Per la sua sesta personale da Alfonso Artiaco (le precedenti risalgono agli anni 2005, 2009, 2014, 2018 e 2021), Giulio Paolini propone otto lavori, di cui sei realizzati per l’occasione, unitamente a diversi collage. Paesaggi e vedute trovano ospitalità negli spazi della galleria: dimensione realistica e metafisica, naturale e immaginaria coesistono felicemente nel percorso espositivo. Non per caso questa mostra ha luogo proprio a Napoli, la città che vanta bellezze storico-artistiche e naturali in felice armonia. “Da qualche tempo ho preferenza per temi e occasioni espositive in Italia. La progressiva dilatazione delle frontiere culturali, certamente utile alla conoscenza reciproca delle diverse esperienze è però un limite all’autentica corrispondenza di un’opera con la propria storia. Qui allora echi e memorie di autori, lontani parenti di questa mia nuova (o antica) stagione. Un petit-tour in sei stanze: un mondo meno vasto ma più prezioso”, dichiara Paolini a proposito dell’esposizione.
Il percorso espositivo è una promenade che spazia dal dettaglio paesaggistico alla cosmologia universale, una passeggiata concettuale tra vedute senza tempo.
Nella prima sala l’opera Detto (non) fatto, 2010, presenta quindici teche ordinate in tre file che contengono ciascuna un frammento dello scritto dell’artista Detto (non) fatto. Ciascuna teca contiene inoltre uno o più frammenti lacerati di riproduzioni fotografiche di mari o cieli, disposti a evocare un panorama marino, con la linea d’orizzonte in corrispondenza dell’altezza dello sguardo: nella metà inferiore della teca i particolari sono desunti da immagini pittoriche di mari (anche il Golfo di Napoli), mentre in quella superiore di cieli (tersi in alto, più annuvolati in prossimità della linea d’orizzonte). Tanto i particolari di immagine quanto quelli di testo allontanano all’infinito la visione o la decifrazione di un’unità compiuta, invitando piuttosto alla riflessione sul gesto stesso di mostrare o rivelare qualcosa di assoluto nello spazio deputato all’esposizione di un’opera d’arte.
A F. de P., 2023 riproduce l’opera Conchiglia,1933, di Filippo de Pisis, applicata su un foglio blu, sul quale due linee proseguono la linea dell’orizzonte che suddivide il dipinto. In primo piano una conchiglia vera fa eco a quella dipinta, alludendo al confronto tra realtà e rappresentazione. Nell’opera L’enigma dell’ora, 2024, il collage posato su una base propone un disegno di riquadri fra loro sfalsati e dei frammenti lacerati di riproduzioni fotografiche: al centro campeggia un particolare del dipinto di Giorgio de Chirico che dà il titolo all’opera, mentre tutt’intorno sono sparsi dettagli delle Piazze d’Italia (tre opere di Paolini già esposte in galleria nel 2021). Il collage è sormontato da una mano in gesso, intenta a fissare tracce e memorie di diversi luoghi di natura metafisica.
Nella seconda sala, l’opera su base Prova d’autore, 2021 presenta il calco in gesso di una mano che regge un cartiglio, posato su due libri con pagine bianche. Sulla doppia pagina del libro aperto la mano trattiene un’immagine a soggetto cosmico e il particolare di una riproduzione fotografica dominata da una mescolanza di colori. Il calco, che rinvia alla mano dell’autore, evoca un’opera in fieri, analogamente ai colori in libertà, ancora indistinti, e al titolo dell’opera che rimanda alla fase immediatamente precedente la definizione dell’immagine. Nell’opera Tutto e niente, 2024, due elementi verticali in teche di plexiglas sono accostati a formare un quadro. Ciascun elemento è costituito da un passe-partout a finestre multiple – i ritagli fresati formano una fitta trama di figure geometriche – che lasciano intravedere una moltitudine di frammenti di riproduzioni fotografiche di soggetti disparati (vedute, paesaggi, immagini floreali). La misteriosa costellazione evoca al tempo stesso il Tutto e il Niente, come suggerisce il titolo: echi dell’universo di immagini conosciute finora oppure indizi di immagini sconosciute ancora in divenire; tracce di un passato noto e al contempo tessere di un mosaico ignoto. Sulla labile linea di confine tra il Tutto e il Niente, lo sguardo si perde nella ricerca di qualcosa che resta comunque inafferrabile.
Nel collage Et in Arcadia ego, 2024, la figura del noto tuffatore di Paestum si inabissa nella Pittura, simboleggiata da frammenti colorati e inscritti in una ellissi che evoca un meraviglioso mondo ignoto. Come ricorda il memento mori del titolo, “Et in Arcadia ego” (Anch’io ero in Arcadia), l’artista, immerso nella materia dell’arte, individua nella creazione dell’opera la sua Arcadia. Nella terza sala si trova l’opera Firmamento, 2024, cuore fisico e simbolico del percorso espositivo. Nelle parole dell’artista: “La scultura in gesso di una figura maschile rappresenta l’autore nell’atto di apporre la ‘sua’ firma (sostituendo al proprio nome quelli di tutti i ‘suoi’ autori) sulla moltitudine di fogli trasparenti collocati su alcuni leggii in equilibrio precario. La macchia di inchiostro, grumo di scrittura, accanto alla mano del disegnatore si addensa sul foglio e corrisponde alla somma dei nomi degli artisti evocati e frequentati dall’autore nel corso della sua lunga attività”.
La quarta sala è dedicata a una serie di collage dal titolo Stanza delle apparizioni, datati 2018 e 2024, accomunati da profili di cornici dorate, intese come lo spazio potenziale per eccellenza da cui scaturisce l’immagine: ognuno dei quattro collage presenta fantasie combinatorie, variazioni sul tema che mettono in scena la definizione di un’immagine. La quinta sala ospita l’opera Teogonia, 1982-2024, composta da un portadisegni che accoglie una tela rovesciata, con alcuni frammenti cartacei a soggetto cosmico trattenuti nel telaio, illuminata da un riflettore posto a breve distanza. Con il termine “teogonia”, che rimanda alla narrazione della nascita degli dei, Paolini intende evocare il mistero dell’origine del Tutto. Nella sesta ed ultima sala l’opera Fuori scena, 2024 è costituita da un collage a parete che riprende un particolare della sala stessa, in modo da raddoppiare la profondità dell’ambiente in una sorta di prospettiva duplicata. Davanti alla parete, una base sorregge un antico mappamondo, che genera una contrapposizione tra la ripetizione fotografica dello spazio limitato dell’ambiente e la vastità senza confini rappresentata dal globo terrestre.