Con “inner GLOw’ replica” David Douard è il primo artista internazionale a ricevere carte blanche da Basement Roma. Sull’impronta del format concepito e prodotto per anni dal Palais de Tokyo a Parigi, la programmazione espositiva di Basement Roma attinge ora a una delle figure centrali di una nuova grammatica digitale che viene tradotta dall’artista in una complessa combinazione di materiali, di forme, e di mezzi espressivi. Qui elementi di scarto, frammenti, oggetti, detriti si mischiano a suoni, testi e immagini tratti da internet, creando ambienti ibridi, sconnessi, infettati da nuovi germi narrativi, che si sostituiscono al mondo reale, e lo trasformano profondamente. Le opere di Douard irrompono nel percorso espositivo alterando le coordinate spaziali attraverso pareti temporanee, passaggi, ostacoli e scorciatoie e la riattivazione di molteplici elementi recuperati e assemblati, intrecciandosi così fisicamente e mentalmente al lavoro degli altri artisti invitati.
Partendo così dalle radici più autentiche del proprio lavoro, Douard è chiamato a essere protagonista di un mash-up con altri artisti che per affinità, linguaggio, o medium si inseriscono nel discorso artistico della sua produzione. Partendo dalla gif novel Zac’s Haunted House dell’autore americano Dennis Cooper – una nuova graphic novel in cui una sequenza di immagini tratte da Internet e divise in capitoli si sostituisce alla grammatica letteraria classica – l’artista evidenzia la traduzione di un nuovo rapporto tra linguaggio e internet. La mostra converge nell’idea di una costante ambivalenza del ruolo dello spettatore, osservatore attivo ma altresì complice inconsapevole di una nuova connettività che chiama in gioco la dimensione fisica, oggettuale, e scultorea dell’opera e i contorni sfumati di una nuova permeabilità digitale. Lo spazio, solo apparentemente neutrale alle nuove tecnologie, è così riletto come un inedito repertorio di frammenti poetici, in grado di assumere forme inaspettate nel contesto del détournement operato dall’artista, in cui ogni elemento si traduce in un altro, in uno sguardo mai univoco ma plurale. Se Antoine Trapp traduce la sua ricerca attraverso un notebook di immagini create attraverso l’intelligenza artificiale e riportate sul supporto analogico di un vecchio folder, il lavoro di Nicolas Ceccaldi Untitled (Winnie the Pooh) parla di un legame speciale, intimo e domestico con l’opera, ove una videocamera di sicurezza nascosta dietro gli occhi apparentemente innocui di un pelouche di Winnie the Pooh riporta l’esperienza quotidiana dell’artista in una sfera pubblica, corale e collettiva.
Così le opere di Valerie Keane, coni suoi assemblage di materiali meccanici, elaborati in sculture sospese astratte e sfuggenti, tradiscono una evidente tensione tra movimento e controllo, tra fragilità e forza, tra rudimentalità dei materiali ed elusività della forma. Una tensione chiamata a risolversi nel composito equilibrio delle sue figure e la costante pulsione tra presenza e assenza, tra forma e spazio, tra aulico e materico. Così un intreccio di riferimenti, di citazioni e di richiami traduce la labirintica installazione della mostra in uno spazio a sé. I lavori entrano a fare parte di un unico paesaggio, propulsore di mezzi espressivi, linguaggi, e fonemi, che si articolano in un unico insieme, egualitario e poliforme al tempo stesso.