Progetto – il nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea curato dall’artista statunitense Jamie Sneider – ha inaugurato la sua attività a Lecce con “fortaleza”, la prima mostra personale in Italia di ektor garcia (Red Bluff, California, 1985). Nei quattro ambienti che compongono la galleria, l’artista americano ha esposto un corpus di lavori concepiti tra il 2018 e il 2019 e una significativa produzione scultorea realizzata in Puglia durante la residenza che ha preceduto l’opening.
Le tecniche utilizzate suggeriscono un uso intensivo della materia e rivelano al contempo l’umiltà del gesto che si piega ai tempi di lavorazione. È il ritorno alla sfera del corpo sensibile che imprime, innesta, intreccia, inevitabilmente legato all’impossibilità di replicare in maniera identica una stessa azione, data la contingenza del vissuto.
La terracotta è restituita in forme organiche, con trame che hanno impressa una memoria gestuale. Nascono, infatti, dalla pressione del pollice che trascina la materia verso il basso, rendendo esplicita la necessità di scavare visceralmente verso le cose. Questa indole affiora anche nelle sculture in ceramica smaltata in cui echeggiano, con un ulteriore riferimento all’anatomia umana, accenni simbolici a intestini, uteri e vagine.
L’argilla si configura inoltre in catene di grandi dimensioni che, imponenti nello spazio ma vulnerabili e fragili nella loro realtà tangibile, palesano il carattere dicotomico della ricerca dell’artista. Gli intrecci modulari di rame o filato di canapa tessuto a uncinetto, invece, sono lavorati dando forma a indumenti che richiamano nell’immediato il concetto sociologico di Habitus, quell’elemento strutturato e strutturante alla base di una comunità, capace di trasferire indelebilmente nell’individuo gli schemi interpretativi del pensiero, dell’azione e della percezione, garanti della sua stessa riproduzione sociale e culturale.
È qui che risiede la forza politica della ricerca di Ektor Garcia, ovvero nella capacità di restituire l’immagine di un linguaggio minore, elevando esteticamente la ripetizione di un gesto solito alla narrazione del vernacolare e del femminile. Riportando il lavoro a un livello primario di sapienza, strettamente connesso all’intimità del corpo e alla sua memoria muscolare, l’artista rivela un ritmo primordiale, rituale e terapeutico dell’azione, in grado di trascinare la memoria individuale in uno stato liminale, con l’intenzione di esorcizzare alcune dicotomie – maschile-femminile, interno-esterno, dominazione-sottomissione, pubblico-privato – insite nella sfera domestica e quotidiana.