La Collettiva “China Power Station” è un viaggio dentro la Cina, un modo trasversale di raccontare una dimensione che addensa un territorio e un’umanità immensi, una civiltà ritagliata fuori dalla Storia per buona parte del Novecento. Di opera in opera si forma un ideale ritratto che assomiglia a un quadro cubista con punte e dissonanze. La mostra alla Pinacoteca Agnelli, curata da Hans-Ulrich Obrist, Julia Peyton-Jones e Gunnar B. Kvaran, è il terzo episodio di un progetto nato dalla collaborazione tra la Serpentine Gallery di Londra e il Museo Astrup Fearnley di Oslo, seguendo l’idea di fare una ricognizione nel mondo dell’arte contemporanea cinese. Al centro la scena contemporanea, animata da artisti nati tra gli anni Settanta e gli Ottanta, i primi bambini venuti dopo Mao, con alcune presenze storiche di generazioni precedenti.Negli anni Ottanta, dopo lo slogan “l’arte al servizio del popolo” e la Rivoluzione Culturale, che aveva negato completamente la tradizione artistica e culturale, grazie, invece, alle politiche di apertura di Deng Xiaoping, iniziò un nuovo corso, una sorta di rinascimento. Gli artisti fiorirono e spesso si unirono in gruppi, l’Occidente filtrò diventando un modello, per esempio per l’85 Art Movement. Questo clima si interruppe violentemente con Tienanmen nel 1989, con un azzeramento del riconoscimento del ruolo dell’arte nella società da parte del regime. Poi, lentamente, l’arte cinese contemporanea ricominciò il suo percorso in patria verso una riaffermazione di esistenza, soprattutto attraverso l’interesse che riscuoteva sul mercato occidentale.
Le opere di “China Power Station” sono nate nel secondo millennio, ma arrivano da questa storia. I temi sono la negazione della tradizione e dell’individuo, la tecnologia, il recupero del passato, il rapporto tra Oriente e Occidente, tra uomo e natura, la ferita ancora aperta dell’ideologia uniformante e della propaganda sulla libertà d’espressione. È l’identità del popolo cinese che si racconta, un percorso pieno di cicatrici e di questioni aperte.
Ci sono opere monumentali come il Colosseo in terracotta che contiene una serra di Huang Yong Ping, la barca girata di Cai Guo-Qiang, il globo sonoro di Zhang Ding, la maquette in pelle di bufalo di Liu Wei. Insieme opere intimiste, come il ritratto di persone fatto attraverso i loro effetti personali da Liu Chuang, la città-giocattolo galleggiante che ondeggia sul pelo dell’acqua nel video di Hu Xiangqian, la valigia piena di foto del collettivo Bird Head. Si aggiungono la pittura fumettista di Sun Xun, i video che aspirano a una iconicità pittorica di Yang Fudong. È un pezzo di Cina in viaggio, difficile inquadrarla, impossibile prevederne l’evoluzione. Ci ha provato Obrist con una maratona, il format che porta in giro da qualche anno: un lungo flusso di interviste a protagonisti del sistema culturale. Per ore il 6 novembre 2010 architetti, designer, writer hanno integrato con le loro testimonianze la grande mappa composta dalle opere sullo sfondo.