Finlandese, nata in Germania, italiana d’adozione; la questione biografica non è estranea all’autonomia e alla rabdomantica libertà con cui Anja Puntari individua temi e situazioni su cui concentrare l’attenzione. Punti di riferimento diversi, una distanza che rende ogni appartenenza relativa, rendono il suo sguardo mobile e ubiquo e le consentono un’intensa partecipazione emotiva, ma non fusione totale con le diverse realtà che vive. Nelle sue prime opere, a emergere era la necessità di rinnovare e di ripensare il legame con le origini. Questo avveniva, per esempio, in due lavori del 2006 per il Casino Luxembourg e il museo di Rauma: fulcro di entrambi era l’immagine di un centrino di pizzo tipico del paese da cui proviene, ma destinato in un caso a essere riprodotto in grande scala con candida farina sul pavimento, in modo che sotto l’incurante andare quotidiano della folla la forma si sfrangi, si disfi, scompaia; così tempo e lontananza rendono la memoria labile e inafferrabile. Proiettato, nell’altro caso, sul pavimento, il ricamo di luce si trasforma in traccia su cui far giocare i bambini.
Poco dopo, Puntari realizzerà “Zoom”, serie di fotografie scattate dagli spiragli di una tapparella della sua stanza da letto, a Napoli. Da ogni spiraglio un’immagine diversa, ogni angolatura offre nuove visioni. Né è possibile uno sguardo d’insieme: occorre sempre scegliere il proprio punto di vista, e ogni scelta implica la rinuncia alle altre opzioni.
xxx, video del 2007, consiste in una serie di sguardi femminili che si avvicendano e ci guardano dall’alto in basso. “xxx” è una parola chiave che consente di scaricare file porno da Internet. Dai finali dei film trovati in rete, Puntari estrapola sistematicamente un dettaglio, gli occhi della donna; li ingigantisce, monta al ralenti, espone il video nella vetrina della Galleria Francesca Minini, in posizione elevata, in modo che gli sguardi risultino rivolti verso l’esterno. Gli occhi di queste donne, soprattutto quelli meno controllati delle attrici non professioniste, sfuggono alla muta standardizzazione delle immagini pornografiche, e lasciano trapelare un’umanità variegata, che porta con sé un’emotività imprevedibile.
Anja Puntari prosegue con Laulavat talot (Singing Houses), registrazione video dei richiami dell’alba provenienti da diverse moschee di Istanbul. Come navicelle spaziali, moschee e minareti emergono luminosi sulla città ancora buia e le voci dei muezzin si alzano richiamandosi a vicenda. La ritualità dei canti suscita profonda risonanza nei fedeli, pur senza che i contenuti ne siano intelliggibili letteralmente. Risonanza impossibile per chi non viva una vera adesione spirituale a quella religione: per Anja, altra religione e altra sensibilità, le moschee sono solo “case che cantano”. Resta la fascinazione per un paesaggio che ha qualcosa d’irreale; l’artista la traduce in un’installazione che nella dislocazione di monitor e fonti sonore spazializza l’ambiente restituendo la sensazione di vicino e lontano: un vicino e lontano che è anche culturale, che non può essere negato né annullato: le diversità esistono, e vanno accettate affinché si possano trasformare in ricchezza.
Se la distanza è il leitmotiv del lavoro di Puntari, la mancanza di distanza rispetto ai propri stessi miti è il tema di Lordi, video in cui l’artista fa riferimento a un gruppo musicale che i finlandesi idolatrano dopo un successo ottenuto nell’ambito del notissimo festival internazionale “Eurovision”. Un senso di profonda estraneità, un misto di ironia e inquietudine sono i filtri attraverso i quali l’artista osserva il pubblico, che, nell’esaltazione e nella totale partecipazione emotiva, pare aver perso ogni senso critico. L’opera più recente è “Ritratti senza nome,” serie di fotografie segnaletiche, recuperate da Internet e ingigantite, di morti in cerca d’identità: schiarite al limite della trasparenza, queste figure fantasmagoriche ci costringono irresistibilmente ad avvicinarci, a osservarle con lenta attenzione. È probabile che molti di questi morti siano stati tra coloro che affrontano la sfida di una nuova vita in un luogo che non era il loro. Persone che si sono mosse tra noi senza suscitare il nostro interesse. Anche ora sono sole, estranee. Ma il loro corpo, scarto ingombrante e difficile da smaltire anche per una società indifferente, sta lì, in attesa, e ci interroga. È a partire dall’esigenza di un serrato confronto con la dimensione extra-artistica che in un breve lasso di tempo Anja Puntari ha realizzato un corpus di lavori che evita la ripetitività, ma mantiene coerenza di sguardo e sobrietà nella forma, con una capacità di sottrarsi al déjà vu dell’abitudine, considerando, della realtà, gli aspetti della differenza.