Il Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino, ha avviato, tra il 2020 e il 2021, un programma di ricerca e attività dal titolo “Digital PTSD. La pratica artistica e il suo impatto sul trauma digitale”, che propone un’indagine – preliminare e interdisciplinare – sulle possibili forme attraverso cui un trauma da iper-digitalizzazione potrebbe manifestarsi nell’epoca contemporanea sia a livello individuale sia collettivo. Sebbene il Disordine da Stress Post-Traumatico (PTSD) legato alla sfera digitale non sia formalmente diagnosticato a livello medico, in molti campi scientifici – dalla neuroscienza alla psicologia e la epidemiologia –, così come in ambito politico e sociologico, si parla da tempo di possibili effetti traumatici legati all’eccesso di esperienza digitale: si pensi, ad esempio, alla dipendenza dopaminica volutamente innescata dagli smart-phones; il rinforzo della creazione di bolle di saperi separati; la trasformazione dell’esperienza umana in mega-dati lucrativi (il cosiddetto “capitalismo di sorveglianza”); il trauma digitale in relazione al sistema nervoso collettivo e le relazioni cognitive e mnemoniche; le conseguenze dell’erosione fisica della materia vivente e, ancora, l’impatto di questi fenomeni sulle strutture sociali, le gerarchie di potere e la conseguente polarizzazione ideologica. Con il termine Digital PTSD, ci si domanda se l’ossessiva e crescente dipendenza dalla tecnologia possa risultare una possibile causa di disagio psicologico, al benessere fisico e mentale, e quindi se sia da considerare una minaccia alla nostra stessa libertà e motivazione a vivere.
A rendere particolarmente urgenti tali quesiti è il contesto della pandemia globale da Covid-19: ci troviamo, infatti, ad attraversare un momento storico di chiusura forzata degli spazi di aggregazione fisica come i musei, ai quali viene contestualmente richiesto di aumentare le proprie attività digitali per poter costituire e mantenere un ampio pubblico. Consapevoli di come l’esperienza isolante dei ripetuti lockdown abbia sollevato preoccupazioni circa gli effetti potenzialmente traumatici del digital overload sulla soggettività e sul corpo sociale, ci sentiamo in dovere di attivare una riflessione su come affrontare le sfide del presente, e come prepararci a un futuro già prossimo, in quanto museo d’arte contemporanea attento alle proprie responsabilità nei confronti della comunità locale e cosmica. Ci chiediamo quale sia l’impatto delle tecnologie digitali sulla funzione culturale, sociale ed educativa del museo quale spazio storicamente definito da qualità organiche e materiche. Se i canali digitali diventassero la modalità principale – o persino esclusiva – di engagement con l’istituzione, andremo forse incontro ad un appiattimento della fruizione delle opere d’arte, che vengono trasformate indiscriminatamente in digital content? Quali sono le “buone pratiche” di lavoro nella sfera digitale per valorizzare questo territorio come un campo d’azione non gerarchico, non secondario e nemmeno derivato dalla dimensione fisica analogica, ma piuttosto imprescindibile e ad essa strettamente complementare?
Carolyn Christov-Bakargiev, nella sua introduzione al convegno online, afferma che “il Museo del futuro potrebbe essere uno spazio di negoziazione e comprensione di una sperimentazione di tipo meno binario: non il mondo virtuale oppure il mondo fisico – che è un ritorno a Descartes e sarebbe un atto folle da parte nostra – ma quello di diventare un luogo di negoziazione per comprendere questo regime epistemico digitale, uno spazio come una palestra o come un parco giochi”1.
La ricerca e sperimentazione delle possibilità epistemiche della sfera digitale nel contesto del primo convegno di Digital PTSD ha incluso l’affidamento delle traduzioni simultanee, e i relativi sottotitoli in italiano, alla combinazione di due software: la trascrizione offerta da Google e la traduzione di Google Translate. Ciascuna presentazione è stata introdotta dall’avvertenza che il linguaggio dei sottotitoli in italiano sarebbe potuto risultare “divertente, errato e spaventoso”. Le frasi erano, infatti, spesso scorrette e alienanti, come dimostra un passaggio della frase sopra citata di Christov-Bakargiev: “i musei del Futures potrebbero essere quello del culo fuori trattativa per capire questo regime epistemico digitale”.
La natura errata e assurda di questi testi, generati attraverso la combinazione di due software di intelligenza artificiale, non è solo buffa e a tratti grottesca, ma per certi versi anche vitale poiché risveglia la nostra attenzione soggettiva e critica nei confronti di processi cognitivi che ci stiamo abituando ad affidare sempre più spesso a macchine e oggetti cosiddetti “intelligenti”, “smart”, basati sulla statistica usata dagli algoritmi.
Le seguenti pagine raccolgono una selezione, a cura di Flash Art, di alcuni brani tratti dai sottotitoli italiani generati dal software nel corso di Digital PTSD – Parte I, a cui hanno partecipato artisti e scrittori tra cui Tabita Rezaire, Cécile B. Evans, Hito Steyerl, Grada Kilomba, Anne Imhof, Agnieszka Kurant, Marcos Lutyens, Chus Martínez, Cally Spooner, Stuart Ringholt, Éric Sadin; teorici, neuroscienziati ed esperti della realtà tecnologica, tra cui: Beatriz Colomina e Mark Wigley, Ophelia Deroy, Bracha L. Ettinger, Vittorio Gallese, Matteo Pasquinelli, Griselda Pollock.
Potrebbe sembrare paradossale che Digital PTSD presenti una critica del potenziale abuso delle tecnologie attraverso una piattaforma online. Tuttavia, nel suo complesso, il progetto non nega l’enorme potenziale delle piattaforme digitali come scambio di sapere, creatività, visibilità ed emancipazione di diverse comunità. Digital PTSD pone un quesito che mira a creare uno spazio di confronto critico collettivo sulla possibilità che stiamo, inconsapevolmente, facilitando l’affermazione di una tecnocrazia, che potrebbe anche essere una mediocrazia.
“Digital PTSD. La pratica artistica e il suo impatto sul trauma digitale” è un programma di ricerca avviato da Carolyn Christov-Bakargiev con Stella Bottai e Giulia Colletti. Digital PTSD – Parte I si è svolto online su www.castellodirivoli.org/evento/digital-ptsd il 12 dicembre 2020. Digital PTSD – Parte II si svolgerà giovedì 20 maggio 2021. Tra i relatori invitati ci saranno Ed Atkins; Carolyn Christov-Bakargiev; Devra Davis; Irene Dionisio; Aikaterini Fotopoulou; Vittorio Gallese; Vincent Hendricks, Catherine Malabou; Tabita Rezaire; Legacy Russell; Miao Ying.
“I think the Museum of the future could be a space of negotiation and of
understanding of an experimentation of a less binary sort: not the virtual
world or the physical world – which is a return to Descartes and which
would be nuts of us to do. But the future of museums could be that of
being a site of negotiation to understand this digital epistemic regime and
a space like a gym or like a playground”
↓↑
Penso che il Museo del futuro potrebbe essere uno spazio di negoziazione
e di comprensione di una permutazione X di tipo meno binario non il mondo
virtuale o quello fisico mondo che è un ritorno al gatto e che non saremmo
noi a fare ma i musei del Futures potrebbero essere quello del culo fuori
trattativa per capire questo regime epistemico digitale e uno spazio come
una palestra o come un parco giochi
–Carolyn Christov-Bakargiev
··· ··· ··· ···
“I’ve very much enjoyed seeing the paintings arriving, seeing also what is in
them, what interests me, and of course with Artemisia Gentileschi there’s an
alliance amongst women, there is a different kind of violence that is used, but
yet is used, and that’s the depiction of it.”
↓↑
Mi fa molto piacere vedere i dipinti arrivare come se avessi visto
la maggior parte di ciò che ciò che è in loro significherebbe
ora e ovviamente l’Artemisia gentileschi c’è un’alleanza tra le
donne come i serpenti laggiù che c’è un diverso tipo di violenza
che viene usata ma che ancora viene usata e tuttavia è come la
rappresentazione di essa
–Anne Imhof
··· ··· ··· ···
“I love staying at home, I love not having to travel. As a workaholic, with the love
of being with others, I have enjoyed staying at my desk and travelling to Bogotà,
in Colombia, or to Rhode Island, or to Melbourne in Australia without having Jet
Lag, without having to waste two days getting there and two days coming back
and having also to experience of wondering why I go to all this distances to talk
to somebody for an hour”
↓↑
Mi piace stare a casa la amo non dover viaggiare come maniaco del
lavoro con l’amore di stare con gli altri mi è piaciuto stare alla mia
scrivania e viaggiare a bogota in colonia o a rhode island oa melbourne
in australia senza avere il jet lag senza dover aspettare due giorni
arrivando in due giorni tornando e facendo ogni sorta di esperienza
chiedendomi perché ho fato tutte queste distanze per parlare con
qualcuno per un’ora
–Griselda Pollock
··· ··· ··· ···
“So the question for me in the end is what is the nature of this new interior in
which we have decided to collectively, so to speak, check ourself in, what is
the architecture of these places in which night and day and work are no longer
differentiated and we are constantly and permanently under surveillance”
↓↑
Stai lavorando in un ufficio e devi iniziare le persone lo sono preferendo fare
questo ad esempio cosi la domanda per me è qual è l’architettura di questo
posto quando era carino e un nuovo media in molti modi può una sorta di azione
per i detenuti necrosi uno spuntino ha i capezzoli
–Beatriz Colomina e Mark Wigley
··· ··· ··· ···
“Thank you Carolyn, I stayed during a few talks, and I listened to Grada, to Anne,
and to Hito, and I saw, and I felt a sudden thread, a sudden interest and attention
that is connecting somehow, connecting all of us through you – because you
put it together somehow – and I’m going to start with the work of Anne Imhof”
↓↑
Ringraziare Carlene e io siamo rimasti durante i discorsi sulle scarpe e ascolto
per afferrare questo ad Anna nell’hito nell’anima e ho sentito certe minacce e
interesse attenzione che si collegavano in qiualcje modo connettendoci tutti
in qualche modo attraverso di te perché lo metti insieme in qualche modo e io
comincio comincerà col lavoro che non mi diverto.
– Bracha L. Ettinger
··· ··· ··· ···
“One of the main topics of my work is trauma, and trauma – the word trauma – is
in the very title of this conference – digital virtual conference – and I think that
is important for me to talk on how I connect with this word and how I connect
this to the topic, maybe”
↓↑
Uno degli argomenti principali del mio vorresti, e il fascino del trauma del legno
è nel titolo stesso di questa conferenza digitale che terrà una conferenza e
penso sia importante per me che forse parlare di come mi connetto con le sue
parole e di come le collego sono queste all’argomento
–Grada Kilomba
··· ··· ··· ···
“I think that a good way to introduce the notion of “Experience” is through the
words of John Dewey, who in 1934, in “Art as Experience” wrote “Experience
is the result, the sign, and the reward of that interaction of organism and
environment which, when is carried to the full is a transformation of interaction
into participation and communication”
↓↑
Penso che non vedo l’ora di introdurre 1934 nell’esperienza di Arthur Esperienze
stradali che risultano il segno nella ricompensa di quell’interazione degli
organismi in un ambiente
–Vittorio Gallese
··· ··· ··· ···
“Various questions that one can ask with Covid, I think, are related to this trauma
idea, that is the idea of a painful trace that our experiences during the time of
Covid will have on our emotional and social life”
↓↑
Dario domande che quando posso chiedere con covita pensa è patetico per
questa idea che è l’area di una traccia dolorosa che o le esperienze durante il
periodo dei biscotti avranno vite emotive o vite
–Ophelia Deroy
··· ··· ··· ···
“I find it very fascinating and very interesting, this idea of small traumas that our
brain basically self organises in order to adapt to the environment, maybe in
order to be prepared to bigger traumas that our experience has to encounter”
↓↑
lo trovo molto affascinante e molto interessante da dire diab piccola
promessa che pioverò ogni giorno fondamentalmente auto-organizzato
per adattarmi all’ambiente e forse per essere preparato ad essere molto
gautreaux quanti voglio
–Matteo Pasquinelli