Il dipinto di Sophie Gogl “Sweet Jets”, che rappresenta cioccolatini a forma di aeroplano all’interno di una scatola di plastica aperta, sembra inizialmente condurci verso un certo tipo di realismo, derivante dal senso di oggettività della pittrice e dal carattere aneddotico della scena. È come se il dipinto facesse riaffiorare il valore del trionfo della coscienza di sé del mezzo fotografico: un dipinto tanto consapevole di essere svelato, da essere svelato doppiamente, rivelando sia se stesso sia la scatola di plastica. Gli aeroplani che si dissolvono potrebbero quindi essere letti come la costante scomparsa del dipinto nella logica dell’ermeneutica. L’atto del dissolversi è infatti così rivelatore da essere spesso usato come un’adeguata metafora per descrivere, ad esempio, il fenomeno dell’inflazione. Invece di valutarne la concretezza facendo riferimento al CPI (l’indice dei prezzi al consumo) o al deflatore del PIL (il deflatore implicito dei prezzi), un economista interessato al tema potrebbe quindi scegliere la dissolvenza come metafora per descrivere la perdita di potere d’acquisto. Tuttavia, l’uso di metafore non è così innocuo come sembra. In quanto immagini forti, le metafore fanno riformulare i pensieri delle persone sulle idee che intendono descrivere. Se colleghiamo il dissolversi di qualcosa al potere d’acquisto, l’associazione di idee potrebbe anche portare a una sfiducia nell’ordine economico, un’interferenza che condurrebbe a una mancanza di significato.
Tutte le fotografie che compongono la mostra sembrano vicine a questa sensazione di slittamento, poiché il contenuto non appare mai come un bersaglio fisso. Contrariamente al processo di “fissazione del bersaglio”, in cui un individuo si concentra così tanto su un oggetto che aumenta inavvertitamente il rischio di scontrarsi con lo stesso, in questo caso non vi è alcun bersaglio fisso. La mostra offre piuttosto un metodo di resa che non è il familiare “punta e scatta”, in cui la messa a fuoco viene automaticamente regolata per l’occhio. Passare da un’opera all’altra appare piuttosto come un intervallo orchestrato, un palcoscenico per una sorta di cortocircuito. Le fotografie di Marina Sula prendono questo tragitto obliquo, conferendo alle immagini un particolare senso di inaccessibile prossimità. Ad esempio, il riflesso di un piatto di biscotti in uno specchio riduce la distanza, e altrettanto accade con la portiera di una berlina grigia lasciata aperta e incorniciata da due stelle gialle simili a quelle della bandiera europea. Le immagini mostrano il vetro di un’auto che offusca l’esterno, un mucchio di palloncini e scatole di pizza, o la fine di una festa. La scrupolosa attenzione alla luce e il riguardo della fotografia per il “colore locale”, così come il carattere scenico e l’immobilità delle immagini – che seguono l’essenza elegiaca della fotografia di Sontag –, o le qualità strutturali rafforzate dall’inquadratura, sono tutti elementi che vengono trasmessi per essere depositati da qualche parte appena un po’ fuori fuoco, in un luogo di deposito cognitivo a cui la nostra mente mantiene accesso. Una periferia produttiva, come pubblicità della loro stessa fuga.