Mostra curata da Marta Ferrara e Mario Francesco Simeone.
Artisti presentati: Maria Giovanna Abbate, Gianmarco Biele, Paolo Bini, Selene Cardia, collettivo damp, Carmela De Falco, Nina Jonsson Qi, Nicola VincenzoPiscopo, Paolo Puddu, Andreas Zampella
Un giardino nascosto tra le pietre di Palazzo De Sangro di Vietri, simile a tanti altri che si aprono nel paesaggio metropolitano. Per scoprire questi singhiozzi di eden appartati nelle profondità delle antiche dimore nobiliari e negli slarghi irregolari della stratigrafia urbana di Napoli, è necessaria un’indicazione spesso inaspettata ma quasi mai fortuita. Un’intuizione o una premonizione sussurrata tra portoni di legno, cortili ombreggiati, balconi in ferro battuto e ampi ballatoi di piperno. Da questa suggestione, custodita nella storia dell’architettura involontaria partenopea, prende le mosse la mostra “Lettere intorno a un giardino”, dal titolo liberamente ispirato da una raccolta epistolare composta dal poeta austriaco Rainer Maria Rilke tra il 1924 e il 1926, il cui filo conduttore è rappresentato dalla cura di un giardino.
Il percorso espositivo è scandito da opere principalmente inedite e realizzate appositamente per l’occasione, con tecniche e linguaggi eterogenei tra pittura, scultura, installazione, video e fotografia. Gli artisti coinvolti sono nati tra la metà degli anni ’80 e la metà degli anni ’90 e si sono formati a Napoli e in Campania. La loro ricerca si è sviluppata prevalentemente in città e nei dintorni, per poi proseguire, in alcuni casi, altrove, pur mantenendo un legame stretto con i luoghi d’origine e con le relazioni che li attraversano. Le loro opere e i loro progetti estendono le proprie radici nelle profondità di questo territorio, per poi germogliare ed effondersi, così da segnare una continuità nel passaggio delle stagioni, contribuendo, in maniera più o meno silenziosa, con approcci multiformi e polifonici, a consolidare l’esperienza della città, a vivificarne la narrazione.
Dal testo critico:
“Celati nelle ombre dei chiostri, in giardini incorniciati dalle alte e antiche mura dei palazzi, tra le scoscese pareti di tufo dei quartieri, gli alberi possono arrivare al terzo piano e poi anche più in alto, toccare le inferriate dei balconi, appoggiarsi agli stipiti delle finestre. Questi tronchi sono abbondanti di foglie che si ricoprono di tintinnanti monete d’oro quando c’è appena un po’ di sole oppure lasciano scivolare via la pioggia creando piccole cascate sul terreno e tra le fratture della pavimentazione impolverata della città involontaria. Nei gangli di una stratificazione urbana selvatica e sviluppata a dismisura, vivono piante in alcuni casi secolari, abitate da piccoli fruscii. Fischi brevi o prolungati, modulati dai passeri e dalle gazze che di tanto in tanto si avventurano sui balconi delle case, provenienti da chissà dove e latori di messaggi indecifrabili. Un giardino, qui, è un verde che si somma, scompare e poi si moltiplica, non si concede se non su richiesta. Spazio di affaccio, di contrattazione, vuoto in attesa. Frizioni armoniche tra natura e artificio, intorno a questi giardini si raccolgono altre storie. Narrazioni appartate ma fiorenti di una prossimità immediatamente laterale, radicata fin nelle profondità del suolo, fino a costituirne – e sostituirne – le fondamenta. […]”.