In una raccolta di lettere del dicembre 1988 pubblicata da Giancarlo Politi Editori dal titolo Arte e Multitudo, Tony Negri, in disaccordo con l’amico Gian Marco Montesano che rivendicava il ritorno alla “verità dell’arte”, invita ad abbracciare l’astrazione come unico modo per conoscere le nuove sfide del postmoderno. In un mondo in cui “determinismi naturali o vestigia storiche, finalità o accompimenti non se ne intuiscono più”, scrive Negri a Montesano, “lo spazio è completamente ateoleologico”. Negri allora considera l’arte non più un possibile dispositivo per una ricostruzione dell’esistente ma semplicemente come un “lavoro di costituzione”. “Capire che cos’è l’arte oggi — ci dice — è comprendere come il dolore di un mondo perduto può avventurarsi su un continente nudo e sconosciuto, per creare essere — nuovo”. A circa tre decenni da quella lettera dell’amico Tony, Montesano sembra accogliere quell’invito, ma a suo modo. Riconoscendo che l’arte oggi si espande verso pratiche discorsive che infiltrandosi nel sociale rivendicano quella “verità dell’arte” — probabilmente la stessa di cui si legge nella lettera — l’artista ci riporta invece alla pittura. E sì, per parlarci di quella verità da lui invocata non come una verità in grado di rappresentare il reale, come le tante pratiche discorsive che oggi trovano terreno fertile sul piano concettuale ed economico nel mondo globale dell’arte contemporanea, ma per ribadire che la verità non è rappresentazione del reale. Dal momento in cui alla verità è tolta la realtà non ci resta che attraversare il reale che come afferma Negri: “[…] è divenuto vero, un’altra verità”. Ecco allora che la pittura di Montesano di oggi, la sua ultima mostra allestita negli spazi della Chiesa di San Matteo a Lucca per Claudio Poleschi Arte Contemporanea, non offre soluzioni, non si propone di riparare o ricostruire il presente ma cerca il reale, quello vero. Così le grandi capitali Europee che siamo abituati ad attraversare oggi, sovraffollate, con le vie dello shopping, decorate da maxischermi pubblicitari, abitate dal rumore dei mezzi di trasporto, vengono dipinte come immobili e svuotate. Come deserti postumani che conservano le tracce di ciò che è stato ma che, soprattutto, divengono orizzonti nuovi in cui porsi per conoscere e cercare la verità del reale. Per cercare come dice Negri, non “[…] un’alternativa al mondo ma un’alternativa nel mondo”. Sono le vecchie patrie dell’Europa e i loro simboli: Vienna e il monumento a Strauss che suona il violino; Roma e il ponte sul Tevere, il Cupolone e i Fori Imperiali; Parigi e Notre Dame; Venezia e il Canal Grande; Berlino e la Porta di Brandeburgo; Atene e il Tempio di Efesto i soggetti delle grandi tele dell’artista. Il modo in cui vengono dipinte (nitide e sfocate allo stesso tempo) e il titolo della mostra stesso, “Europa Addio”, mentre evocano un sentimento nostalgico per un Europa perduta, quella moderna, dei conflitti e dei dittatori in contrasto all’Europa della finanza dell’oggi, simultaneamente reprimono quel sentimento melanconico. Ci spingono verso un piano del presente che non siamo in grado di vedere e attraversare: l’insensatezza dell’oggi che se considerata come la lenta fine di un mondo che non esiste più, quello dell’ozio collettivo dei concerti di Strauss a Vienna per Capodanno per esempio, allora diventa un orizzonte generativo dove porsi per accompagnare questa graduale morte. Senza rassegnazione al nulla, ma attraversando il nulla come l’unica esperienza del reale che stiamo vivendo. Per cercare il reale finché, per parafrasare Negri, non cadrà nelle “[…] nostre mani — un evento, un incontro”. Montesano, contrariamente a molta arte del nostro tempo che rivendica la verità dell’arte quando rappresenta il reale o all’opposto quando se ne allontana completamente attraverso un’astrazione che è meramente estetica, suggerisce invece un’appropriazione dell’esistente (cioè del reale stesso: le grandi capitali europee e i loro monumenti) per via negativa (non per come siamo abituati a viverle oggi come grandi capitali postmoderne frenetiche e assordanti; affollate e monetarizzate ma come immobili, vuote e belle). Agli spazi appropriati, circorscritti e controllati da dispositivi tecnici, politici e mediatici di un’arte contemporanea che vuole sovvertire il presente attraverso azioni, mobiltazioni in situazioni contingenti e reali (l’arte come attivismo o come pratica sociale), la stasi e non il movimento della pittura dell’artista in “Europa Addio” riconfigura un altro modo di intendere la “verità dell’arte”. Come la capacità creativa che l’arte, e ad esempio la pittura, liberano sul piano soggettivo delle singolarità per l’esercizio continuo teso alla costituzione di un “essere nuovo” e non alla ricostruzione del presente. Dire “Europa Addio” e porsi già distanti dalla sua morte attraverso il gesto pittorico intimo significa riconoscere “il reale che è divenuto un’altra verità” non attraverso l’astrazione dell’arte, come avrebbe voluto l’amico Tony, ma attraverso un reale negato: un reale per via negativa. La pittura di Montesano e le sue capitali Europee sono il tentativo della ricerca della “verità dell’arte” per agganciarla al reale, ma mai una soluzione.
20 Febbraio 2017, 5:10 pm CET
Gian Marco Montesano di Francesco Scasciamacchia
di Francesco Scasciamacchia 20 Febbraio 2017Francesco Scasciamacchia è critico d’arte. Vive e lavora tra Milano e New York.
Altri articoli di
Jeff Koons
Sergio Risaliti: Dai palloni di basket che sembravano galleggiare nel vuoto di una teca, alla serie “Gazing Ball” — calchi…
Antonio Biasiucci
Gianluca Riccio: Vorrei partire da un punto preciso della tua biografia, quando arrivi a Napoli nel 1981. Antonio Biasiucci: Napoli…
Brigitte Niedermair
Stefano Rabolli Pansera: Le tue opere sembrano adottare un metodo molto semplice e consistente: obiettivo fermo, prospettiva centrale, etc… Eppure…
Alfredo Aceto
Andrea Bellini: Alfredo, tu sei un artista precoce, in qualche modo il tuo ingresso nell’arte lo hai fatto quando avevi…