“Siamo arrivati” è il titolo della prima personale italiana dell’artista americano Wade Guyton. Un titolo orecchiabile e ironico tratto dallo slogan pubblicitario di Mc Donald’s che in questo modo annuncia l’apertura dei suoi punti vendita a Napoli. Ragionare sul perché Guyton si appropri di una strategia di marketing è un primo passaggio necessario per entrare nelle dinamiche dell’esposizione, generosamente allestita lungo tutto il terzo piano del museo. Il progetto espositivo si presenta infatti come il risultato di un lavoro di analisi del contesto e una progressiva appropriazione da parte dell’artista del DNA del territorio. La mostra è, d’altra parte, il risultato di un periodo di residenza dell’artista e del suo team a Napoli durante il quale la solida pratica artistica – che vede Guyton realizzare opere a partire dall’accumulo di immagini digitali, processate da programmi Photoshop e Word e poi stampate attraverso stampe a getto d’inchiostro –, ha riversato la sua attenzione ossessiva e bulimica sul valore culturale di alcuni simboli partenopei. Nella mostra una serie di opere di grandi dimensioni riproducono le prime pagine del quotidiano Il Mattino, richiamando le riproduzioni del medesimo quotidiano (del 29 novembre 1980) realizzate da Andy Warhol. A queste si alternano ingrandimenti sgranati di busti e frammenti di statue e siti archeologici. Postproduzione e montaggio sono dunque gli strumenti della pratica dell’artista che decontestualizza il frammento per poi ricomporlo entro un diverso sistema di riferimenti e valori culturali.
In questa prospettiva la mostra è una scorrevole studio visit, dove l’artista sceglie di sovrapporre lo spazio di produzione a quello di esposizione: vediamo allora le stampanti, i nastri di stampa, le tracce del lavoro del suo team. Il pre-moderno atelier d’artista diviene qui un luogo dedicato al lavoro intellettuale, che non solo accoglie ma rappresenta una precisa tipologia di pratica artistica, di produzione materiale e di identità creativa.