Lucia Longhi: Cattelan ha dichiarato di essere ufficialmente in pensione. Sono varie le motivazioni che negli ultimi mesi ha fornito: la volontà di distaccarsi dal quel tipo di opera d’arte che ha realizzato fino a ora, e che non sente più come mezzo ottimale per esprimersi, la volontà di continuare la sua evoluzione verso altri progetti, soprattutto editoriali con Toilet Paper e Permanent Food, ma anche volersi distaccare da un sistema dell’arte che non corrisponde più ai suoi valori, e dove, come lui stesso ha dichiarato, il prezzo di un’opera è diventato il suo certificato di qualità. Secondo te, andando in pensione, da cosa si sta veramente ritirando Cattelan?
Giancarlo Politi: Maurizio Cattelan è l’uomo che vuole i riflettori per poi sfuggirli. Cosa può pensare un artista che ha avuto una splendida consacrazione al Guggenheim Museum di New York? Quali altri traguardi potrebbe porsi come obiettivo da raggiungere? Io credo che Maurizio, ora più che mai, continuerà a fare, come agli inizi, l’incursore dell’arte. Un mordi e fuggi per continuare a sentire l’adrenalina degli alti e bassi del lavoro e del successo. Per sentirsi clandestino e cittadino onorario. Ne è già un esempio Toilet Paper, prodotto curioso ma non proprio eccelso per novità e qualità. E Maurizio sa benissimo, da grande voyeur qual è, che cercare su Internet o nel panorama dei media immagini curiose, per contrapporle o confrontarle, è un esercizio dada e post-duchampiano quasi banale, che però tiene accesa la fiammella dell’attenzione e della tensione. Sono quasi certo che Maurizio si diverta a creare il nulla o il vuoto dell’arte per auscultarne il peso e denunciarne le sue vanità. Non è infatti un grande gesto di creatività trovare uno sponsor (Deste Foundation di Atene) che finanzia tutte le ricerche e le bizzarrie di un tuo sogno o meglio di un diario privato? E riuscire a vendere una bolla di sapone per 12 euro rappresenta una bella sferzata di adrenalina. Altro che parole incrociate nei giardini, come è costretta a ridursi, ahimè, la maggior parte dei pensionati!
LL: Questo “addio così mediatico”, come lo ha definito Tomaso Montanari, accompagnato da una grande retrospettiva come quella che è in corso ora al Guggenheim, sarà la sua ultima azione spettacolare? O dobbiamo aspettarci altre strategie eversive, provocative e mediatiche?
GP: Penso di aver già risposto nella prima domanda che mi hai posto.
LL: Quanto è stato essenziale, secondo te, il contributo dei vari media nella produzione di Cattelan? Mi riferisco al rapporto simbiotico che intercorre tra le sue azioni artistiche e la loro risonanza mediatica, che lui ha sempre ricercato non tanto come propaganda quanto piuttosto come parte integrante dei suoi progetti.
GP: Maurizio è figlio del tempo e di questa società mediatica. Ha capito bene che la visibilità è la vera forma di arte del nostro tempo. E lui, con le sue grandi intuizioni provocatorie, è stato il grande maestro della spettacolarità mediatica. Sa bene che oggi, più di sempre, vige la regola di “Niente visibilità, niente (o poca) arte”.
LL: Mi puoi raccontare la genesi dell’opera Strategie del 1990 e come venne sviluppata l’idea? Come fu accolta dalla redazione di Flash Art? Ci fu un accordo con l’artista?
GP: Quando venne da noi, Maurizio Cattelan era un giovane artista proveniente da Bologna (così pensavamo, perché allora Bologna era la sua base di lavoro) assolutamente agli inizi. Un giovane artista curioso ma come forse anche altri. Per poter realizzare un suo lavoro, ci chiese 500 copie di Flash Art che noi concedemmo volentieri. In cambio, ci promise, come gentile omaggio e segno di riconoscenza per la collaborazione, una copia del lavoro che avrebbe realizzato e che noi ci dimenticammo anche di richiedere. L’opera (in diverse edizioni, una delle quali appunto doveva essere la nostra) si intitolava Strategie e secondo noi fu una sorta di biglietto da visita: l’arte è strategia, pianificata attraverso i media (Flash Art in quel caso e in quel frangente) e pertanto un castello di carta, anche se sorretto da un fortissimo collante (vinavil, credo), ma che in qualsiasi momento, a seconda di come soffiano i venti del gusto e dei trend, cioè dello Zeitgeist, può anche crollare. Grande coscienza del proprio gesto, ma anche della fragilità del sistema.
LL: Cattelan ha preparato per te le copertine di questo numero di Flash Art Italia. Come lavora? Lo fa da grafico, da illustratore, da poeta? Credi che in questa scelta di dedicarsi ora totalmente all’editoria emerga la sua vocazione a lavorare con le immagini mediatiche, che forse è sempre stato un po’ il filo conduttore della sua arte?
GP: Come lavora in realtà il vero Maurizio Cattelan solo pochi lo sanno. Chi risponde veramente alle sue interviste e come vengono realizzate alcune sue opere? Ma tutti sappiamo che lui è sempre presente e che niente esce dalla sua factory senza la sua attenta supervisione. Per cui il suo spirito aleggia in qualunque cosa provenga dalla factory. E come ho già risposto sopra, Maurizio è uno spettacolare manipolatore di persone e di immagini. Sappiamo che ha creato un team di collaboratori molto affiatato e di grande professionalità che ricevono da lui straordinari input che però sanno restituire con gli interessi.
LL: Maurizio Cattelan si è sempre dichiarato una persona timida, e soprattutto agli inizi della sua carriera ogni lavoro esprimeva il suo senso di inadeguatezza e la paura del fallimento. Quando ha capito che potevano diventare un punto di forza e una strategia? Oggi Cattelan ha ancora paura di essere inadeguato e di fallire? Quanto è rimasto della sua timidezza?
GP: A me pare che una parte della timidezza sia restata. Certo, ogni timido, attraversato dal successo e dalla ricchezza, diventa altra cosa. Mentre il timido sconfitto spesso porta in sé i segni della frustrazione, il timido vincitore si manifesta con sicurezza e talvolta arroganza. Cattelan certamente ama i riflettori a cui si nega per poi concedersi brevemente e in modo spettacolare. Dell’antico Maurizio resta però, assieme alla timidezza, una forte parsimonia, retaggio della sua estrema povertà giovanile. E in lui, credo, sono sempre presenti il senso della nostra inadeguatezza e la vocazione al fallimento.
LL: Hai recentemente affermato, in una risposta a un tuo lettore, che Cattelan ha capito il senso dell’arte di oggi, ossia “pura strategia”. Che cos’è l’arte di Cattelan, oltre a pura strategia?
GP: L’arte oggi (ma forse sempre) è in gran parte strategia e in misura minore prodotto. Da sempre sostengo che la visibilità di un evento è più importante dell’evento stesso e in grande misura sostituisce l’evento. Nella mia professione ho assistito al successo di eventi annunciati con grande sapienza, senza che avessero luogo. E che dire poi della Biennale dei Caraibi, ideata appunto da Maurizio senza opere e senza artisti, ma risoltasi solo come una vacanza di amici in un hotel caraibico? E che dire della partecipazione sempre di Maurizio alla sezione Aperto ’93 della Biennale di Venezia, in cui l’artista vendette il suo spazio a una agenzia di pubblicità? In questi casi l’arte diventa idea e concetto, smaterializzandosi. Si tratta di pura strategia o anche di prodotto?
LL: Il rapporto con i media per Cattelan è essenziale, vale a dire che le sue opere sembrano essere complete di senso solo se poste sotto i riflettori e immerse nella querelle mediatica e politica. Credi che le azioni di Cattelan avrebbero la stessa poesia e lo stesso impatto a livello sensazionalistico se non fossero supportate dall’eco mediatica?
GP: Ma Maurizio sa usare i media come nessuno. Io ritengo che nemmeno Hitler o Mussolini siano stati altrettanto bravi. Oggi i riflettori sono parte integrante dell’opera: niente riflettori, niente opere, direbbe qualche filosofo della contemporaneità mediatica. Senza questo supporto come sarebbe stato Maurizio? Certamente ne avrebbe inventata qualcuna delle sue. Ma entrare nel suo pensiero non è giusto e nemmeno possibile. Godiamoci allora le sue opere e le sue intemperanze.