Un’iperbole produttiva in assenza di lavori periferici. Massicci corpi di serie fotografiche e cicli video che seguono, negli anni, una sequenza precisa di direzioni tangenziali, fino a costruire una deontologia quasi medica del processo d’indagine artistica. Integrando non solo tematicamente ma anche metodologicamente strategie e contesti della psicologia e della neuropsichiatria, Francesco Bertocco articola un dispositivo documentario alla congiuntura tra finzione e oggettività clinica. Un tentativo di esaustività, calcolato e aderente ai dettagli di ciò che comprendiamo come verità ma spinto, allo stesso tempo, verso un’analisi non immediata, una falsificazione, una presa di distanza. Il percorso generativo di Bertocco prende le mosse da pratiche confermate di psicoterapia, intese come strumenti di esteriorizzazione di meccanismi interiori (dalla terapia individuale, a quella di gruppo, fino allo psicodramma), con l’obiettivo di metterle in tensione in un gioco di emulazione. Bertocco utilizza il mezzo video e il mezzo fotografico nella loro funzione testimoniale, per documentare, archiviare e parallelamente decostruire e interpretare quei processi di autolegittimazione della validità della terapia che, nei percorsi psicoterapici, passano spesso per la “messa in scena”. Grazie a rigide tattiche di re-staging di queste procedure di finzione, Bertocco si propone di sollevare, per mezzo del filtro video, il versante controverso della dimensione terapeutica. Una riprogrammazione, dove la scrittura del lavoro artistico si vede dettare il ritmo dal contatto con commissioni sanitarie e comitati etici, passaggi burocratici e rituali formali per l’accesso e l’integrazione a gruppi di ricerca scientifica effettivi.
Con la produzione di Onde (2013) — experimental doc girato scaglionando per 6 mesi le sedute polisonnografiche presso il Dipartimento di Medicina del Sonno della Fondazione Istituto Neurologico Casimiro Mondino di Pavia — Bertocco imprime un regime immersivo alla sua attitudine filmica accompagnando come operatore video, nel corso di otto sedute, le 10 ore di monitoraggio notturno richieste dalla terapia. Medesima schedule oraria del paziente, volontà di coprire con il girato ogni fase della procedura a cui egli si sottopone, Bertocco converte la produzione dell’immagine in un’esperienza “densa”, in cui sentire la pesantezza dello spazio senza estetizzarlo. Il languore della cura e l’attraversare luoghi vuoti che ospitano azioni all’apparenza vuote aprono nel film una temporalità pastosa da cui emergono leggere drammaturgie indotte dalle parasonnie motorie. Nei sogni violenti, i pazienti sembrano voler rappresentare le esperienze vissute oniricamente inducendo nella vita notturna comportamenti involontari un’eccessiva attività fisica, in contrasto con l’atonia tipica della fase REM. La perdita del sonno profondo e la conseguente perdita della veglia provocano nei pazienti di Onde una vera e propria distonia sociale, un distaccamento dalle dinamiche relazionali, dai suoi riti, dalle sue norme. E una conseguente frustrazione dovuta a un sentimento di irriconoscibilità, di non appartenenza e a una labile affermazione della propria identità.
Grazie a un lavoro documentativo parossistico, Bertocco scopre in queste pratiche piccoli recessi di condizionamento, d’oppressione e rimozione della patologia. Già nei lavori del 2012 e del 2013 una prima esplorazione video dell’incarnazione dei sistemi normativi nelle prassi terapeutiche veniva attivata indugiando sulla disposizione delle sedie nei contesti psicoanalitici, sulla particolare forma delle stanze che ospitano le sedute, sull’eventuale presenza di telecamere a circuito chiuso e dei vetri unidirezionali, come per suggerire un’emersione etica dalla forma del luogo che ospita le sedute terapeutiche. Con il supporto di regole d’emulazione declinate in una dimensione performativa, l’ultimo biennio produttivo di Bertocco sonda come la struttura discorsiva della psicoterapia si rifletta anche nei suoi termini abitativi. Anticipato da Role Play (2013) e Setting (2013), il progetto Eclissi (2013-2014) segna per Bertocco il passaggio del focus dal setting vuoto all’interazione del paziente con lo spazio fisico che ospita le sue esternalizzazioni. Nell’arco di 40 minuti di materiale montato, Bertocco passa in rassegna quattro metodologie psicoterapeutiche classiche e i quattro relativi approcci allo spazio. Dalla terapia diretta alla terapia d’infanzia, passando per l’iconico lettino della terapia “lenta” e le tecniche proiettive delle terapie di coppia, la relazione del paziente al setting clinico assume morfologie e registri complementari, squadernando una fenomenologia psicoterapeutica minima. Il coefficiente spaziale del percorso terapeutico si sposta dalla mente del paziente in terapia meditativa allo spazio fisico e conflittuale effettivamente presente tra i due poli di una coppia in terapia per diventare poi spazio virtuale del disegno nella terapia non linguistica pensata per l’infanzia. Dimostrando di aver assorbito un’attitudine alla simulazione, Bertocco costruisce i casi di Eclissi con un gruppo di attori-terapeuti mettendo in atto una simulazione di linguaggio e situazione di una seduta reale.
Ciascuno degli attori terapeuti performa alternativamente se stesso, nel suo ruolo di terapeuta, e un paziente eventuale portatore della patologia di cui egli è specialista. In uno shift di ruoli continuo, la messa in scena finisce per agire anche sugli attori, attirando le regole del transfert e del contro-transfert in un gioco di specchi asincronico e vorticoso. In Eclissi, l’attore diventa un filtro della percezione dello spazio, un vettore della ricostruzione degli ambienti, che sono ri-percepiti e ri-costruiti, come se fossero effetto di uno sguardo preciso. Spazi che, oggettivamente, appaiono senza funzioni, si trovano proiettati mentalmente e riconvertiti in un processo immaginifico che, applicato allo spazio fisico vissuto, lo espande e lo diluisce, trasformandolo in luogo di scambio continuo, di sfogo, di visualizzazione della latenza o di estroflessione dell’interno. L’attitudine filmica di Bertocco si appropria pedissequamente di quei meccanismi proiettivi che regolano la percezione e la motricità nello spazio psicologico, trasformando Eclissi in un sintomo dell’osmosi tra vero e il fittizio, tra l’adesione agli atti reali e al ruolo nella finzione. Nel blocco di lavori tra il 2012 e il 2014, Francesco Bertocco sembra direzionare le sue operazioni di mimicry video-performativa all’identificazione di quell’elemento di regia psicologica che si qualifica come una costante interna dei percorsi di cura. Una componente di guida e orchestrazione trasparente, che entra in contatto passivo con la seduta ma che lavora effettivamente e in modo attivo sui contenuti della seduta stessa, conforme alla reciprocità e alla mutua manipolazione individuabile tra il vettore della ripresa e il profilmico. Il punto di vista filmico adottato da Bertocco replica quell’ingerenza e qual lavoro drammaturgico operato dalle retrovie dalla regia psicologica: la creazione di narrazioni a fini terapeutici, ha infatti in sé una somiglianza strutturale con il “fare video” così come esso è descritto, in purezza, dalla teoria del film.