Circondato dalla bellezza fin dai primi passi, Marco Panconesi realizza gioielli simil-fossili contemporanei, avvolgendoli di colore e mistero. Nascono così creazioni originali e originate da una ricerca antropologica, di un sapore antico ma mai desueto.
Gea Politi: Konstantin Grcic, Ettore Sottsass o anche designer come Alba Polenghi Lisca hanno realizzato oggetti che potevano essere utilizzati sia come gioielli che occupare uno spazio, e avere una forma propria, come delle sculture. Un rapporto spesso sottile e indefinito tra design, moda, arte, artigianato. Come definiresti il tuo approccio, e come nascono le tue creazioni?
Marco Panconesi: Fin da quando ero bambino, mi sono ispirato a oggetti bellissimi. Mia cugina era un’artista e pittrice, andavo spesso a trovarla nel suo atelier. Mia nonna aveva una incredibile collezione di gioielli, ricordo che guardavo e studiavo attentamente le sue cose. Mio nonno era insegnante di scuola e falegname, quindi lo guardavo costruire mobili nel suo laboratorio in Toscana. Sono cresciuto nella casa di campagna a Firenze in mezzo alla natura. Inizialmente volevo fare l’archeologo perché pensavo che fosse un modo diverso di essere creativi… scoprire magnifici manufatti che hanno superato la prova del tempo.
L’aspetto del gioco è molto importante nella mia pratica. Sono ispirato dalla sperimentazione del colore di Ettore Sottsass e Gaetano Pesce e al ripensamento radicale di ciò che può definirsi design. Mi ispiro tanto al passato quanto al futuro. Sono cresciuto studiando letteratura greca e latina, ed essendo fiorentino, sono ispirato sia dalle influenze e dagli oggetti di epoca etrusca e rinascimentale. Vedo tutto collegato. Cerco di trovare modi interessanti per fondere tecniche tradizionali con nuove tecnologie o materiali moderni per creare qualcosa di unico. Penso ai gioielli come a uno spettro di object design.
GP: Da cosa e da dove parti nel processo di realizzazione? Pensi prima al materiale oppure al design, o sei guidato dalle sensazioni?
MP: Sono sempre attratto dal colore prima di tutto. Il colore per me è qualcosa di emotivo e personale. Sperimento specialmente con toni naturali di pietre e gemme, e poi gioco con quelli artificiali. I materiali sono importanti per integrare le diverse sfumature. Con le pietre ibride, volevo creare una pietra che sembrasse provenire da un altro mondo, dove la consistenza delle gemme e la naturalezza della tinta, si fondono con lo smalto cangiante. Inoltre, adoro sperimentare con tecniche e materiali tradizionali per poi creare oggetti contemporanei. Collaboro con un laboratorio a conduzione familiare in Italia, che creano gioielli da generazioni. A volte mi capita di proporgli un progetto incomprensibile, a tratti irrealizzabile, ma alla fine riusciamo sempre a trovare una soluzione utilizzando tecniche sperimentali. Alla fine ci sorprendiamo sempre dal risultato, riusciamo a creare qualcosa di inaspettato.
GP: Firenze, la città dove sei nato e dove ti sei formato, è ricca di storia, arte e artigianato, ma anche moda. Adesso vivi a Parigi. Dove trovi l’ispirazione?
MP: Firenze è una città dove si cammina come all’interno di un museo. Infatti è presente una forte consapevolezza dell’artigianato e della tradizione, ma anche un senso di leggerezza. Vive una colorata esuberanza italiana che personalmente trovo davvero stimolante. Mi piace anche l’energia di Parigi dove vivono e lavorano diversi miei amici. Molte delle nostre conversazioni finiscono per diventare un progetto creativo su cui collaboriamo.
GP: Hai realizzato un progetto editoriale molto potente in Marocco. Quel è il tuo rapporto con la fotografia e con il video? E con la carta stampata e le riviste?
MP: Durante il mio viaggio in Marocco ho passato la maggior parte del tempo a scattare fotografie. Al rientro a Parigi ho deciso di creare un diario che catturasse non solo il processo tecnico e creativo della collezione Alchemy SS21, ma anche la natura che ci circondava durante il viaggio e cosa mi ha ispirato a idearla. In tutta onestà non sono un buon editore, perciò mettere insieme un diario è stato davvero complicato, non riuscivo ad escludere nessuna fotografia! Il processo lavorativo con il direttore artistico Antoine Roux e l’agenzia di comunicazione Native Agents di New York è stato molto divertente. Siamo riusciti a creare qualcosa di fisico da poter sfogliare, catturando nel tempo un luogo magnifico.
GP: Dopo tante collaborazioni con brand importanti, cosa ti ha spinto a fondare il tuo? Quale è stato il primo messaggio che hai dato per differenziarti?
MP: Non sentivo il bisogno di differenziarmi, le collezioni che ho sviluppato con altri marchi come Mugler e GMBH sono il risultato di collaborazioni molto naturali. Il processo è stato davvero facile, ho avuto molta libertà creativa. Quando ho avuto l’idea di realizzare gli Upside Down Hoops, ho capito che era qualcosa che volevo tenere per me. La linea d’oro semplice e fluida esprimeva una filosofia importante nella creazione di gioielli e oggetti, ovvero il movimento e la trasformazione. I gioielli diventavano un’estensione di chi li indossava. Era sia tecnica che estetica.
GP: Hai mai pensato a collaborare con artisti o altri creativi? Se non sul prodotto, sulla narrazione?
MP: Ho collaborato con molti dei miei amici e anche con la mia famiglia. Georgia Pendlebury e Lea Colombo, stilista e fotografa, sono state entrambe parte integrante della crescita del marchio. Lavoriamo a stretto contatto per creare immagini che esprimano l’identità del brand. L’estate scorsa sono andato in Toscana per realizzare un film con i membri della mia famiglia. Il processo è stato cosi speciale ed emozionante per me, che la collezione ha assunto un altro significato. Lanceremo il film il mese prossimo con il regista Grégoire Dyer. Non vedo l’ora di espandere le mie collaborazioni al di fuori della moda, verso il design industriale. In passato, ho già disegnato un vaso, mi stimola lavorare con mezzi diversi, che si tratti di ceramica o di vetro.
GP: La pandemia, e la rivoluzione che ne è conseguita, come ha influenzato il tuo fare e il tuo business? Che relazione hai con il mondo digitale?
MP: La pandemia mi ha costretto a rallentare e respirare. Dopo il lancio della collezione FW20, io e il mio compagno Jordan avevamo programmato di andare in Marocco solo qualche settimana, ma si è trasformato in un soggiorno di tre mesi a causa del lockdown. Ho avuto molto tempo a disposizione per riflettere e ascoltare. Prima consideravo il tempo come un nemico, ma quando ti fermi e inizi ad ascoltare ciò che l’universo ti sta dicendo, anche il tempo si ferma. Questa stagione stiamo per lanciare il nostro sito e-commerce in modo che i nostri clienti possano acquistare direttamente da noi. Voglio iniziare a usare la piattaforma come spazio per lanciare collaborazioni speciali o progetti in evoluzione.