Una mostra concisa, essenziale e coraggiosa – in perfetto stile Pio Monti – per il suo essere concepita come dialogo schietto e serrato tra due artisti, possibile attraverso un’unica solida opera che ciascuno di loro ha appositamente realizzato per l’occasione. A corollario, un lavoro a quattro mani discreto, come un esperimento sentitamente condiviso deve essere, e prezioso per l’evidente empatia di due gesti distinti ma eccellentemente orchestrati, che portano il segno dell’uno a compenetrare quello dell’altro e, vicendevolmente, ad esaltarsi.
Giocate sull’armonia dualistica e antitetica del bianco e del nero, variazioni cromatiche che storicamente contraddistinguono l’una il lavoro di Bianchi l’altra quello di Nunzio, le due opere in mostra restituiscono la sintesi delle ricerche svolte parallelamente dai due artisti fin dagli anni ‘80, contraddistintesi ognuna per aver analizzato a fondo le potenzialità estetiche e concettuali di due materie prime quali il legno e la cera, sottoposte da entrambi all’azione “sacrificale” e metamorfizzante del fuoco, in virtù della creazione di forme nuove, pure, in grado di dialogare diversamente con lo spazio e con la luce.
La riorganizzazione dello stato originale anamorfico di questi materiali in composizioni dall’assetto linguistico compiuto avviene, nel caso di Nunzio, attraverso la costruzione di volumi più o meno aggettanti con legni combusti, o lamine di piombo, alternati spesso al pigmento puro che, come in questo caso, contribuisce a creare un effetto ottico cinetico e prospettico, della qualità architettonica che è propria del suo lavoro scultoreo. In Bianchi si traduce invece nella stesura di strati sovrapposti di cera bianca e metalli in foglia (di palladio in questo caso specifico) a tracciare sulla superficie del quadro figure geometriche rigorose e vibranti che, giocando sul dinamico alternarsi di trasparenza, opacità e fulgore, identificano una dimensione spaziale fondata sui valori proporzionali del rapporto aureo.