Gaetano Pesce, il dadaista incallito
Alla fine degli anni ‘50 e i primi ‘60, Padova fu un’incredibile palestra politico-artistica e intellettuale. I giovanissimi di allora (Biasi, Chiggio, Costa, Landi, Massironi e l’intruso ligure Gaetano Pesce), tutti allievi della bollente Facoltà di Architettura di Venezia, contaminati anche dalle nascenti teorie operaiste di Toni Negri vicino a Potere Operaio – di cui fu in seguito il controverso ideologo – teorizzavano un prodotto estetico anonimo e alla portata di tutti. Una visione estetica razionale per un mondo nuovo e socialdemocratico, approdo, ahimé, dopo una rivoluzione marxista leninista.
Ma in quel gruppo di ossessionati razionalisti, cosa ci faceva l’immaginifico post surrealista e dadaista Gaetano Pesce?
E così i giovani visionari vetero marxisti che idealizzavano una società pianificata, imperniata sul razionalismo scientifico e sulle illusioni optical, nonché sulle luci stroboscopiche che subito allietarono bar e discoteche cult, decisero di espellere il malcapitato dadaista arrivato nel gruppo solo per insubordinazione estetica alla Facoltà di Architettura, illuminata da Carlo Scarpa, il rivoluzionario esponente di una Bauhaus italica all’Università di Venezia. Più tardi, nel 1966/67, questo clima generò anche la promettente meteora della Land Art italiana, Germano Olivotto, che morì giovane nel 1974 in un incidente d’auto (Olivotto in Italia ha usato per primo i neon contestualizzati nella natura). Insomma, Padova, con i suoi giovanissimi ribelli, feroci idealisti e marxisti convinti, era con Milano, Torino e Roma, uno dei centri propulsori del Nuovo. In Italia e nel mondo. Tutti invitati nella mitica esposizione al MoMa, 1965, “The Responsive Eye”, curata da William C. Seitz.
Fu in quegli anni, forse proprio nel 1965, che incontrai a Padova per la prima volta il ribollente Gaetano Pesce, già affermato designer borderline dell’arte. A quei tempi i grandi designer italiani erano i Marco Zanuso, i Marcello Nizzoli, i fratelli Castiglioni o l’irrompente Ettore Sottsass, mentre Gaetano Pesce si situava più nel contesto della turbolenta creatività delle arti visive. Ed era già stato cooptato dall’allora miracolosa azienda di avanguardia C&B (Cassina e Busnelli, oggi B&B) che produsse con grande successo la poltrona in poliuretano espanso UP5, ispirata alle statue della fertilità femminile. E l’amico di allora, Gaetano, me ne fece subito omaggio di una, che per anni rappresentò per me uno status symbol, insieme al Malitte prodotto da Gavina e le poltrone gonfiabili di Zanotta e ideate da De Pas e D’Urbino, insieme alla macchina da scrivere portatile Valentina di Sottsass. Ricordo che a Roma gli amici erano in fila dietro la porta, in via Fontana Liri 27, per ammirare questi primi esemplari del nuovo design italiano che arrivavano dal Nord del miracolo economico. Da quel primo incontro Gaetano Pesce, artista visivo a pieno titolo, sottrattoci dal più remunerativo mondo del Design, prese il volo. E noi, ottimi amici, ci perdemmo di vista, legati sempre da qualche messaggio amichevole trasversale. Da Padova a New York, come le sue poltrone, Gaetano si espanse in tutto il mondo anelante al nuovo, al dissacrante, al magico. Ma oggi, 4 aprile 2024, l’onnipresente Cristiano Seganfreddo mi dice che Gaetano Pesce, 84 anni, da New York ha preso il volo per un mondo meno cruento. E io sono ancora più triste.