Scrive Federico Ferrari: “Il problema dell’essenza, il problema filosofico e pratico che l’essenza non solo porta con sé ma è in sé, nonostante tutta la scuola del sospetto che mi compenetrava, mi parve centrale per cercare di pensare, non più in modo negativo ma decisamente affermativo lo spazio nichilista in cui l’arte, come del resto il mondo contemporaneo, si trovano sprofondati”. Con questi presupposti e quindi come conseguenza diretta di queste speculazioni estetiche, Federico Ferrari ha costruito un progetto che non intende essere una mostra di gruppo né una mostra a tema. Suo intento è riunire un insieme di artisti — quasi tutti coetanei — che nel panorama dell’arte contemporanea degli ultimi dieci anni hanno tracciato una linea poetica comune, pur non dando vita alla costituzione di un gruppo. Ognuno degli otto artisti chiamati a partecipare a questa mostra lascia apparire una modalità differente a questo approccio, sottolineando il diverso sentire di un’arte alla ricerca della sua essenza. Il percorso espositivo indica la “tonalità emotiva” con cui si deve guardare il frammento di realtà che questi artisti riconsiderano attraverso il loro lavoro.
Alice Cattaneo crea le sue sculture elaborando materiali d’uso comune, restituendo l’instabilità e la fragilità del tempo e del mondo contemporaneo senza cedere mai alla tentazione di postprodurre. Anche Ian Kiaer sfugge alle categorie postmoderne montando elementi provenienti dall’architettura con altri strettamente artistici, passando attraverso i materiali, anche modesti, che reperisce all’interno del cantiere dei suoi progetti utopici. Karla Black, attraverso un’originale scelta e lavorazione dei materiali (pigmenti, gesso), crea le sue cosmogonie, passando per la cosmesi. Thea Djordjadze prende in considerazione materiali estremamente fragili o provenienti da una dimensione domestica: ceramica, spugne, silicone, tessuti, saponi, creta ma anche strutture geometriche metalliche. Thea ha la capacità di tenere insieme queste due dimensioni, ha la forza creativa necessaria per mostrare come l’astrazione si dissolva nella fragilità del materiale organico e come la materia trovi un ordine nella geometria. Anche le opere di Jason Dodge riguardano oggetti prelevati dal quotidiano, oggetti di uso comune, al limite dell’insignificanza: guanti, coperte, tubi, lampadine, corde, fili elettrici. Ma questa loro apparente marginalità si rivela essere l’origine di una storia, il fulcro di un’esistenza, lo scorrere di una vita. Dal medesimo fiume emergono le opere di Francesco Gennari, che crea immagini anamorfiche di soggetti metafisici, riflessi appunto su uno specchio d’acqua, anzi di sciroppo di menta. Guardando invece l’opera di Helen Mirra viene da pensare alla Camera delle Meraviglie che il risultato del suo processo creativo tende a costruire e viene da pensare ai racconti visionari del suo conterraneo Herman Melville.
Scrive Ferrari: “Per cercare di raccontare la genesi di ‘Arte Essenziale’ bisogna andare indietro di qualche anno”. Nell’autunno del 2008 in occasione di una mostra di Gianni Caravaggio, sulla quarta di copertina del catalogo che la accompagnò, lo stesso Ferrari scrisse: “Un mondo è finito, senza che nessuno di noi ne avesse la chiara percezione. Abbiamo camminato sull’abisso ed ora lo sappiamo. A questo punto, quel che resta da pensare e da immaginare è un nuovo inizio, l’inizio di un altro tempo, di un’altra epoca del mondo”.