Nel 2012, dopo sei anni di permanenza a Berlino, Keren Cytter si trasferisce a New York e fonda una rivista trimestrale specializzata in arte e poesia. Pubblicata da APE (Art Projects Era), fino ad oggi la rivista ha presentato lavori, fra gli altri, di Nora Schultz e John Kelsey accompagnati da testi e saggi di Josef Strau, Matthew Dickman, Roman Baembaev, Roger van Voorhees e Sylvia Mae Gorelick. A ottobre 2015, Cytter e Schultz pubblicano Terminal, un’antologia di associazioni mono-digitali e narrative iconografiche che scardinano i codici di autorialità, sorveglianza, censura, copyright e documentazione.
Armonizzate da questa esperienza, solo in principio editoriale, Cytter e Schultz riversano, nella galleria Raffaella Cortese di Milano, un’estensione territoriale dei loro avvicinamenti distinti. Un ambiente integro e discontinuo, tutelato da trasposizioni analogiche, compromessi narrativi e riletture chimeriche delle relazioni umane, dal titolo “Continental Break”, una mostra riunificata all’interno di tre sedi espositive. Fino in fondo, una pianificazione di geografie congiunte, più che una doppia personale.
Posizionato sulla parete perimetrale verso strada, nello spazio del civico 7, l’opera a quattro mani Metamorphosis screen space (2017), sprofonda attraverso sette cortine che delimitano una scultura e una proiezione video, presentandosi come una sonda di densità e di relazione. L’installazione è inserita all’interno di un corridoio prospettico concepito da Schultz la cui superficie separa le immagini del video di Cytter, quasi a far seguire loro un nuovo montaggio, e diversi piani di avvicendamento. Reminiscenza opposta, rispetto al tessuto regolare di MOP (Museum Of Photography), del 2013, apparentemente ampliato dall’uniformità luminosa dello spazio del civico numero 4. Un archivio costituito da centinaia di polaroid scattate in ogni momento della giornata, da ogni angolatura, in un solo anno (dal 2012 al 2013) da Cytter, durante gli spostamenti da Berlino a Israele, da New York a Londra. In ultimo, al civico numero 1, Schultz delinea un baricentro errante tra scultura e disegno, posizionando Tripod – City of teeth (2016) e Sci-fi-interview (2013) come segnali sviati di una forma che trascende. In questa unica sala, Schultz trattiene l’intera radicalità di Continental Break, rimarcando la portata di ogni singola, dissolta, identità individuale.