“Eccoi negozi!” è una rubrica di Anna Franceschini ideata per “In Residence”. Negli episodi che comporranno la rubrica, Franceschini approfondirà il tema del display, interrogandolo nelle sue diverse accezioni e traduzioni (dalla vetrina di negozio alla messa in mostra di opere d’arte), con l’obiettivo di tracciare delle connessioni tra l’atto del mostrare e quelli del guardare ed eventualmente comprare e consumare.
Nel primo episodio di “Ecco i negozi” Franceschini si sofferma sulla presenza di vetrine e display di negozio nel cinema e sulla loro valenza simbolica.
L’ultimo capolavoro del regista francese Bertrand Bonello, Nocturama (2016), dopo una prima parte letteralmente esplosiva (Parigi viene disseminata di bombe da un gruppo di individui non troppo contenti di come vanno le cose nel mondo), ci rinchiude insieme ai dissidenti in un centro commerciale chiuso. Gli addetti alla sorveglianza sono morti, ma lo sappiamo solo noi spettatori e il personaggio che li ha uccisi contravvenendo alle regole del piano, mettendo tutti gli altri in trappola. Quindi siamo a conoscenza del fatto che il futuro di questo gruppo di “nemici dello stato”, che ha messo a ferro e fuoco la città, è segnato, comunque vadano le cose. L’omicidio chiama l’età adulta, è inevitabile, non si tratta più di una bravata. Ma forse lo sanno anche i sovversivi intrappolati nello scintillante tempio del consumo, ora avvolto in una penombra altrettanto glamour. E allora che orgia della merce sia! In Nocturama si compie un atto che risuona con qualcosa di molto cinematografico: si allungano le mani laddove si dovrebbe solo guardare. Si strappa la membrana di sicurezza, invisibile ma letale, che ci separa dall’oggetto del desiderio e che generalmente viene annullata solo dallo strisciare della carta di credito.
In questo centro commerciale dove non si compra ma ci si impossessa, è tutto strano, tutto straniato. I dissidenti indossano, giocano, mangiano, invitano, sporcano, tutto “come se” – come se si stessero per sposare, come se fossero sul palco di una music hall, come se fossero in Scarface. Fiction estrema, post-spettacolo, reality show endogeno. I personaggi si guardano in televisione anche o, meglio, nelle televisioni, nella proliferazione ultrasottile a cristalli liquidi che è in mostra/in vendita, ma che mostra/vende, con un lieve scarto temporale, il mondo al di fuori – o meglio, una delle sue possibili versioni, quella dei media, dello stato, della polizia.
Se in Nocturama il display prima attrae e poi distrugge chi osa sfidarne le regole (orari di apertura e chiusura, contratto di compravendita, sistemi di sicurezza e videosorveglianza), nel videoclip di “Nove Maggio” (2017) del cantautore/rapper napoletano Liberato, il negozio della Nike è un’immagine-collirio, che s’impone su una città restituita come una cancrena di cemento che il sole non riesce a risollevare, nemmeno retoricamente. Il negozio monomarca invece restituisce ai sensi una meritata pace, con il suo display che ricorda vagamente il fronte di uno degli edifici di edilizia popolare ripresi nel video, dove ogni modello di scarpa, ogni nucleo di stile, potrebbe rappresentare un nucleo familiare. Il brand costruisce i suoi display retro illuminati per evidenziare la silhouette del campione calzaturiero e attirare lo sguardo dell’avventore. Mentre l’edilizia popolare non retro-illumina né scarpe né persone né anime. Lo shopping risolleva sempre anche l’animo più disperato, il cuore più massacrato dalle pene d’amore. Quindi la piccola, seducente, protagonista del video, che canta la canzone in lip sync, entra nel negozio e si emancipa – si retroillumina e si beatifica attraverso il rituale magico di uno stacchetto di danza.
I negozi, le vetrine, le compere compulsive, tuttavia, non riescono a risollevare l’anima della bella cantante Cleo, condannata a morte, fin dalla prima sequenza del film di cui è protagonista, Cleo dalle 5 alle 7 (1962), di Agnes Varda. Quella sequenza è costituita da una indimenticabile serie di plongée (inquadrature a piombo), riempite di tarocchi e titoli di testa. Cleo è malata, aspetta i risultati delle analisi e noi aspettiamo con lei. Durante questa lunga attesa scende per strada e passa tra gente e negozi, ma sembra non godere del piano urbanistico hausmanniano, dei passages benjaminiani, dei caffè nouvelle-vagueiani. A volte il dolore ha il sopravvento, sembra, e ci individua non attraverso una scelta di consumo. Ci consuma e basta.
Erano anni diversi, donne diverse, film e registe diverse; nonostante in America già dall’anno prima si facesse colazione davanti alle vetrine di Tiffany, con un croissant e una bevanda da asporto contenuta in una tazza probabilmente di carta, non ancora frutto di un’estrusione di styrofoam – l’hyper object che ci distruggera’.
. Splash (1984) è un film con Tom Hanks e Daryl Hannah, diretto da Ron Howard, pubescente icona televisiva anni 70 (Happy days, 1974 – 1984) e poi regista superstar, grande edificatore dell’epica americana degli anni Novanta, grazie a film quali Apollo 13 (1995). Nel film il display funziona come una lezione di linguistica o, più prosaicamente, come un corso avanzato di inglese americano. La sirena bionda, che si esprime solo grazie a suoni dai moltissimi decibel che sfondano timpani e vetri, ha un evidente problema di comunicazione con l’amato umano, Tom. Lasciata sola in casa, riesce a uscire, prendere un taxi e andare da Bloomingdale’s. Si ritrova nel reparto tecnologia, circondata da una pletora di televisori in funzione e comincia a guardare le immagini parlanti e semoventi sotto una specie di incantamento, che innesca in lei un istinto imitativo. Alla fine della giornata il sublime essere ibrido parla la lingua americana alla perfezione e sa fare aerobica.
Gli esempi di vetrine, negozi e display in quella che, dai Lumiere in poi, è la grande vetrina del mondo sono innumerevoli. Produci, consuma, crepa, ma anche impara e umanizzati. Dopotutto come scrive Anne Friedberg in Window shopping (University of California Press, 1993), siamo tutti “shoppers/spectators”; e se non possiamo permetterci tutte le cose, almeno possiamo impossessarcene via persistenza retinica.