“Ecco i negozi!” è una rubrica di Anna Franceschini ideata per “In Residence”. Negli episodi che comporranno la rubrica, Franceschini approfondirà il tema del display, interrogandolo nelle sue diverse accezioni e traduzioni (dalla vetrina di negozio alla messa in mostra di opere d’arte), con l’obiettivo di tracciare delle connessioni tra l’atto del mostrare e quelli del guardare ed eventualmente comprare e consumare.
Nel sesto episodio di “Ecco i negozi” Franceschini intervista Ippolito Pestellini Laparelli, partner di studio OMA/AMO di Rotterdam e, insieme ad Antonio Barone, curatore dell’exhibition design della mostra dedicata ai cento anni de la Rinascente, ospitata fino al 24 di settembre nelle sale di Palazzo Reale a Milano.
Anna Franceschini: La mostra per cui ti è stata commissionata la progettazione dell’allestimento, “LR100. RINASCENTE. Storie d’innovazione”, presenta non solo un archivio immenso che illustra cento anni di storia e costume italiano e milanese, ma soprattutto racconta di come i materiali che compongono l’archivio stesso, a loro volta, sono stati esibiti, nel corso del tempo, a fini commerciali nel più antico department store italiano. Credi che per alcuni aspetti il tuo intervento possa essere considerato metalinguistico?
Ippolito Pestellini Laparelli: Dipende da cosa intendi per metalinguismo. Per tutta la durata della mostra a Palazzo Reale, anche le vetrine della Rinascente, affacciate specularmente sul lato opposto di Piazza Duomo, avranno un allestimento curato da noi. In questo caso abbiamo di fatto prodotto dei teaser tridimensionali della mostra, i cui i contenuti vengono collocati nelle vetrine sotto forma di frammento e depurati da qualsiasi riflessione museografica. Si tratta di una semplificazione, forse di una teatralizzazione. Rimangono fondamentalmente messinscene di contenuti blatant, si direbbe in inglese, molto ovvi. Come se la mostra fosse stata semplificata e trasformata in una sua versione molto più accessibile e sintetica.
AF: Per quanto riguarda propriamente l’allestimento della mostra, com’è stato misurarsi con l’archivio e la storia di un department store, luogo di esibizione delle merci che fonda la propria identità sull’allestimento del prodotto?
IPL: La mostra rispecchia la logica di un grande magazzino: i visitatori entrano e, settore dopo settore, piano dopo piano (in questo caso settori e piani sono agglutinati nella teoria di stanze di Palazzo Reale) incontrano mondi nuovi. Potrebbe persino dare l’impressione di essere stata disegnata da diversi progettisti, data la singolarità di ogni stanza.
AF: Come se ci fosse un rapporto con la merceologia, come per i settori di un grande magazzino?
IPL: Forse non tanto un rapporto diretto con l’aspetto merceologico del grande magazzino, quanto la volontà di aderire allo spirito che ne disegna lo spazio, il tentativo di non essere lineari né omogenei nel concepire lo spazio della mostra così come avviene nella geografia dei grandi magazzini.
La storia allestitiva e di comunicazione del prodotto della Rinascente è molto articolata.
Dagli anni Cinquanta fino agli inizi dei Settanta gli allestimenti erano volutamente ricchi, eclettici e non lineari. Abbiamo aderito a questo spirito d’invenzione.
AF: Nonostante in conferenza stampa tu stesso abbia affermato di non riferirti ad alcun linguaggio in particolare, vorrei sapere se ci sono alcuni riferimenti che ti hanno ispirato.
IPL: In effetti non ho fatto riferimento a linguaggi, ma piuttosto a idee. Per citare alcuni esempi, la sala dedicata alla grafica riprende in maniera palese l’allestimento che Lina Bo Bardi ha disegnato per il MASP di San Paulo nel 1968; mentre la sala immediatamente precedente, dove sono state raccolte, per mano di una delle due curatrici, Sandrina Bandiera, le opere di artisti che hanno avuto un rapporto più o meno diretto con la Rinascente, è stata pensata come un depot della grande di distribuzione, oltrepassando persino il concetto di departement store e della Rinascente stessa, per rivolgersi a una formalizzazione spaziale propria dei luoghi deputati ai grandi consumi. Quest’operazione può essere interpretata come un tentativo di demistificazione dell’arte.
Aneddoti emersi nella fase di ricerca sono stati altri nuclei da cui sono sorti gli allestimenti delle altre sale. Abbiamo recuperato i poster originali realizzati da Marcello Dudovich da un magazzino della Rinascente, condizione che ha generato per converso, un desiderio di elevare le opere di grafica pubblicitaria al rango di “arte”. Per l’allestimento di questa sala bbiamo adottato la struttura di uno storage museale per disegni e opere su carta, un box a cassetti verticali. Qui si è riflettuto sull’idea di un vero e proprio magazzino dell’arte.
Gli interventi di natura digitale sono fondamentalmente due: il primo è un archivio immersivo nella seconda sala che illustra la dimensione della vastità dei materiali raccolti in tre anni dalla curatrice Maria Canella e dal suo gruppo di lavoro; il secondo, sotto forma di proiezione, situato nell’ultima sala (quella del “presente”), è costituito da un algoritmo sviluppato ad hoc per la Rinascente che mostra in tempo reale la produzione di immagini Instagram con hashtag #Rinascente100 o altre categorie riconducibili ad essa (#Rinascente, #RinascenteMilano, etc) rovesciando la prospettiva del mostrare se stessa comunicando invece la visione della Rinascente da parte della sua comunità – i visitatori e i clienti.
Le sale hanno storie e identità indipendenti che nascono dal processo creativo, oppure da precise intenzioni narrative. Inizialmente abbiamo ipotizzato un masterplan a partire dai materiali a disposizione, per veicolare alcuni concetti a noi cari e che ritenevamo efficaci per rappresentare design, arte e grafica. La base di partenza è stata implementata nel tempo grazie ad aneddoti scaturiti dal processo di creazione.
La mostra però non segue un’evoluzione cronologica. La cronistoria della Rinascente è esibita nella prima sala.
AF: Le intenzioni narrative costituiscono comunque una trama, un canovaccio?
IPL: No, non necessariamente. Si tratta di un collage d’identità, che lascia il visitatore volutamente spaesato.
L’ambiguità è la forza di questa storia. Se venisse a mancare il marchio “La Rinascente”, se si estrapolasse il comparto commerciale, rimarrebbe comunque la ricchezza dei materiali, che costituisce una forza del tutto indipendente e renderebbe la mostra in grado di supportarsi da sé.
Non abbiamo mai mostrato il prodotto, se non nei display delle vetrine della Rinascente; che, però, essendo modelli in scala ridotta hanno recuperato una distanza critica che li rende quasi opere d’arte. Abbiamo tentato di demistificare l’immagine di “ tempio del consumo”; ne esce fuori un’identità diversa, quasi un’università sperimentale della modernità europea.
Il cinema costituisce una messinscena del contesto reale della Rinascente e contestualizza tutti gli elementi della mostra mostrandoli simultaneamente.
Ma credo che sia fondamentale ribadire che la mostra non avrebbe avuto luogo senza l’incredibile costruzione dell’archivio – in realtà un archivio di archivi, raccolte private o meno personali di chi ha avuto a che fare, in un modo o nell’altro, con la Rinascente.
AF: Mi sembra interessante che sia stato creato il sito web consultabile (archives.rinascente.it), che contiene tutto il materiale raccolto, in forma consultabile – una sorta di vetrina definitiva, il mostrarsi del department store al grado zero, o grado infinito.
IPL: L’aspetto fondamentale del progetto web è la potenziale estensione illimitata. Tutti possono contribuire e la piattaforma è autogenerativa. Per esempio, uno spettatore, visitando la mostra, potrebbe ricordare di possedere un documento raro, raccolto in Rinascente negli anni Sessanta e potrebbe decidere di condividerlo. E così via.
AF: Le sale di Palazzo Reale, nella loro magnificenza decorativa, risultano spesso difficili e invadenti. Quanto lo spazio ha influito sulla progettazione e realizzazione dell’allestimento?
IPL: Ci sono state fatte molte concessioni rispetto alla tutela e preservazione degli ambienti e sono molto grato per questo. Ogni stanza, rispetto allo spazio preesistente, ha un atteggiamento diverso. La sala dell’arte, ad esempio, è la costruzione di una parete ulteriore, intorno ai muri della stanza, una scaffalatura in metallo che avvolge l’intero perimetro e funge da supporto per le opere, lasciando intravedere solo parzialmente i decori murari originali. A volte si tratta invece di uno spazio completamente immersivo come il diorama; altre si tratta di un solo oggetto nello spazio, come nel caso della sala dedicata a Dudovich.
I registri cambiano a seconda del formato che i contenuti vogliono richiamare, indipendentemente dalle stanze; non era nostra intenzione favorire una strategia di omogeneità per la mostra. Temi, narrative e contenuti hanno dato forma alla mostra, paso dopo passo e parallelamente tra loro. Per questo a volte Palazzo Reale si vede e altre volte no.
AF: Se mi permetti di ampliare la rosa di argomenti della nostra conversazione, vorrei fare un piccolo salto indietro, ma non troppo. Come studio di architettura, vi siete trovati a lavorare con clienti molto diversi tra loro, quindi non vi siete occupati solo di allestimenti di mostre d’arte, ma probabilmente vi siete trovati anche ad allestire un prodotto vero e proprio, compito che m’interessa molto concettualmente e che trovo profondamente legato a questa mostra.
IPL: …la messinscena
AF: La messinscena, appunto: ovvero, uno degli aspetti cruciali per il buon esito di un’impresa commerciale rivolta a un grande pubblico – come la Rinascente – dove il grado zero della negoziazione, la compravendita, è immerso in un enorme spazio finzionale. M’incuriosisce come un architetto si relazioni con la messinscena di un negozio, di un dispositivo di consumo.
IPL: È fondamentale partire da una forma di critica intelligente. Il retail ha regole estremamente precise che spesso non condivido, e che, come studio, cerchiamo di reinventare, modificandone le meccaniche. È necessario capire che margine si ha per la reinvenzione di queste regole. Può essere molto difficile, a volte quasi impossibile.
L’anno scorso abbiamo realizzato una piccola gioielleria in Place Vendôme a Parigi. L’aspetto più sorprendente è che entrando nel negozio si può avere una configurazione in cui il prodotto non è presente, è completamente nascosto, quindi si ha uno spazio libero e in un’area di Parigi come Place Vendôme, dove ogni centimetro quadrato è straordinariamente costoso, si tratta forse del più forte statement sul lusso che si potesse fare: il vuoto.
Vuoto che viene però subito ammortizzato, perché lo spazio vuoto può essere utilizzato in molti altri modi. È stata una maniera di reinventare una meccanica. Tutto dipende dal dialogo con il committente, ma frizioni molto forti possono rendere il progetto ancora più interessante.
La re-invezione della messinscena può avvenire in molti modi, dai materiali, all’approccio più o meno intimo con il prodotto, fino alla narrativa.
A volte i prodotti vengono raccontati efficacemente più da storie che sono legate dalla loro produzione che da se stessi. In questo caso si sposta la significazione e non si tratta nemmeno più di architettura. Spesso in fase di progettazione si tende ad indagare solo la configurazione dello spazio, e non l’universo di informazione che un prodotto puo’ rivelare. Nel nostro studio cerhiamoc di mettere a sistema narrativa e disegno dello spazio. E’ un’operazione quasi teatrale.
Tornando alla mostra, ci tengo a sottolinearne l’aspetto europeo, accanto a quello milanese. Negli anni Cinquanta il department store meneghino era in costante comunicazione con gli altri contesti culturali al difuori del paese: dall’Europa agli Stati Uniti . I grandi magazzini realizzavano vere e proprie mostre dedicate ai paesi limitrofi, la Francia sull’Italia e viceversa, per esempio. L’osmosi era continua e avveniva in piattaforme di scambio privilegiate, situate in capitali di grande richiamo e impatto. I grandi magazzini erano porte sul mondo, accessibili a tutti.
Il made in Italy, di cui la Rinascente è stata promotrice e divulgatrice è anche made in Europe in quanto influenzato internazionalmente. Il grande magazzino fa pienamente parte di un progetto europeo.
AF: I grandi magazzini come delle piccole Esposizioni Universali o dei piccoli diorami…
IPL: Esposizioni Universali costantemente aperte.
AF: …e costantemente rinnovate.
IPL: Ho progettato un department store a Venezia recuperando un edificio del XVI, il Fondaco dei Tedeschi e, ne sto ristrutturano uno a Berlino, il Kaufhaus des Westens. Quindi pensare tutto ciò come sistema, includendo anche la mostra su la Rinascente, per noi è naturale. Tutto nella mostra va inteso in maniera comparativa, dal super-locale al globale – come abbiamo tentato di fare nel display della prima stanza, dove viene tratteggiata la storia della Rinascente in relazione agli eventi della storia italiana ed europea.
AF: Un’ultima domanda. Se il consumo ha bisogno di una messinscena dello spazio intorno a sé per attivarsi, come vi relazionate con la costruzione dello spazio intorno a un’opera d’arte che, di solito, per attivare la propria monumentalità, necessita di sottrazioni e assenze, del vuoto intorno a sé?
IPL: È difficile trovare dei momenti in cui si attuano vere e proprie negoziazioni tra artisti; ognuno, come dicevi, vuole essere rappresentato in maniera monumentale. Questa non è la realtà. La realtà è fatta di compromessi e negoziazioni. “When Attitude Becomes Form” di Harald Szeemann ne è forse il miglior esempio. Non penso che quello spirito si sia esaurito, anzi, ma a causa di alcune ragioni di mercato è sempre più difficile sperimentare attraverso la negoziazione dello stesso spazio da parte di diverse identità – quando nel mondo questo avviene costantemente ed è quasi una necessità.