Hito Steyerl, durante la chiusura del simposio sull’Intelligenza Artificiale¹ tenutosi il 12 dicembre 2018 al Castello di Rivoli di Torino, cita un accadimento relativo a Leonardo da Vinci: questi, agli inizi del 1500, inventa una macchina del tutto simile all’odierno sottomarino, ma non la realizza e non ne fa parola con nessuno. Leonardo riteneva l’arma diabolica e pericolosa, e forse per questo motivo i suoi disegni sono resi intenzionalmente vaghi e indistinti. Il progetto si trova nel Codice Atlantico ed è stato scoperto solo di recente, dopo il restauro digitale della raccolta di volumi.
Questo fatto permette di introdurre i temi trattati nell’ambito di “Il resto dell’immagine”, il terzo workshop del ciclo Q-Rated de La Quadriennale di Roma, organizzato dalla direttrice Sara Cosulich e dal curatore Stefano Collicelli Cagol. Suddiviso in tre intense giornate, ha visto come tutor Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Castello di Rivoli, e Sofía Hernández Chong Cuy, direttrice del Witte de With Center Contemporary Art di Rotterdam. Il terzo giorno gli artisti e i curatori selezionati hanno partecipato al simposio sull’Intelligenza Artificiale organizzato dal Castello di Rivoli e curato da Hito Steyerl, con Carolyn Christov-Bakargiev, Jules Laplace, Esther Leslie, Anne Roth, Eleanor Saitta, in occasione della personale di Steyerl “The City of Broken Windows”, a cura di Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio.
La mostra si compone di due video, due testi e due installazioni che dialogano idealmente tra loro attraverso tutti i 140 metri della Manica Lunga del Castello tramite un audio che mescola tra loro i suoni dei video con una traccia di vetri infranti realizzata da Jules Laplace usando un sistema di AI.
Il video più vicino all’ingresso documenta l’attività di una serie di ingegneri che rompono vetri per fare apprendere ad una intelligenza artificiale il rumore delle finestre infrante; l’altro documenta l’attività di Chris Toepfer, un veterano di guerra che dipinge pannelli per tamponare finestre rotte in quartieri disagiati per aumentarne il decoro urbano. Il testo sulla parete sinistra, “The City of Broken Windows”, descrive una città in cui l’atto di rompere i vetri porta energia e prosperità, mentre quello di destra, “The City of Unbroken Windows”, una città in cui la rottura di una finestra porterebbe sofferenza e disgrazia. Ciascun testo ha un apparato di note che crea un discorso parallelo rispetto a quello principale: nel primo assistiamo a quello che può essere il collasso del riverbero che permette alla AI di imparare dal mondo, mentre nel secondo abbiamo una serie di citazioni tratte da Ciò che si vede e ciò che non si vede di Frédéric Bastiat che compongono un’accusa al liberalismo e alla necessità per cui i beni prodotti devono per forza diventare obsoleti o rompersi per poterne così comprare di nuovi.
“The City of Broken Windows”, sia sul piano formale che su quello concettuale, tratta di trasformazioni, processualità circolari, dialoghi tra realtà distanti che si alimentano e modificano interagendo le une con le altre. Quasi a richiamare l’impostazione della mostra di Steyerl, entrambe le giornate del workshop sono state strutturate sulla base di un dialogo e un confronto tra le tutor e i partecipanti; a partire dalla presentazione di questi, la tutor rispondeva con un commento o un discorso strettamente legato alle tematiche delle ricerca artistica o curatoriale appena introdotte, a cui si aggiungevano gli interventi dei presenti.
Numerosi sono gli argomenti trattati da Carolyn Christov-Bakargiev nella prima giornata di workshop. In particolare la direttrice si è soffermata su possibili scenari distopici, affermando provocatoriamente che in un futuro in cui il lavoro sarà svolto quasi unicamente dalle macchine occorrerà pensare a come evitare che le persone, sentendosi ormai inutili, si tolgano la vita. Tra i possibili strumenti capaci di dare una motivazione all’esistenza, Christov-Bakargiev inserisce l’arte, le attività creative e l’economia dell’attenzione. La direttrice ha inoltre fornito un particolare punto di vista sulla mostra di Steyerl, descrivendola come un lavoro di Arte povera in cui una low-tech esplora il potere di una hi-tech. Nel pomeriggio lei e Marianna Vecellio hanno condotto una visita guidata a “The City of Broken Windows”, svelando alcune curiosità sul progetto: per esempio, questa è la prima volta Hito Steyerl impiega nella stessa opera video e testo, i due media su cui principalmente lavora, e che i due testi in mostra sono i più brevi che l’artista abbia mai scritto. La direttrice ha paragonato il percorso di mostra al caricamento di un’immagine web, che lentamente si compone acquistando definizione.
Nella seconda parte del pomeriggio Christov-Bakargiev ha descritto come il mondo si trovi diviso in tre diverse civiltà digitali – inglese, cinese e spagnola – e le difficoltà e i maggiori sforzi a livello comunicativo li sostengono coloro che si trovano nelle fault lines, le zone di confine che dividono queste macro-aree linguistiche – interstizi fertili per la nascita di nazionalismi e populismi. In uno dei passaggi conclusivi della giornata ha descritto il white cube come uno spazio nato come reazione agli orrori della Seconda guerra mondiale, e come la nascita dell’arte contemporanea sia legata all’ossessione per l’hic et nunc, per l’istante in cui tutto cambia, come reazione al lancio delle bombe atomiche.
Le attività proposte da Sofía Hernández nella seconda giornata, sempre improntata sul dialogo con e tra i partecipanti, prendono ispirazione da due libri. Il primo, da cui è nata la struttura del workshop del mattino, è Notes on Glaze (Cabinet, New York 2016) di Wayne Koestenbaum, una raccolta di testi scritti dal poeta per la rubrica “Legend” di Cabinet Magazine in cui veniva invitato, ogni tre mesi, a scrivere una o più didascalie per una immagine che gli veniva sottoposta dagli editor della rivista, senza che gli venissero fornite informazioni su autore o provenienza. Nel workshop ad ogni partecipante è stato chiesto di descrivere un’immagine per lui/lei importante, e poi scrivere un testo descrivendo quest’ultima come se fosse una foto. Lo scopo era di sottolineare che un curatore, a differenza di un artista, ha la responsabilità di dare un senso alle opere e alle loro immagini – un senso che valga non tanto per se stesso quanto per il mondo intero.
Il laboratorio del pomeriggio era invece ispirato al saggio “Wall Text, 2003/6, Ink on paper, Courtesy the author” (in What makes a great exhibition?, ed. Paula Marincola, Philadelphia Exhibition Initiative 2006) di Ingrid Schaffner, che come si evince dal titolo, tratta dei dispositivi didattici, dai leaflet alle didascalie, e in particolare della loro storia. L’attività consisteva nel dividere i partecipanti in quattro gruppi, a ciascuno dei quali veniva proposto di scrivere una nuova didascalia per una delle opere della collezione permanente del Castello, per poi esporla e commentarla. Lo scopo era allargare le conclusioni del primo workshop al momento in cui il significato esposto da un curatore o un artista incontra il pubblico, con particolare attenzione a ciò che rende rilevante e attuale questo significato.
Nella terza giornata, ad apertura dei lavori per il Simposio sull’Intelligenza Artificiale, Hito Steyerl ha citato Cesare Lombroso, un personaggio molto discusso della storia di Torino, a cui la città ha dedicato uno dei suoi musei più inquietanti. Lombroso, con le sue ricerche ispirate dalla fisiognomica, dal darwinismo sociale e dalla frenologia, riteneva che la fisionomia e le caratteristiche anatomiche di un criminale fossero differenti da quelle degli altri individui, e che il crimine fosse una patologia ereditaria².
Per Steyerl Lombroso potrebbe assumere il ruolo di santo patrono dell’attuale discorso sulla facial recognition e il machine learning, citando il lavoro di Xiaolin Wu e Xi Zhang³.
L’artista, a conclusione dei lavori, ha parlato di un suggerimento che ha dato a Google. L’azienda le aveva chiesto un parere su quale tipo di Intelligenza Artificiale avrebbe dovuto sviluppare, e lei ha suggerito di costruire un dispositivo che fosse in grado di rispondere ad una semplice domanda, ispirata ad uno degli interrogrativi inutili posti durante il Medioevo⁴: “quante Intelligenze Artificiali possono ballare sulla punta di uno spillo?” A differenza degli angeli delle rappresentazioni medioevali, secondo l’artista le AI hanno un’ombra, e sono le entità che vivono sotto forma di App nel nostro smartphone, di Chat bot, ma anche in forma delle molte implicazioni portate dalla burocrazia automatizzata che stanno riorganizzando la società in una veste più ineguale, reazionaria e frammentata.
Per Steyerl, un’ideale AI potrebbe rispondere alla sua domanda asserendo di non saper ballare, e quindi di non essere in grado di concepire una coreografia per gestire le sue stesse implicazioni.
Una tecnologia usata per automatizzare le interazioni sociali creerebbe solo più problemi. L’artista ha chiuso il suo intervento e il Simposio esprimendo l’augurio che chiunque in questo momento stia progettando una AI abbia la coscienza di fare con il suo progetto ciò che Leonardo fece con quello del suo sottomarino: nasconderlo e dimenticarsene, con la speranza che nessuno ne parli per i prossimi cinquecento anni.