Marco Tagliafierro: La pittura è per te incontro tra dati scientifici e psicologici, tra il valore cromatico e strutturale, nel rapporto con effetti emotivi e di sensazione, che costituisce il significato della ricerca. Analizzi (dal mio punto di vista) i parametri del colore (tono, chiarezza, saturazione), gli effetti dei complementari, in una sorta di ripercorrimento delle esperienze dei maestri delle avanguardie legati all’astrazione geometrica.
Eloise Ghioni: Più che di pittura vera e propria, definirei il mio modus operandi come un approccio pittorico che si evince in ogni lavoro. Dai quadri, alle sculture, alle fotografie/video. Di fatto le mie opere, anche quelle strettamente più pittoriche, non sono quasi mai dei veri e propri quadri, ma ibridi a cavallo tra pittura e scultura. Indipendentemente che il lavoro sia bi o tridimensionale pongo un’attenzione quasi maniacale al dettaglio, proprio come accade nella grande pittura e questo mi avvicina sicuramente al filone pittorico. Tuttavia, la mia ricerca non si è mai focalizzata alla superficialità dell’opera, bensì all’insieme degli elementi di cui è composta. Pertanto la materia, la forma, il colore e il contenuto, costituiscono l’interezza del lavoro. Ogni opera nasce dapprima attraverso un concetto che poi si consolida in materia per concludersi in forma.
MT: Considerando il concretismo astratto una mascheratura razionalizzata dell’emotivo, miri a sollecitare una capacità di sentire una nuova intelligenza emotiva?
EG: C’è un’assoluta verità nella tua analisi, infatti è proprio con questo criterio che ogni lavoro prende vita. Il raggiungimento dell’obiettivo, ovvero l’opera compiuta, avviene attraverso un rituale intimo e interiore ma che si manifesta mediante un linguaggio formale e razionale. In Time and space are fragments of the infinite for the use of finite creatures, infatti il colore costituisce il codice di lettura dell’opera stessa. Questo quadro fa parte del progetto di una mostra personale che ho esposto l’anno scorso in Svizzera (“Future Perfect”), e rappresenta l’astrazione dell’elemento atomico dell’acqua; l’intera mostra si articolava nell’indagare in modo intuitivo, ma anche scientifico e antropologico, l’origine della vita sulla terra e di come nella storia dell’umanità, varie civiltà, da quelle appartenenti al periodo neolitico (nello specifico tra l’età del bronzo e del ferro), a quelle pre-colombiane, fino alle megalitiche europee, abbiano cercato di dare una loro spiegazione riguardo questo grande tema. Il mio intervento è stato quello di porre un’attenzione sui simboli che sono stati adottati in questa analisi e ricontestualizzarli nel contemporaneo, adoperandoli a mia volta come fossero un linguaggio astratto geometrico universale. Infatti se pur in epoche diverse, distanze geografiche immani, e senza la comunicazione globale… esiste una similitudine marcata tra simbolo e significato, proprio alla pari di qualsiasi altro linguaggio. Ed è come se ognuno di noi, inconsciamente, si portasse dietro una conoscenza atavica sugli archetipi impressa nel proprio DNA, una parte integrante della nostra evoluzione culturale che si arricchisce di generazione in generazione.
MT: Nei tuoi lavori cerchi la vitalità sensibile del colore e ne dilati la pelle nello spazio, mirando a una spazialità non euclidea, ma basata su elementi “tissulari”, oltre che geometrici. Il colore comunica i sentimenti tramite la strada diretta della percezione sensitiva. E ancora: il colore agisce sui sentimenti e così influenza il nostro stato biologico. E intendi lo spazio non più come cartesiano ma come spazio vitale pienamente fiducioso nella propria intelligenza emotiva.
EG: La concezione spaziale è sicuramente dilatata e non rigida o fissa. Ho sempre considerato lo spazio come anche il vuoto un elemento pieno con il quale interagire o far interagire l’opera. Ed ecco perché come già affermato, non ritengo la mia disciplina una pura pratica pittorica, ma piuttosto un’attitudine pittorica, nella qualità specifica che possiede il pittore nel vedere le cose: i colori, le luci e le ombre; e quindi essere in grado di rendere visibile ciò che è invisibile.
MT: Così la geometria apparentemente esatta è, per te, un mezzo di analisi psicologica e comportamentale?
EG: La geometria è di fatto il linguaggio universale per eccellenza: attraverso intricate strutture geometriche sono costituiti tutti gli elementi che conosciamo, la materia stessa è il risultato concreto di questa operazione. I frattali sono forse l’esempio più affascinante per capire questa considerazione. In Si deve tener saldo e ben custodito il nostro cuore: se lo si lascia andare può perdere la testa, ho creato un mandala, che in sanscrito significa letteralmente “essenza”. Il disegno infatti riveste un ruolo spirituale e rituale, ma è solo mediante il processo che si attua questo percorso iniziatico, attraverso un articolato simbolismo. Infatti, nel realizzare quest’opera, ho recuperato una tecnica dell’arte tessile Nazca, che veniva impiegata per creare i mantelli piumati destinati agli alti funzionari quali matematici, astronomi e capi religiosi. Riappropriarsi quindi di un’antica gestualità manuale e impiegarla per realizzare un’opera contemporanea, rievoca il processo di realizzazione dei Mandala, dove per l’appunto, è la fase di evoluzione a essere il significante dell’oggetto stesso.