Il tempo di vivere è un lento, ininterrotto cigolio di porte che si spalancano continuamente. Due cancelli si aprono, e non smettono mai di aprirsi.
Clarice Lispector, La passione secondo G.H.
Secondo Camille Henrot ed Estelle Hoy, nella vita è necessario lasciarsi andare, arrendendosi lentamente alla ricerca della forma migliore dell’arancia, sbucciando continuamente il frutto, aprendone la polpa e arrivando al succo – lacrime che si intrecciano per trovare l’essenza dell’esistenza, scendendo a patti con essa o facendosela nemica. Nella mostra “Jus d’Orange”, a cura di Chiara Nuzzi, presso Fondazione ICA Milano – e contro la noia mortale che affligge gli uomini – Henrot e Hoy utilizzano poesia e pittura per indagare i desideri dell’umanità. Non ci sono possibilità di sfuggire alle tradizioni e alle leggi dell’esistenza, o così pare; come possiamo tornare a vivere, sanguinando eternità fenomeniche? Avendo il coraggio di vivere in una silenziosa e pulsante speranza, in tutta la sua libertà terrificante, nelle sue esplosioni di idee, e nelle sue delusioni, in un mondo che si apre, e continuerà a farlo.
Le donne devono scrivere attraverso il loro corpo, devono inventare il linguaggio inespugnabile che distruggerà le partizioni, le classi e le retoriche, i regolamenti e i codici, devono immergersi, tagliare, superare l’ultimo discorso inverso, compreso quello che ride alla sola idea di pronunciare la parola “silenzio”… L’uno nell’altro non mancheremo mai.
Hélène Cixous, Vivre l’orange
Estelle Hoy: In Teoria della prosa (1925), Viktor Shklovsky sostiene che la letteratura ha il potere di riattivare la forza vitale delle parole spente dall’uso quotidiano restituendole alla loro potenza epifanica originaria. Qualche anno fa, davanti a un paio di litri di Aperol Spritz e un pierogi insipido, mi hai detto che ti piace la vibrazione corporea delle parole, il modo in cui il testo può entrare nel proprio corpo. Forse è stato il pierogi vecchio di un giorno, ma mi ricordo di essermi chiesta se il tuo frequente abbinamento di immagini e testo non sia la stessa riattivazione shklovskiana del corpo sensuale del linguaggio.
Camille Henrot: Il potere delle parole deriva dalla loro capacità di essere distorte nell’ampiezza del loro significato. Il motivo per cui mi piacciono le parole – o la letteratura più in generale – è diverso dal motivo per cui mi piacciono in inglese. Le parole in inglese, per me, sono arrivate più tardi rispetto al francese, la mia lingua madre. La prima volta che le ho incontrate è stato attraverso le canzoni pop per cui andavo matta. La canzone Sweet Dreams (Are Made of This) di Annie Lennox è stata probabilmente una delle prime occasioni in cui ho cercato di capire l’inglese. Quando avevo sei anni, la canzone passava costantemente alla radio e ricordo di aver cantato le parole sbagliate davanti a tutti gli adulti che conoscevo, sperando che qualcuno mi dicesse quali fossero quelle corrette e chi fosse la cantante. Sono rimasta totalmente affascinata da Annie Lennox (un’altra donna a cui piace l’arancione). Le sue parole per me erano criptiche. Innanzitutto, perché erano in un’altra lingua, ma anche perché una volta letta la traduzione non riuscivo ancora a capirne il significato – “Some of them want to abuse you, some of them want to be abused…?”. La mia prima esperienza della lingua inglese è stata attraverso la musica, attraverso parole al cui ritmo si vorrebbe ballare. Lo sforzo di parlare inglese richiede anche una presa di coscienza del proprio corpo, della strana posizione della lingua rispetto ai denti, e del modo in cui l’aria circola nella gola. C’è qualcosa di sensuale nel parlare una lingua che non è quella della propria famiglia. Si assapora il piacere delle parole al di fuori del proprio idioma. Ora vivo a New York e sono circondata dalla lingua inglese, oltre che da molte altre. Mi piace origliare o leggere alle spalle delle persone in metropolitana. Mentre vado in studio, raccolgo le parole come si raccolgono le conchiglie sulla spiaggia.
EH: In molti dei tuoi dipinti, questi piccoli frammenti di parole creano quasi un mantra. L’etimologia di “mantra” ci suggerisce che il termine allude a una sorta di “strumento per pensare”. Mi chiedo se le parole nell’arte funzionino come un mantra, come se svelassero/trovassero immagini mentali in cima alle immagini visive già stabilite del dipinto? Non intendo dire che il testo sia meditativo, ma piuttosto che esista anche come immagine e quindi può essere considerato un’arte visiva in sé. Sei d’accordo?
CH: Sì, sono assolutamente d’accordo, e lo trovo bellissimo. Non conoscevo il significato di questa parola. Sai che esiste un processo di divinazione che consiste nel raccogliere parole da un libro aprendolo, gettandovi dentro un oggetto, richiudendolo e riaprendolo per trovare le parole nascoste sotto la posizione dell’oggetto (spesso una chiave), per poi interpretare quelle parole come profezie? Si chiama
bibliomanzia o cartomanzia:
cartomanzia /ˈkɑːrtoʊmænsi/: da cose su carta (Greek khartēs, carta di papiro + manteía, profezia) è stata descritta da Sant’Agostino e da Rabelais.
Questa pratica era frequentemente utilizzata nell’Impero Romano, come testimonia Sant’Agostino nel IV secolo:
Consultando a casaccio, spiegava [Vincidiano], le pagine di un qualsiasi poeta, che ben altro canta e pensa, spesso ne esce un verso, mirabilmente consono col fatto proprio; non è dunque strano se per un misterioso impulso dall’alto l’anima umana, pur ignara di quanto avviene nel suo interno, non per abilità, ma per accidente, faccia echeggiare alcune parole, che si armonizzano con la situazione e le faccende dell’interrogante.
Sant’Agostino, Le Confessioni,Libro IV
Per tradizione, meno parole ci sono, più il significato che racchiudono è grande… Forse perché avevano più spazio intorno, essendo il silenzio lo spazio che si concede loro? Giacometti una volta ha detto che preferisce fare sculture piccole perché creano esse stesse lo spazio intorno a loro; fanno apparire la stanza più vasta e nobile. Le parole e le sculture sono definite dal loro volume e dallo spazio. negativo (silenzio, vuoto) che le circonda. Parole tagliate bruscamente, parole glanés (raccolte), parole ascoltate casualmente – proiettiamo naturalmente su di esse elementi di fato, caso e destino perché ci “arrivano” e anche perché quando vengono interrotte o tagliate, segue un silenzio. Quel silenzio porta con sé un’aura di significato profondo; porta il nostro cervello a seguire il filo che ha iniziato e a dargli un senso. Il nostro cervello è assetato di significato. Più le parole sono casuali ed ellittiche, maggiore è la possibilità che contengono. Per la serie “Dos and Don’ts” (2021–in corso), che ho iniziato quando ci siamo incontrate per la prima volta a Berlino, ho collezionato libri sul galateo. Avevo scansionato alcuni passaggi, li avevo stampati e avevo raccolto centinaia di frasi per farne un collage, come biscotti della fortuna ammucchiati sul mio tavolo di lavoro. Ogni giorno ne sceglievo due o tre con cui realizzare un dipinto. “Unfolding your napkin with a slapping noise” e “Don’t hold your umbrella horizontally”. Tutte queste frasi spezzate hanno improvvisamente ispirato immagini bizzarre, lontane dalla loro funzione iniziale di codici di comportamento socialmente accettabili. La maggior parte dei libri di galateo parla di cosa non fare perché si basa sull’esperienza di ciò che è fastidioso, scomodo, sgradevole o sporco/malsano. Come hai detto tu, Estelle, il “non” ci spinge immediatamente a desiderare di fare ciò che è proibito, perché il fatto che ti venga detto di non farlo ti fa visualizzare cosa significherebbe effettivamente farlo. Forse sentiamo i “no” con più urgenza dei “sì”. C’è più stress e pressione intorno al “no”. I manuali di galateo sono un ottimo materiale per creare mantra perché sono didattici allo stesso modo, ma a differenza dei mantra non sono mai concisi. Le linee guida del galateo prevedono sempre spiegazioni, categorie e restrizioni (cosa non possono fare le donne, cosa non possono fare gli uomini, cosa non possono fare i bambini, come comportarsi come ospiti, come padroni di casa, come datori di lavoro e dipendenti, e così via…), e diventano obsoleti rapidamente. Le regole e i codici sociali cambiano così velocemente che la maggior parte dei libri di galateo diventa obsoleta e viene scartata, soffocando le librerie di seconda mano. Mi piace raccogliere le parole nei luoghi in cui sono state scartate. Per tornare all’idea che le parole diventano immagini, nei miei dipinti mi piace che le parole abbiano una dimensione ridotta, in modo da essere lette come una sorta di didascalia o sottotesto. Ho una particolare avversione per i testi “grandi”, che assomigliano a una pubblicità. È stato fatto così spesso e lo trovo autorevole. In qualche modo, un testo di grandi dimensioni viene svuotato del suo significato (come è successo a Love di Robert Indiana, immagine della Pop Art poi trasformata in una scultura d’arte pubblica). Inoltre, credo che alla fine mi piaccia più la narrazione che “l’immagine” del testo. Vedo i miei dipinti più come un testo illustrato e, in effetti, disegno e dipingo per la maggior parte del tempo con strumenti di scrittura, come i pennelli per la calligrafia. Molti dei miei riferimenti sono fumettisti, illustratori o incisori. I miei collage di testo e immagine non si uniscono mai in una singola forma definitiva. Forse sono più simili a un testo esteso. Nella nostra mostra, “Jus d’Orange”, mi piaceva l’idea che il testo si avvolgesse intorno all’immagine, come nei manoscritti medievali, in cui testo e immagine si fondevano insieme.
EH: La restrizione è stato un elemento importante nella realizzazione della mostra: soprattutto se penso a eventi come Covid, guerra, recessione, traffico aereo, ecc. Mi è mancato molto spiare le conversazioni sugli iPhone della gente sull’autobus durante il lockdown, ho una visione periferica da 10 e lode [ride]. Nella conversazione che abbiamo fatto per Ursula, la rivista di Hauser & Wirth, mi hai detto qualcosa come “L’umorismo è l’arma di chi non ha potere”. Penso al nostro lavoro per “Jus d’Orange” alla Fondazione ICA di Milano, dove abbiamo accoppiato frammenti di testi – non nella loro interezza – che si avvolgono intorno ai dipinti. Una delle opere, A Hand That’s Too Weak (2023), raffigura un buffo personaggio a testa in giù, esistenzialmente sconfitto, circondato dal degrado e dai colori mandarino sottili e leggeri. Un tipo strano e divertente [ride]. Trovo che questo processo di abbinamento testo/ figura sia in qualche modo simile a quello per cui individui oppressi uniscono le proprie voci represse a causa del loro status sociale/classe, razza, ricchezza, genere, sessualità, istruzione, geografia o altro. Le persone vengono messe a tacere per tanti motivi. Tuttavia, quando siamo deboli e quando la forza delle nostre mani viene meno, siamo contemporaneamente forti, spiritosi e potenti oltre ogni misura. No?
CH: [ride] Sì. Mi piace molto il modo in cui lo descrivi, Estelle. È il fantasma delle cose non dette. Quando stavamo lavorando a “Jus d’Orange”, credo che la parola “soppresso” mi sia venuta in mente, così come “pressato” o “impressionato”. Il personaggio di A Hand That’s Too Weak è sottoposto a una forza più grande di lui e di sicuro è op-press-iva. Nella serie, un altro elemento ricorrente è quello dei denti, che potrebbe rappresentare una sorta di consolazione, come un fuoco (in quel periodo leggevo Fleur Jaeggy, e molti dei suoi personaggi hanno dato fuoco alla loro casa). Mi sento impotente, ma ho i denti, mi sento oppresso, ma ho le parole; posso mordere con le mie parole e bruciare la casa con i miei pennelli, anche se è solo un gioco. Anche la tua scrittura ha questo spirito; un gatto dispettoso e agile che viene a mordere nel momento in cui meno te lo aspetti, anche se fa le fusa.
EH: [ride] Tranquillamente vizioso. Only As Myself (2022) è uno dei miei acquerelli preferiti. Rappresenta una donna vampiro, una versione femminile di Dracula impregnata di rosa, tutt’altro che silenziosa. Non le manca nulla. Ha un valore particolare perché è ancora sepolta sotto oceani di malinconia pittorica, paura e angoscia, eppure ha questa accettazione disinvolta della propria fragilità. “Sola con me stessa”. È eccitante trovarsi allo stadio embrionale della rizomatica accettazione di sé.
CH: L’umorismo spesso nasce dall’esperienza dell’abuso, dell’oppressione o dell’essere sopraffatti in qualche modo. La figura del vampiro è usata per rappresentare la crudeltà dell’aristocrazia (Dracula è un conte o un nobile), ma può essere vero anche il contrario; il vampiro può anche trasformarsi in vittima. La nostra Dracula è esile, ha un tono muscolare inesistente, sembra debole e fragile ed è pallida. È stata uccisa molte volte ma non è morta, e può perseguitarti di notte. La sua forza è la sua fragilità. La storia dei vampiri è stata inizialmente
ispirata dalla crudeltà della classe dominante, ma attraverso la cultura popolare, i vampiri (in particolare quelli queer) sono diventati una metafora dell’emarginato e della rivincita del femminile represso – come nella popolare serie televisiva “True Blood” o nel film indipendente A Girl Walks Home Alone at Night (2014).
EH: Adoro i vampiri anemici e disincarnati. C’è qualcosa di affascinante nel sapere di non essere nulla, che la nostra esistenza è insensata e insopportabile come quella di chiunque altro. Quando stavamo scrivendo i testi e le idee per “Jus d’Orange”, ho tratto piacere dal disordine esistenziale. L’idea più sana che possiamo avere è quella di impegnarci fino allo sfinimento nella disciplina necessaria per essere noi stessi, squilibrati e patetici, soffocati dalle vendette dell’infelicità. C’è una battuta che abbiamo usato nella mostra: “Lei sceglie la vita, o forse no. La logica è sopravvalutata”. Questa frase si lega a The Middle Child (2022), e probabilmente è per questo che il lavoro mi ha colpito: i figli di mezzo sono tutt’altro che ben adattati. L’immagine raffigura la Dracula donna che viene scopata a pecorina da un cane arancione
senape. Camille, a cosa pensavi quando hai dipinto la figura e il cane squilibrato?
CH: Mi dispiace deluderti, Estelle, ma non è stata scopata. Porta il cane sulla spalla. Detto questo, visto il numero di volte in cui qualcuno viene scopato nei miei disegni, l’equivoco è comprensibile [ride]. Su Instagram ho visto diverse foto di persone che trasportano cani molto grandi in metropolitana – cani troppo pesanti per loro – e sono diventata ossessionata da questa idea, dai diversi modi per trasportare un cane molto pesante. L’immagine, per me, parla della natura dell’amore e dell’attaccamento come qualcosa che ci costringe ad andare oltre le nostre capacità, fisiche ed emotive, ma col sorriso. Amo troppo i cani e amo troppo disegnare i cani. I cani sono creature molto banali; sono ovunque nel nostro ambiente. Credo che le cose banali siano ricche di significato e di interpretazione perché portano con sé il peso di molte esperienze umane diverse. Come il vampiro, il cane mostra i denti quando è arrabbiato ed è l’immagine dell’oppressore e dell’oppresso. I cani possono assistere il potere istituzionale, la polizia e le dogane. Un “cane” è anche un bruto che serve a chi è al potere, ma allo stesso tempo esistono modi di dire come “underdog”, “una vita da cani” e “una giornata da cani”. A New York, le persone sacrificano una parte enorme del loro reddito per i loro cani, e alcuni veterinari sono dei veri e propri ciarlatani che spillano soldi alle persone che pagano per amore dei loro animali. Io sono una di queste persone. Ho vissuto con un cane molto pericoloso e ho dovuto pagare i conti dell’ospedale delle persone che ha morso (“Sweet dreams are made of this, who am I to disagree…”).
EH: I newyorkesi, almeno da quello che vedo, sfruttano le razze di cani come indicatori di ricchezza. Con questo intendo dire che non si può tenere un cane delle dimensioni di un piccolo cavallo in un appartamento di 49 metri quadrati nel Queens. Ogni volta che vedo due Alani o due San Bernardi a Central Park, mi viene subito in mente la dimensione del loro splendido appartamento haussmanniano di Hudson Yards. Cane grande = tanti soldi. Mi piace anche il modo in cui i newyorkesi hanno aggirato il divieto di accesso alla metropolitana per i cani di grossa taglia praticando quattro fori per le zampe sul fondo dei sacchetti blu dell’Ikea e altri trucchi sfacciati. Far funzionare l’esistenza nonostante le restrizioni, distruggere i divisori, calpestare i regolamenti, ridere in faccia alla retorica legislativa e fare buchi nelle borse delle multinazionali è, a ben guardare, un concentrato di speranza. Succo di frutta concentrato contro le lacrime.