Anche gli dei amano le barzellette, scriveva Aristotele. George Bernard Shaw trovava che la verità fosse, tra tutte le cose, la più divertente. Mae West pensava che è difficile essere spiritosi quando devi essere onesto, mentre George Eliot credeva che avere gusti diversi riguardo alle barzellette potesse generare una sorta di sforzo nell’affettazione. Ma se “la brevità è l’anima dell’ingegno” (Amleto, II, 2), allora la risata ha il potere di colpire ma mai di durare, ci concede alcuni momenti di sollievo, ma poi svanisce e noi torniamo alle nostre fatiche di Ercole.
Il potere, non l’umorismo, invade la memoria e impregna i suoi rituali, totem, bandiere, simboli sacri e le sue società segrete di una particolare intensità psicologica. E ancora, una barzelletta, o un fumetto astuto, una scivolata allevierà una massa dalle sue tensioni o abbasserà il profilo dell’uomo “tutto d’un pezzo”. In un libro intitolato The Funnies, An American Idiom, pubblicato nel 1963 a firma di David Manning White e Robert H. Abel, veniva messo in evidenza che una singola striscia di fumetti di Blondie raggiungeva da 600 a 700 mila lettori alla settimana, ed essendo pubblicata in 1200 quotidiani veniva letta da 17 miliardi (!) di lettori all’anno, avvalorando la nostra dedizione allo svago dopo il lavoro. E mentre la religione un tempo salvava dalle profonde ferite cosmiche dell’inesorabilità della vita, il divertimento e l’arte in tutta lo loro complessità sono quanto ci rimane per alleviarci dalle tensioni dalla nostra epoca. Ma che cosa succede se l’arte ci affranca dalle tensioni e ci permette di riflettere su di esse?
Diciamo che esistono due tipi di comici, uno più macchiettistico e l’altro più estemporaneo. Il primo mette in scena l’elemento di routine, il secondo viene sollecitato dal contesto. Comunque sia, il nostro comico è un artista. Ha un’agenda che viene programmata e portata in scena, mentre l’altro lavora con il contesto. Maurizio Cattelan rientra nella seconda tipologia: è un improvvisatore, un manipolatore dei luoghi e delle situazioni, una specie di Houdini dell’arte — nel senso che gli piace organizzare lo show ma ne esce il più rapidamente possibile. È allo stesso tempo un folle, un intrattenitore, un pagliaccio, un mago, un provocatore, uno stuntman. Per quanto concerne le arti visive, è un performer di quelli che non deve accattivarsi la folla a tutti i costi, ma preferisce creare degli specchi in cui specchiarsi su entrambe le superfici. Ciò che lo rende un comico è la natura sporadica dei suoi eventi — la parola “mostra” gli si addice poco — e la loro eterogeneità. Può essere superficialmente politico, dato che ha una visione troppo cinica della politica per impressionarci con il suo altruismo, come i film drammatici di Robert Bresson o quelli divertenti di Nanni Moretti. I suoi eventi hanno la portata della tragicommedia del teatro realistico, del dramma e della comicità tipica del cinema muto. Cattelan non è arrivato all’arte tramite i normali canali delle scuole d’arte, vi si è ritrovato a causa di un default evolutivo. All’inizio era un designer di mobili (alcuni pezzi sono ancora in vendita in qualche negozio di Milano), poi è stato coinvolto nella riparazione di oggetti che decostruiva come pezzi d’arte — biciclette, sedie, tavoli — e più tardi è diventato un performer, abbandonando l’aspetto artigianale e lavorando sui parametri psicologici. È diventato così un pubblicitario, qualcuno a cui piace andare oltre le convenzioni, che ama far vedere che lo fa per poter tornare indietro e, preferibilmente, tornare a casa. A tale proposito, Cattelan è sia un maratoneta che uno sfortunato coyote, un bombarolo corso vittima di se stesso — il che significa che calcola i suoi obiettivi, ma mette la firma alle sue bombe. Cerca nelle caratteristiche specifiche del suo contesto un dispositivo appropriato per creare un effetto a sorpresa, che non riguarda solo l’obiettivo ma, di riflesso, il suo stile: lo stile Cattelan.
Forse, dunque, dopotutto ha una sua comicità? Il contesto gli permette un’improvvisazione di tipo jazz che richiede un canovaccio e un assortimento di motivi a cui attingere. Come molti artisti, Cattelan si muove in quella zona grigia chiamata ambiguità, dove per qualsiasi cosa si sa che esiste qualcos’altro di nascosto, e di conseguenza regala molte domande e altrettante risposte. La sua comicità, a ogni modo, è stilisticamente polimorfa, ma la sua competenza è quella di un artista fortemente emergente, il cui profilo psicologico si pone a metà tra il lamento e l’indignazione, l’abnegazione e la ribellione, la commedia e la tragedia, lo zimbello umano e la papera di un fumetto.
In breve: nel 1989 ha fondato un’organizzazione immaginaria, Cooperativa Romagnola Scienziati, la cui attività principale era quella di pubblicare in numerosi giornali italiani lo spot “Il tuo voto è prezioso. Tienitelo!”. L’anno dopo, sotto lo pseudonimo “A.C. Forniture Sud” e una compagnia di trasporti inventata, RAUSS (in tedesco, “fuori dalle balle”!), ha organizzato e sponsorizzato una squadra di calcio composta interamente da immigrati senegalesi. Nel 1991 hanno gareggiato contro le personalità del mondo dell’arte, combinando il più grande passatempo del XX secolo, il calcio, e il suo più grande problema sociale, il razzismo. Nel 1992 ha installato in una galleria una grande cassaforte che era stata svuotata da 76.400.000 ladri; in Super US (1993) ha messo in mostra degli sketch polizieschi che raffiguravano lui stesso come persona scomparsa. Per Lullaby (1993) ha trasportato con un carrello le macerie di un attentato terroristico avvenuto vicino a un centro d’arte (in cinque persone rimasero uccise) e le ha depositate in un carcere.
Nello stesso anno, ha anche raccolto fondi per un’opera d’arte la cui finalità era di non essere esposta per un anno, e ha affittato lo spazio che gli era stato destinato dalla sezione “Aperto” della Biennale di Venezia per la pubblicità di una marca di profumi.
In altre opere ha murato fuori una galleria un orsacchiotto in modo che, scivolando su un filo, potesse essere visto solo dalla finestra; ha messo in scena una performance in cui era un prigioniero che evadeva con una corda la notte prima dell’inaugurazione, per non riapparire più. E ha realizzato una mostra con una cartolina dalla Florida intitolata “Choose Your Destination: How to Get a Museum-Paid Vacation”, oltre ad avere organizzato una conferenza sul turismo in Florida. Ci ha fatto guardare l’arte, le mostre e le performance attraverso un processo di ampliamento della prospettiva fenomenologia gettando fumo sulle autorità e rendendoci muse ispiratrici.
Ha anche inserito nelle sue performance i suoi galleristi. Per esempio, a Parigi, nella Galerie Emmanuel Perrotin, il gallerista, che si dichiara malato di sesso, e che lui chiama Errotin le vrai Lapin, indossava il costume rosa di un coniglio a forma di pene, che Cattelan aveva realizzato negli studi di Cinecittà, in Italia.
Ha anche chiesto l’aiuto di un disegnatore di fumetti professionista italiano di nome Manfrin per realizzare i disegni per lo spettacolo — spesso recluta dei professionisti, della serie: due artisti al prezzo di uno.
In alcuni lavori ha utilizzato animali veri per suscitare pathos: un asino legato in una galleria di New York, un cavallo impagliato sospeso dal soffitto in The Ballad of Trotsky, con il corpo cascante come se fosse ancora vivo; in Bidibidobidiboo uno scoiattolo suicida è riverso sul tavolo di una cucina in miniatura, con un lavandino, una caldaia, un tavolo e le sedie su un piano inclinato per dare la sensazione di una vita teatrale.
Cattelan è anche molto generoso: in Svezia ha modificato la sua performance in Interprize, conferendo un premio di 10,000 dollari alle persone che lavorano nel mondo dell’arte contemporanea. Inteso come un premio in corso, quest’anno è stato assegnato alla rivista Purple Prose. Più recentemente, per una mostra ad Amsterdam, ha trafugato il contenuto di una galleria vicina spacciandolo per la “sua arte”. Il gallerista era indignato, Cattelan è stato richiamato e trascinato a casa apparentemente sconfitto. O lo era per davvero?
Perché se quello era un fallimento, lo sono tutti, come lo è la maggior parte dell’arte nei confronti del più ampio contesto di sopravvivenza cosmica. Cattelan non sta cercando di generare qualcosa di concreto — come i mobili — ma di evocare qualcosa di commovente e indimenticabile come per esempio il cartello apocalittico Dead End. Insomma, sta cercando di fare bene un lavoro strano e di uscirne il più pulito possibile. Ma questo ci svela qualcosa su di lui e cioè che è esperto di rapporti eccezionali tra arte e vita quotidiana.
In questo periodo, l’arte si fonde con generi diversi come la moda e il cinema, ma il suo impatto sul pubblico è ridotto; inoltre, è diventata effimera. Cattelan esalta quest’ultimo aspetto e tratta l’arte come una forma di gioco, nonostante sia una cosa seria, in cui cerca di innescare una percezione il cui unico scopo è quello di risolverla in un toccante riconoscimento di qualche piccola immagine metonimica prodotta dalla mente e forse anche di provocare una risatina.
L’arte e l’artista sono stati descritti sotto vari punti di vista metaforici, sia che quest’ultimo appartenga al mondo della commedia, del terrorismo o che abbia qualche varietà stilistica, mantiene i tratti che noi associamo all’arte e che, bisogna dirlo, è la comunicazione della propria autoconsapevolezza e della dimensione della vita artistica. E anche se l’arte si basa sull’innovazione, la maggior parte degli artisti interagisce perfettamente e appartiene alla categoria dei comici che seguono uno schema: dunque, sai cosa aspettarti da loro perché lavorano secondo il loro stile.
Nonostante Cattelan domini lo spazio, i suoi eventi hanno una qualità fresca, anche se chiassosa, che richiama quelle trasformazioni radicali degli anni Settanta, quando non avevi la più pallida idea di cosa aspettarti entrando in una stanza.
Allo stesso modo, Cattelan spinge oltre l’arte con la sua particolare intensità, che è psicologica e fisica in maniera diversa rispetto ai suoi antenati radicali, se non altro perché non ha velleità politiche o sociali, ma crea un’arte che va direttamente al cuore delle cose.
In letteratura, il passaggio dal Modernismo al Postmodernismo avviene attraverso il teatro dell’assurdo di Ionesco, la “letteratura dell’esaurimento” di Borges (come l’ha definita John Barth nel celebre saggio del 1997) e le strategie della fine del gioco di Samuel Beckett. Il Postmodernismo eclissa e ricolloca il sotterfugio ormai chiaro di Beckett “Io non posso andare avanti. Andrò avanti” — un gioco falsamente modesto sulla continuità (e non può che essere falsamente modesto); ripropongono il passato come dei travestiti che fanno un gioco di società. Dunque: le storie hanno un loro percorso, ma la fine non è mai la stessa, anzi, viene narrata in modi diversi. Diversamente dai protopostmodernisti degli anni passati, i Sessanta e i Settanta (che potrebbero non accettare la conclusione del Modernismo perché la continuità non fa parte del loro linguaggio), il Postmodernismo guarda al Modernismo come una panoplia di stili che deve essere rifatta e riassemblata. La generazione di Cattelan (è nato nel 1960) è orfana di quel Modernismo fatto in casa, tanto quanto del cosiddetto “fallo di nuovo!” postmodernista. Il suo stratagemma consiste nel ventilare (per usare un termine riferito a fare l’amore di Harry Crews) una vecchia storia sull’arte. Le sue storie si riferiscono alla trasgressione e alla conquista, al presente con un piccola rivendicazione nei confronti del passato, come una vecchia istituzione che necessita di un restyling. Egli usa ogni varietà di significati per sperimentare il limite di una situazione; mostra come la intende e prova a renderla chiara e immediata. Ha reso vecchio lo stile degli anni Settanta. Il mondo dell’arte, a partire dall’arte romana, è la capacità dell’artigiano di mettere insieme le cose. È connesso all’“arma”, che è lo strumento per mettere insieme le cose e “articulus”, che significa piccolo incastro, dal quale noi facciamo derivare la parola “articolo”, come le articolazioni del corpo secondo una convinzione culturale. L’arte, naturalmente, è un sottoinsieme delle conoscenze di ognuno e rappresenta, in una grande varietà di modi, la relazione tra l’interiorità psichica e l’esteriorità sociale; è inoltre uno strumento di conoscenza creato per comunicare qualcosa di più grande. Nella “tradizione” dell’Avanguardia, gli artisti si sono comportati come parassiti nell’agar culturale, diffondendo la loro influenza, cercando attenzione, forgiando carriere come se fossero strumenti professionali. In questo momento, gli artisti ritornano agli impulsi atavici con l’obiettivo di costruire una cosmologia composta da diversi elementi — cercando e raccogliendo in uno spazio riconfigurato da una tecnologia veloce e immagini telecinetiche. E così cerchiamo una Gestalt gargantuesca della mente e del corpo, oltre a un sistema che le tenga insieme. La produzione dell’arte ha infatti origine dalle mani e dalla mente e la relazione essenziale tra sapere della mano e macchinazione della mente è ciò che i suoi sensi conoscono intimamente. La relazione tra pensiero e processo include l’analisi dell’arte. Cattelan non è certamente il primo ad abbandonare il lavoro manuale per quello “mentale”, che è l’essenza dell’arte concettuale, della performance, di Fluxus, correnti sorte dalla decostruzione dell’arte. Per i postmodernisti, gli studio d’artista divennero centri di ricerca, mentre i lavori erano spesso fabbricati altrove, e da altri. Cattelan, a ogni modo, non costruisce su modelli artistici del passato, non gli interessa. Quello che fa è guardare oltre i parametri dell’arte e delle sue istituzioni; calcola la logica della possibilità tra la mente e ciò che ha in mano — il contesto — e poi prova ad allontanarsi da se stesso il più lontano possibile, un classico. Ci sono tre sillogismi:
Tutte le persone muoiono
Cattelan morirà
Cattelan è una persona
Tutti gli artisti muoiono
I parassiti muoiono
Gli artisti sono parassiti
Alcuni artisti sono italiani
Cattelan è italiano
Cattelan è un artista
Nella logica del sillogismo, la premessa minore fa posto a un livello di astrazione che si risolve in una conclusione (qualcosa come l’estetica hegeliana di tesi più antitesi che si risolve in una sintesi). Nel secondo sillogismo, la metafora è sostituita (gli artisti sono metaforicamente parassiti); mentre nel terzo una distorsione delle logiche finisce per diventare un gioco: Cattelan è un artista. Cattelan applica la logica analitica del primo, segue alcuni modelli della sequenza logica, che per lui implica luogo, persona e prodotto finale. Questa è la logica di mente e corpo, pensiero e processo. Egli usa la logica metaforica del secondo, che è la logica di arte e religione, in base alla quale, per analogia, si associano il pane e il vino e il corpo di Cristo; il calcio è una moderna performance di combattimento cerimoniale, anche se il tavolo da gioco non è sufficientemente grande per venti giocatori; il vestito da coniglio è per un vero erotomane che gioca con se stesso: attraverso l’intercessione di Cattelan, l’identità dell’assatanato è stata portata in superficie, come nella performance di un attore. Poi Cattelan gioca sull’assurdità del reale, con il serio proposito di sfogare la tensione ed evocare un sentimento di commozione — tutto questo mentre ci sta intrattenendo. Non riuscire a capire la distorsione nelle associazioni logiche tra le cose significa cadere in un doppio vincolo, un classico sintomo della schizofrenia (il doppio vincolo, o double bind, è un concetto psicologico elaborato dall’antropologo e pensatore Gregory Bateson, e utilizzato in seguito da altri membri della cosiddetta Scuola di Palo Alto, ndt). Superare la distorsione, riconoscendola, può vuol dire semplicemente vedere lo humour e l’assurdità in un doppio vincolo. Nello slapstick e nei cartoni animati i personaggi sono spesso inconsapevoli nelle situazioni difficili; nella letteratura un autore può dare vita a personaggi ridicoli consapevoli della loro pazzia o ignari di essa. Stendhal, per esempio, ha reso i suoi personaggi sofferenti perché essi erano abbastanza intelligenti da essere consapevoli delle conseguenze della loro stupidità. Quelli che sono completamente inconsapevoli del doppio vincolo lottano con esso o soggiacciono alle distorsioni nelle associazioni logiche, mentre quelli consapevoli sono costretti ad accettarle, il che spesso si risolve nello humour o semplicemente una presa di coscienza della suspance. Come era solito fare Will Rogers, Cattelan getta l’autorità — galleria, gallerista, arte, e anche se stesso — nei ruoli da commedia che interpretano naturalmente se stessi. Egli si mette nei panni di attore e regista-demiurgo in un’ambigua realtà tragicomica in cui dissimulazione e rivelazione sono alla base di un messaggio metaforico e tragedia e commedia si confondono nella sua doppia logica delle conseguenze — le persone interpretano le loro identità; uno scoiattolo, proprio come se fosse un uomo, si suicida; una squadra di calcio da tavolo composta di 22 giocatori trasforma un passatempo in una metafora della libertà-per-tutti nella vita di tutti i giorni; il regalo e l’affitto di spazi sono modi per gli artisti di esserci o non esserci ed espandere le possibilità dell’arte. Sono tutti strumenti per fare qualcosa — più ambiguamente delle parole, dove l’implicita succintezza rappresenta la soluzione all’ambiguità della sopravvivenza: le cose che uno fa sono strumenti per il gioco cosmico della sopravvivenza. La vita stessa è, in un certo senso, una burla: una maschera che nasconde un personaggio indefinito che non ha altra origine se non quella che noi gli assegniamo. Tutto quello che Cattelan fa è una burla, inscenata non solo per farci divertire, ma anche per animare un meccanismo di sopravvivenza disordinato e opposto alla burla: l’arte.