Lucia Longhi: Nella mia tesi analizzo il rapporto di Maurizio Cattelan con i media, rapporto che a mio parere si declina in vari modi.
Francesco Bonami: Innanzitutto, si serve dei media come cassa di risonanza, ma non solo a scopo promozionale, bensì come parte integrante dei suoi progetti. L’intervento dei mezzi di comunicazione e l’eco che essi producono contribuiscono all’attribuzione di senso e alla realizzazione delle sue opere. In secondo luogo, le immagini da cui Cattelan ha tratto ispirazione per le sue opere, come spesso ha dichiarato, sono immagini mediatiche, che lui trova nei giornali, in tv o su Internet. Si serve cioè della loro potenza comunicativa e del loro fascino immediato per realizzare a sua volta immagini che siano d’impatto. Infine, mette in scena in qualche modo le promesse disattese che ci vengono fatte dai mezzi di comunicazione. A mio parere il legame di Maurizio Cattelan con i media è quindi molto forte, perché li usa come campo per le sue strategie (la sparizione, la moltiplicazione e la sostituzione dell’identità, la provocazione), come supporto (ha realizzato opere servendosi di giornali, e ha realizzato molte interviste), come cassa di risonanza e come fonte di ispirazione. Li teme e li cerca allo stesso tempo, in un rapporto che potrebbe dirsi d’amore e d’odio, e simbiotico, considerata la condizione di sottomissione e dipendenza in cui si trovano i media nel “dargli la caccia”.
LL: Tu conosci molto bene Maurizio Cattelan, hai lavorato con lui a numerosi progetti. Fin dall’inizio ha evitato il contatto con il pubblico e con i media, escogitando strategie per sottrarsi ai suoi doveri istituzionali di artista. La spiegazione che ha sempre dato è la timidezza, un timore del confronto con il pubblico e con la stampa, e la paura del fallimento. È davvero così timido come si dichiara? Lo hai visto cambiare nel corso degli anni?
FB: Certo che è cambiato, adesso è felice di un bagno di folla! Nascondersi è difficile. Il successo è contagioso. La fama, una droga. La visibilità, una malattia infantile.
LL: A che punto della sua carriera ha capito che la sua timidezza e le sue paure potevano essere convertite in strategie?
FB: Dopo il successo della Nona Ora.
LL: Come intervengono secondo te i media, in particolar modo la stampa, nelle sue opere?
FB: Le opere di Cattelan hanno una tripla vita. Nella realtà, nei media e nella memoria. La prima vita è umana, la seconda spirituale, la terza eterna.
LL: Credi che il rapporto dell’artista con i media sia dunque essenziale per la sua opera? I suoi lavori sarebbero stati gli stessi senza l’intervento ogni volta così forte e incisivo da parte dei media?
FB: Assolutamente no. Come Berlusconi non sarebbe stato lo stesso politico se non avesse utilizzato i media come li ha utilizzati. Nessuno oggi è lo stesso di prima, una volta che dalla realtà della vita passa all’irrealtà della comunicazione.
LL: Mi sembra che ora Cattelan abbia cambiato strategia: dal fuggire e nascondersi al pubblico, è passato all’uscire allo scoperto, rilasciare interviste approfondite che si traducono in un libro come quello della Grenier, accettare progetti biografici come la sua Autobiografia non autorizzata e una personale spettacolare ed epica come quella del Guggenheim, per non parlare della trilogia The Taste of Others. Vedi anche tu questo cambiamento di tattica nei confronti dei media e del “mondo lì fuori” , come lo chiamava lui? Come lo giustifichi?
FB: Stessa risposta della domanda n. 1.
LL: Cattelan ha dichiarato che non è mai stato interessato all’effetto mediatico che producono le sue opere, bensì soltanto al dibattito che creano. Credi che invece la ricerca dell’attenzione della stampa e dei media sia voluta e calcolata in fase progettuale, come componente dell’opera stessa, in un certo senso?
FB: Balle! Certo che è calcolata. Ma questo non toglie che se sbagliando i calcoli non c’è dibattito, per lui il lavoro è ugualmente un fallimento.
LL: In “Being Cattelan”, come anche in Lo potevo fare anche io, affermi che Cattelan lavora da pubblicitario. La direzione che sta prendendo ora è quella dell’editoria, con riviste fatte di pure immagini. È giusto dire che in qualche modo il suo lavoro è sempre legato alla mediaticità e all’immagine spettacolarizzata?
FB: Il suo lavoro è legato all’immagine mediata. Le foto che vediamo della mostra al Guggenheim raccontano una mostra che non esiste davvero. Il museo sembra molto più grande, le opere sembrano esplodere nello spazio, volare, mentre invece dentro al museo sono molto pesanti, si sente che sono appese e lo spazio sembra molto piccolo. Ma quello che rimarrà nella memoria e nella storia dell’arte saranno le immagini e quindi un’altra mostra. Quando tutti quelli che l’hanno vista dal vero saranno morti, chi vedrà su un libro di storia dell’arte quelle immagini penserà a una mostra completamente diversa e questo è ciò che credo Cattelan avesse in testa. Le foto della mostra sono la vera mostra, quella che l’artista aveva immaginato nella sua mente, senza i problemi tecnici. La mostra ideale. L’archetipo della sua stessa mostra.
LL: Cattelan ha dichiarato che vuole andare in pensione, fornendo diverse spiegazioni. Per te, che lo conosci, da cosa si sta ritirando?
FB: Vuole lasciarci la voglia di lui. Come quando i Beatles si ritirarono. Ancora oggi ne abbiamo nostalgia.
LL: Abbiamo visto la critica schierarsi su diversi fronti davanti al lavoro Cattelan. Credi che siano più quelli che lo amano o quelli che lo ritengono un buffone?
FB: 60% e 40%; del 60% che lo amano, il 40% sono quelli che lo collezionano.
LL: Cattelan è riuscito ad ammaliare, con immagini quotidiane e familiari. Come un burattinaio, per citarti, ha creato uno spettacolo dove ha messo in scena i drammi, le paure, le fatiche dell’esistenza di ogni essere umano, in cui gli attori siamo noi, inconsapevoli, o felicemente consapevoli, marionette del suo show comico e al contempo drammatico. Chi sarà il prossimo Cattelan? C’è qualche artista che si avvicina a questo tipo di arte e di poesia?
FB: Hirst sicuramente, con molte delle sue prime opere. Futuri non ne vedo al momento. D’altronde, dopo Caravaggio non c’è stato più un altro Caravaggio.