se dunque la serie bronzea di Sequential Mutation (2016) riporta l’elemento di natura all’interno di un territorio dedicato alla mimesi, sintetica e statica del mondo, lavori come Was a Tree I (2016) e Leg Log (2016) campionano alcune superfici biomorfiche per utilizzarne l’aspetto vegetale quale dubbio, inferenza di un’esistenza in natura, un tempo, prestabilita.