Il Museo Madre di Napoli ha da poco celebrato la ricerca artistica di Franz West con la mostra “Auto-Theater”, crocevia di un’idea curatoriale disseminata fra Colonia, Graz e Napoli, che vede schierati rispettivamente Katia Baudin e Kasper König, Peter Pakesch e Mario Codognato. Nella retrospettiva, un filo ininterrotto collega le opere dell’artista austriaco, dagli “Adaptives” degli esordi, realizzati fra il 1974 e il 1980 e pensati a uso e consumo del pubblico, alle sculture in cartapesta, dai paraventi alle ultime produzioni per gli spazi pubblici, come Auditorium esposta a documenta nel 1992 e la “casa dei lemuri” per la Max-Reinhardt-Platz di Salisburgo nel 2002. Siamo di fronte a un’arte che non si presta alla pura contemplazione e che “colma la lacuna tra funzionale e non funzionale” chiamando il corpo dello spettatore a sperimentare e a intervenire attivamente.
Gli “Adaptives” dei primi anni Settanta non sono altro che oggetti adattabili al corpo umano che, aperti a un’ulteriore dimensione derivante dalle capacità creative di chi li usa e dall’interazione stessa, spingono a compiere movimenti insoliti. West comprende presto, però, che essere guardati durante quest’interazione infastidisce e blocca il visitatore, e per questo progetta le cabine, ambienti appositi in cui immergersi riparati da sguardi indiscreti per manipolare i “Passstücke” / “Adaptives”. Di fronte a visitatori restii a interagire con le sue opere, nonostante testi e fotografie esemplificative di invito, West comincia così a fare mobili, con rimandi al design tipico degli anni Ottanta. “Una sedia è un oggetto quotidiano, come un tappo per una bottiglia, una gruccia per un vestito, lo stesso è uno dei miei Adaptive per i destinatari dell’arte”, dice. Se una vena d’ironia serpeggia nei titoli, davanti a ogni opera si aprono serie intercambiabili di proprietà e di performance. Il visitatore, così, è invitato a raccogliere le infinite possibilità di interpretazione proiettando a sua volta sugli oggetti il suo teatro interiore, immaginando quello che c’è dentro e dietro. Le opere di West — i mobili (Kasten, 2008-2009), le sale disposte a tornello (Wegener Räume 2/6 – 5/6, 1988), le cabine interattive munite di istruzioni per l’uso (Spiegel in Kabine mit Passstücken realizzata con Michelangelo Pistoletto), le lampade (Drei Lampen, 2009) e le sedute strategiche (Plural, 1995) — sono nel complesso sculture immersive, ambienti scenici da vivere e talvolta da indossare (Tournure, 2001). Allestimenti interattivi indirizzati al coinvolgimento del fruitore che, contagiato dalla formula della creazione di West, procede a tentoni fra le approssimazioni e i rovesciamenti tipici dei sogni. Non distante dall’attività onirica è anche la vasta produzione grafica dell’artista, che con i suoi collage sviluppa “immagini miste” grazie alla tecnica del contrasto e della condensazione. Mentre nelle piccole teche in scala, le miniature di sculture e soggetti — figure plurali, ibride nella loro incerta morfologia — sono a cavallo fra opacità e trasparenza, visibile e invisibile, razionale e irrazionale.