ALMARE è un collettivo artistico e curatoriale composto da Amos Cappuccio, Gabbi Cattani, Giulia Mengozzi e Luca Morino che mette al centro della propria indagine il suono. Tra i progetti parte della loro attività curatoriale: Sound Quests, un festival che dal 2021 riunisce musicistə, ricercatorə, dj e performer attorno a ragionamenti collettivi sulla narrazione sonora, ma anche ALL SIGNS POINT TO ROME, DIANE (2019), una miscellanea di auto-registrazioni con contributi di artistə, musicistə, amicə e ricercatorə della durata di circa sedici ore. Nel 2020 ALMARE ha iniziato a lavorare a Cronache di Vita di Dorothea Ïesj S.P.U., un audioracconto fantascientifico scandito in tre episodi (il primo presentato nella mostra “Waves Between Us” presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, e il secondo e il terzo in via di realizzazione), sulla vita della ricercatrice precaria Dorothea Ïesj. Ed è su questo segmento della loro ricerca che abbiamo voluto focalizzare la nostra conversazione, poiché in Cronache di Vita di Dorothea Ïesj S.P.U. è possibile ritrovare la costellazione di pensieri, riferimenti, ossessioni che abitano la “chimera tetracefala” di ALMARE.
Giulia Gregnanin: Vorrei iniziare chiedendovi, chi è Dorothea?
ALMARE: “Madame Bovary, c’est moi.” Probabilmente questa frase Flaubert non l’ha mai né scritta né pronunciata, ma poco importa. Dorothea siamo noi e Cronache è il suo/nostro audiodiario nel quale si susseguono, per frammenti, riflessioni sparse a proposito di tante cose: di soldi – soprattutto della mancanza di soldi –, della sessualità, del suono come strumento di violenza, e del registrarsi come pratica di esibizione, di esposizione di sé, ma anche di isolamento, di necrosi dal mondo.
GG: In che modo si sviluppano le sue Cronache?
A: I suoi diari sono una sorta di “note vocali”, in cui si intravedono una trama, diversi luoghi e personaggi: siamo in un futuro forse vicino e verosimile, come tutti i futuri, nel quale un’instabile tecnologia, chiamata ECHO, permette di scannerizzare le superfici e rinvenire i suoni che vi si sono impressi nei secoli. Qualunque oggetto rilascia così un prisma di informazioni sonore che, una volta recuperate, possono acquisire un immenso valore economico. Nel mondo di Dorothy (tra di noi le affibbiamo questo nomignolo alla Il mago di Oz) il suono è una sorta di reliquia-parlante, una valuta di scambio, al pari di una moneta immateriale. E Dorothea ne trae profitto. È una giovane-ish ricercatrice nel campo dell’archeoacustica, con una borsa di studio finanziata dall’esercito per recuperare suoni usati come armi.
Con altrə colleghə e amicə del dipartimento, moltə deə quali musicistə, spaccia, all’interno di un mercato nero, suoni – soprattutto erotici, “antichi fottitori” come li chiama lei. Come noi, Dorothea non sa GG dove andare ed è piena di contraddizioni. Le sue Cronache non sono epiche, per nulla eroiche, forse trascurabili. E anche lei, come Madame Bovary, vive d’imitazioni: parla come i film e i libri che piacciono a noi (ALMARE), esprime i suoi/nostri desideri con l’entusiasmo adolescenziale di chi li ha scoperti per la prima volta. Dorothea è un B-movie, un’avventura picaresca arcinota della quale nulla è dato a vedere perché lo si sa già. Dorothea è sicuramente plurale, A come noi in quanto collettivo, chimera tetracefala in cui convivono diversi stili, storie e biografie, sottofondi melensi, atmosfere gangsteriane e le aspirazioni strappalacrime di una technokultur ormai tramontata.
GG: Il teorico marxista, semiologo e comparatista Darko Suvin, nel suo saggio Science Fiction and the Novum (1977), conia il concetto di novum per definire quel costrutto fittizio – ma scientificamente plausibile – tipico della fantascienza, che dona credibilità e quindi permette l’immedesimazione. Qual è il novum in Dorothea?
A: Il novum di Cronache è generato dall’analogia tra il nostro sistema economico, basato sull’estrazione di valore (estrazione di materie prime, di dati, di forza lavoro), e l’estrazione fantascientifica di informazioni da ogni frammento di materia “incisa” dal suono, per indagare tramite la speculazione narrativa le molteplici conseguenze sociali di un capitalismo ossessionato dalle registrazioni, dalla sorveglianza e forse, alla base di tutto, da una strutturale incapacità di lasciar andare, di perdere, nel senso di smarrire.
Siamo arrivati a costruire ECHO partendo dall’ipotesi dell’archeoacustica, termine dai confini decisamente lassi: da un lato, possiamo intendere una branca dell’archeologia che studia i fenomeni acustici legati a siti o manufatti dell’antichità, in particolare del rapporto tra suono e architettura. Dall’altro, all’inizio del secolo scorso, il termine si applicava a una moltitudine di discipline che oggi potremmo definire pseudo-scienze che teorizzavano (per questo parliamo di “ipotesi”) la possibilità di recuperare i suoni del passato accidentalmente inscritti nell’argilla e nelle ceramiche. L’idea di un oggetto capace di contenere una voce spettrale, esalata da un passato mineralizzato, ha suscitato un forte fascino nella cultura scientifica e popolare fin dall’antichità. Le sue radici moderne si trovano nelle teorie spiritiste del XIX secolo, come la psicometria o psicopompia, secondo le quali qualunque oggetto conserverebbe una memoria energetica, un veicolo di informazioni accessibile al semplice tatto. Édouard-Léon Scott de Martinville, inventore del fonoautografo, Thomas Alva Edison, inventore del fonografo, Guglielmo Marconi, pseudo-inventore della tecnologia di trasmissione radiofonica, erano tutti convinti che i suoni del passato viaggiassero all’infinito nell’etere lasciando tracce sulla materia che potevano essere recuperate tecnologicamente, come una forma di moderna necromanzia.
Questa ipotesi ha generato una serie di leggende metropolitane. Da videogiochi come Amber: Journeys Beyond (1996), in cui un vaso parlante è al centro del gameplay, o Tacoma, (2017), in cui il giocatore utilizza un dispositivo AR che permette di “riavvolgere” e riprodurre azioni e conversazioni di altri personaggi, fino all’episodio di X-Files “Hollywood A.D.” (2000), in cui i protagonisti cercano le parole pronunciate da Gesù per resuscitare Lazzaro, e ancora numerose teorie cospirazioniste basate su registrazioni illegali di smartphone/TV che stanno inondando il web.
GG: Nell’universo di Dorothea l’estrazione del suono è una forma di biopotere: il suono estratto e processato diviene un prodotto consumabile per intrattenimento, uno strumento di studio utile alle discipline storico- archeologiche, ma soprattutto uno strumento di sorveglianza e arma: “L’orecchio è un bersaglio semplice, non si può chiudere” riflette Dorothea in un dialogo con la sua amica/amante ricercatrice Juliette Folkler.
A: Jacques Attali scrive che il suono ha sempre “come unico obbiettivo il corpo”: impatta la percezione fisica, “manipola” le reazioni corporee, plasma il “reale”, qualunque cosa questa parola significhi. E tutto ciò che esercita un potere sui corpi è intrinsecamente espressione di un qualche ordinamento biopolitico. Nell’audio racconto, la tecnologia ECHO viene sviluppata in seno alla Societas Paleoacusticae Universalis (da qui la sigla S.P.U. del titolo), una confraternita para-universitaria fondata su un credo utopico scientista e proto-socialista realmente esistito, il sansimonismo. Questo movimento, nato all’indomani della Rivoluzione francese attorno alle teorie del suo fondatore Claude de Saint-Simon, predicava l’avvento di una nuova società dominata dalla scienza e dalla tecnologia – Cristo era sostituito da Isaac Newton! I sansimoniani promuovevano la liberazione della donna e del proletariato, la libertà sessuale (con un’interessantissima incitazione dell’omoerotismo) e una socializzazione delle banche in chiave “globalizzata” che a noi possono sembrare assurde. Per loro, erano strumenti utili a perseguire l’auspicata unificazione dell’Oriente e dell’Occidente, ma in chiave coloniale, è chiaro – e infatti fu proprio il sansimoniano Ferdinand de Lesseps a dirigere i lavori del Canale di Suez. Il movimento sansimoniano ha influenzato molte teorie economiche del XIX e XX secolo.
Così, con un piglio un po’ osé, ci siamo spintə a immaginare quali derive tecno- e anarco-capitaliste, come i Tecnocracy Inc., condividano l’approccio fideistico del sansimonismo, al punto che se ne può intravedere lo spettro. La smaterializzazione del valore ha un ruolo di primaria importanza nel pensiero di queste organizzazioni iper-liberiste, che pretendono di estrarre valore da comportamenti assolutamente “naturali”, percettivi, il cui oggetto è immateriale: guardare, ascoltare, desiderare. Smaterializzare il valore significa sempre ricomporlo in formato percettivo (Lyotard dirà libidinale).
GG: Vi andrebbe di approfondire il formato di storytelling e il linguaggio (nel senso di media) adottato?
A: Tecnicamente, Cronache è un film senza immagini con voce narrante e sottotitoli; tuttavia, generalmente lo definiamo audio-racconto con sottotitoli video. Ci sembra una sintesi efficace perché, per quanto l’interfaccia visiva costituisca un elemento fondamentale, la nostra è un’operazione che dialoga con diverse modalità di utilizzo del suono con finalità narrative.
Cronache è stato registrato e montato flirtando con la struttura degli audiolibri ma anche del tropo videoludico degli audio-log, in cui lə giocatorə accede a sezioni del gameplay tramite ritrovamenti audio. Le titolature e i sottotitoli (in doppia lingua italiano e inglese) si comportano come didascalie chiuse (CC) e sono filmati su un unico sfondo nero.
Il risultato è un genere ibrido, un interregno sfocato tra visione e ascolto: precedenti storici si ritrovano nelle sperimentazioni audio-visive di Walter Ruttmann, passando per gli slide show di James Coleman, le scene bianche di Marguerite Duras e Blue (1993) di Derek Jarman, fino al più recente documentario Expedition Content (2020) di Ernst Karel & Veronika Kusumaryati.
L’idea del progetto nasce in seno a una ricerca che portiamo avanti ormai dal 2019 sul concetto di registrazione sonora e, in particolare, di “auto- registrazione”. Registrare la propria voce è un gesto nel quale si intersecano auto-rappresentazione, monitoraggio del sé, la storia delle tecnologie di registrazione, la filosofia della voce. Abbiamo strutturato Cronache come una sequenza di auto- registrazioni soprattutto come un diario vocale, un gesto estetico “senza pubblico”.
GG: Per quanto invece riguarda la lingua, qual è quella parlata da Dorothea?
A: La lingua di Dorothea è bastardissima. E il suo modo di parlare è un italiano ibrido, pseudo settecentesco, zeppo di latinismi e parole desuete che però si declina nella contemporaneità. La lingua è quella di un futuro che sa di vecchio, non di antico, al confine tra nostalgia e spleen. Non è possibile collocare Dorothea nel tempo, non nello spazio, e proprio a causa di questa mistura di epoche stilistiche, neanche nello spettro delle classi sociali. Non ci interessava ricreare una vera e propria “lingua”, come un elfico dalla grammatica rigorosa, quanto piuttosto un orizzonte linguistico nel quale Dorothea potesse esprimersi liberamente.
GG: Questo contagia anche l’aspetto testuale del lavoro.
A: Come dicevamo, in Cronache non ci sono immagini se non le titolature e i sottotitoli che hanno una funzione non solo, diciamo così, di accessibilità al sonoro, ma anche di estensione di senso e significato. Nel cinema il suono è in grado di arricchire l’immagine, sino a far credere che quell’informazione derivi “naturalmente” da ciò che si vede (illusione audiovisiva). In Dorothea il segno, per dirla con Michel Chion, costituisce il valore aggiunto, un livello di informazione che si incolla alla parola parlata, dalla quale non può più scindersi.
Dorothea è un aedo, è l’unica voce narrante e parla per tutti i personaggi. Questa è una tematica centrale in Cronache, ovvero l’ambiguità tra scrittura e oralità. In un futuro in cui qualunque suono può essere recuperato dalla materia, come in uno scavo archeologico, l’oralità perde il suo carattere effimero, vanescente, e assume anzi lo stesso valore di un documento scritto. Non c’è differenza tra dire e trascrivere, come dice Dorothea “bocca e orecchio sono eguali”. Ogni volta che Dorothea apre bocca lo fa per registrarsi, e dunque, in un certo senso, per dettare. Ed è chiaro che vuol fare bella figura.
Inoltre, lo script plagia e altera apertamente saggi per noi fondamentali come Sonic Warfare (2011) di Steve Goodman o Extremely Loud: Sound as a Weapon (2011) di Juliette Volcler, ma anche molta letteratura degli anni ’70 tra cui The Electronic Revolution (1970) di William S. Burroughs, La moneta vivente (1970) di Pierre Klossowski, Dissipatio H.G. (1977) di Guido Morselli, e sceneggiature di film e videogame, in primis The Last Of Us (Naughty Dog, 2013).
GG: Cronache di Vita di Dorothea Ïesj S.P.U. ha ricevuto il sostegno dell’XI edizione dell’Italian Council, per la finalizzazione della trilogia e la successiva acquisizione da parte di Museion, Bolzano. Il progetto, a cura di Radio Papesse, prevede una serie di presentazioni internazionali, un catalogo-podcast distribuito da NERO Editions e una residenza a Timespan, Helmsdale (nelle Highlands Scozzesi) che avete effettuato lo scorso marzo. Abbiamo navigato all’interno dell’archivio audio del museo, che preserva materiali sonori prodotti negli ultimi quarant’anni (racconti orali, reenactment, storie di folklore e canzoni tradizionali). In che modo l’esperienza di ricerca suggestionerà il futuro script?
A: Uno dei motivi che ci ha spintə a collaborare con Timespan è stato proprio l’approccio curatoriale con cui si è costituito l’archivio sonoro in quanto dispositivo strutturalmente impossibile da completare. Nessuna delle tracce che fanno parte dell’archivio verrà utilizzata nell’audio racconto: come nel caso delle numerose opere che citiamo, il nostro scopo non è “campionare” materiali in maniera diretta, usarli come found footage, ma piuttosto integrarli in maniera organica tramite rimandi, allusioni, strizzate d’occhio. Inoltre, la prossimità a un archivio – e a un archivista! – è stata utile ad approfondire il piano metodologico, lo sforzo cognitivo e processuale che porta all’organizzazione di una collezione immateriale, che è uno dei nuclei tematici del nostro audio racconto. Poi ci sono cose meno strutturate, che non avevamo previsto, coincidenze che alla fine si rivelano estremamente preziose: dai libri trovati nella biblioteca di Timespan sul tape recording come strumento d’indagine, l’aurora boreale esplosa a tarda notte nel cielo, il té con Edwyn Collins e Grace Maxwell nella loro casa-studio piena di “antichi” microfoni e macchine analogiche o l’incontro a Glasgow con Mark Vernon di Radiophrenia, che ci ha raccontato di un club di tape recording amatoriale.
Infine, diversi elementi del tessuto sociale e della storia e della geografia delle Highlands hanno innescato spunti narrativi. Di fatto, l’attraversamento di quello che potremmo definire un micro-mondo è stato un modo per espandere il worldbuilding della storia, nutrendo la trama di elementi quali le piattaforme petrolifere dismesse del Mare del Nord e le torbiere (i bogs di The Flow Country), in cui la stratificazione e l’affastellamento millenario di strati di terreno generano valore ed energia come le stratificazioni di suoni nel mondo di Dorothy.