“… il poeta o il pittore trasferisce la nobile pretesa di rappresentare l’intera società ai personaggi che traggono il proprio status rappresentativo dalla loro ubiquità e dalla loro presunta vicinanza alla natura e ai fondamenti della vita.”1 – Thomas Crow
Durante la drammatica parentesi pandemica, Giangiacomo Rossetti, italiano di base a New York, ha lasciato Brooklyn per stabilirsi in una cittadina in Connecticut. Qui si è appropriato di uno studio medico, che ha utilizzato come studio, e che ha poi riprodotto in occasione della sua prima mostra personale “Le Fantasie” presso la galleria Greene Naftali a New York, nel 2020. Un interesse per questo tipo di operazione può essere già rintracciato nella sua collaborazione con l’architetto Alessandro Bava, che nel 2017 ha progettato l’allestimento della sua personale “Deepstaria Enigmatica” da Riverside a Berna. Nella mostra i quadri sono ospitati all’interno di una struttura di legno foderata in lino, un richiamo al display concepito dal gruppo milanese BBPR, che negli anni Cinquanta ripensò l’allestimento della Pietà Rondanini di Michelangelo presso il Castello Sforzesco a Milano – dove era stata trasferita la scultura di marmo –tramite la realizzazione di un fondale ligneo. Nell’allestimento della mostra “Le Fantasie”, lo scheletro dello studio medico è concepito come un ready-made che fa da cornice alle opere esposte. Oltre ad essere una caricatura di sé stesso, lo spazio ricostruito diventa il simbolo di quella che l’artista definisce “assurdità del quotidiano”. Si tratta infatti del luogo in cui si recava quando la popolazione americana, così come il resto del mondo, si trovava in isolamento a causa del lockdown.
La decisione di collocare i quadri nella stessa struttura in cui sono stati realizzati trova un confronto inaspettato con il lavoro di John Knight, di cui Pedro de Llano Neira parla nel suo saggio Friendship as Artwork, in cui afferma che “il suo lavoro [di Knight] è profondamente legato all’architettura e non può essere compreso se separato dal contesto e dal sito in cui è stato creato o concepito, altrimenti perderebbe la sua specificità, quindi il suo significato”2. Se da un lato, quindi, non possiamo parlare di pratica site-specific per Rossetti, dall’altro esporre i dipinti all’interno della ricostruzione del luogo dove sono stati realizzati li colloca in un contesto preciso, quello della loro realizzazione, chiudendoli ermeticamente fuori dal mondo esterno. Nell’arte, il rapporto tra interno ed esterno emerge più esplicitamente e frequentemente nella Critica Istituzionale, un discorso di cui la “pittura transitiva” (“Transitive Painting”) è entrata a fare parte di recente3. Nessuno dei due termini può essere propriamente applicato al lavoro di Rossetti, ma il rapporto binario tra interno ed esterno pervade “Le Fantasie”, dal momento in cui si manifesta nei suoi dipinti la difficoltà di vivere esistenze interiori ed esteriori. In essi, l’artista riconosce la propria interiorità, che si rivela come uno psicodramma, restituito in modo sorprendente attraverso le caratteristiche dello stile tragicomico e pastorale.
Il primo mistero da svelare è legato al titolo della mostra. “Le Fantasie” è anche il titolo di una serie di ventidue dipinti realizzata da Mario Mafai, artista della Scuola Romana. Mafai ha realizzato queste opere tra il 1939 e il 1944, dopo aver aiutato le figlie e sua moglie, l’artista ebrea Antonietta Raphaël, a lasciare Roma e stabilirsi a Genova, in seguito all’emanazione in Italia delle Leggi Razziali, nel 1938. Ogni quadro rappresenta gruppi di persone denudate, umiliate, torturate, stuprate e uccise. L’immaginario di queste opere non accetta alcun compromesso, come I disastri della guerra (1810-1820) di Goya, o le foto trapelate dei prigionieri torturati ad Abu Ghraib. La domanda allora è, come si lega l’opera di Rossetti a “Le Fantasie”, una serie così profondamente influenzata dalla vicinanza dell’artista all’antisemitismo dell’Italia fascista? Utilizzando lo stesso titolo (che, come per Mafai, appare in sequenza numerata nei titoli dei singoli dipinti) Rossetti sembra infondere una risonanza storica ed emozionale alla sua personale esperienza di vita ritirata durante un periodo storico catastrofico, e di conseguenza alla paura associata al particolare corpo di lavoro di Mafai. In questo processo, la domanda che l’artista sembra porsi è se la fuga stessa sia una fantasia.
Ma qual è il punto di incontro tra le fantasie di Mafai e Rossetti? La dicotomia di mondi interiori ed esteriori che i due artisti condividono è duplice. Ognuna di esse è una fantasia di fuga: scappare perché la vita è in pericolo, l’evasione, è una forma di rifugio dalla vita stessa. Mafai utilizza Le Fantasie come titolo aspramente ironico, in realtà le sue sono rappresentazioni grafiche della piena realizzazione del desiderio genocida. Riferendosi a esse in questi termini, Mafai svuota le immagini di qualsiasi denuncia di tali fantasie, ma allo stesso tempo compie un fedele atto di anti-fascismo. La fantasia di Rossetti, d’altro canto, è più ambigua – la sua fuga nelle campagne del New England è resa attraverso immagini bucoliche, di vita domestica circondata dalla minaccia invisibile del virus. Qui, l’orrore esterno non si concretizza in un’immagine catartica. Al contrario, Rossetti dipinge le fantasie che si celano dietro questa forma di evasione – immagini di un’esistenza spartana e semplice con tinte apocalittiche. In questo caso l’ironia sta nella fallacità dell’utopia – costruire una società alternativa o fantasticare sulle potenzialità dell’agricoltura collettiva durante un periodo di isolamento auto-imposto in campagna. Quella che inizialmente sembra l’immagine di sé stesso nelle vesti di un bracciante che spala la terra in Fantasia n. 3 – La sepoltura (2020), rappresenta di fatto l’artista che scava un tumulo, come lo stesso titolo suggerisce.
Nelle tele di Rossetti, le persone prevalgono sul resto. Ogni individuo che con lui lo scorso anno si è trasferito da New York al Connecticut non solo è servito da modello per i suoi dipinti più recenti, ma rappresenta inconsapevolmente una micro-comunità rurale. Tra le opere è il ritratto a essere protagonista, l’artista ne stravolge però i canoni gerarchici – ciò che lo storico dell’arte Thomas Crow definisce come “la classificazione secondo il grado sociale della persona ritratta”4 – rappresentando famigliari, amici e persone care, ma assegnando loro ruoli un tempo destinati a figure religiose, ai reali e alla nobiltà. Nessuno sembra essere stato lasciato fuori da questo processo di democratizzazione, come emerge, ad esempio, in uno dei primi ritratti realizzati, The Assistant of my Farmer (2018). Rossetti inserisce le sue relazioni personali in un canone di pittura che, secondo Crow, a partire da Courbet si è evoluto includendo “soggetti un tempo ritenuti intrinsecamente inferiori alla narrazione storica”5. Le persone che appaiono in questi dipinti sono implicate in molteplici filoni di referenzialità storica, come degli attori interpretano ruoli iconici in un teatro classico. Per esempio, è stato fatto notare a Rossetti che la composizione di Fantasia n. 9 – la casa degli spiriti buoni (2020) – nel quale i colleghi artisti Rochelle Goldberg e Veit Laurent Kurz posano in una stanza della proprietà in cui risiedevano a Wallingford, una città in Connecticut – presenta una somiglianza con il Ritratto dei coniugi Arnolfini (1434) di Jan van Eyck. Alcune soluzioni sono volutamente referenziali, in Fantasia n. 8 – Il nuovo pontificato (2020) l’amico Scott Portnoy viene ritratto nella stessa posa di Papa Giulio II nel Ritratto di Giulio II di Raffaello, un quadro che ebbe un’enorme influenza sulla successiva ritrattistica papale. Altrove Rossetti pensa al pittore impressionista francese Gustave Caillebotte e la sua tecnica di distorsione della prospettiva, in modo che lo spettatore sia guidato dal soggetto umano verso il paesaggio, come accade nel dipinto di Caillebotte Young Man at His Window (1875). In Fantasia n. 4 – La terra è blu (2020) lo sguardo va oltre il volto della donna addormentata nella parte inferiore del quadro (la curatrice Kari Rittenbach, compagna di Rossetti, che appare in diverse opere), fino alla finestra sullo sfondo, oltre la quale si possono vedere un portico, degli alberi e un’altra casa. È interessante notare come questo re-indirizzamento sia un ulteriore esempio di come l’esteriorità riesca a farsi strada nella sfera privata dell’idillio; è uno sguardo che ci ricorda che la pandemia è ancora là fuori, dall’altra parte del vetro.
Eppure, al di là di tutte le rappresentazioni di altri soggetti, Rossetti è soprattutto soggetto di sé stesso. Eccolo, disinvolto in New Shoes Old Pants (2019), nelle vesti di necromante in The Magician (2019), lussurioso in Fantasia n. 5 – Due satiri (2020). Appare ancora e ancora, in coppia con altri, all’interno di gruppi (a volte in sua stessa compagnia), o addirittura con un suo doppio come in Weepy the White Dog (all the ghosts came to see me) (2019). In tutte queste diverse forme, l’artista rappresenta ripetutamente vari gruppi di personaggi, trasformando sé stesso di volta in volta. In un’interpretazione più generica si può dire che la pittura diventa lo spazio in cui il romanticismo artistico incontaminato entra in contatto con momenti di insicurezza reali, che incontrandosi nella vita di tutti i giorni – ad esempio durante il processo di creazione di un’opera – trovano terreno comune nel tragicomico, un genere a cui Rossetti spesso ricorre. Questo è evidente soprattutto in Fantasia n. 7 – Auto ipnosi (2020), liberamente ispirato alla Resurrezione di Lazzaro di Sebastiano del Piombo, in cui l’artista appare con vaghe sembianze di Cristo, circondato da raffigurazioni (di sé stesso) zelanti, eroiche e idolatranti. È uno scenario volutamente e consapevolmente ludico, in cui il narcisismo si fonde alla messa a disposizione di sé stesso come soggetto dell’opera.
Nel tracciare la gerarchia dei generi che ha condotto la storia della pittura all’astrazione, Crow suggerisce che “quelle che erano essenzialmente delle scene comiche (intense nel senso della distinzione aristotelica tra commedia e tragedia), di paesaggio, o di ritratto intimo, hanno sostituito la storia della pittura come veicoli di più alte ambizioni intellettuali e morali”6. L’aspetto “comico” – riferito a soggetti attribuiti a generi pittorici inferiori della storia della pittura, in cui i “ritratti intimi” si collocano ad un livello ancora più basso – ha un ruolo primario nel processo di destabilizzazione del successivo ordine pittorico principale. Se considerato in termini di strato pittorico sociale, Rossetti posiziona consapevolmente i soggetti-personaggi, soprattutto quelli creati a sua immagine, all’interno di generi che, un tempo, sarebbero stati considerati più alti. Il suo uso di un certo immaginario, che prende liberamente in prestito dalle diverse epoche della storia dell’arte, concorre a elevare il loro status. In Fantasia n. 2 – Il piccolo imperatore (2020), ad esempio, fa indossare a Colin Witthaker uno scialle di pelliccia che ritroviamo nei ritratti realizzati da Holbein di Robert Cromwell, Erasmo e Sir Thomas More – e sottotitolandolo “Il piccolo imperatore” venera l’immagine ancora una volta.
“Tradizionalmente, il nome attribuito al processo di incorporazione del luogo comune nell’esaltato – e viceversa – è pastorale”7 afferma Crow, in risposta alla svalutazione del genere in pittura. A sostegno del genere pastorale, egli sostiene che il declino del concetto di superiorità sta finalmente lasciando spazio ai “generi inferiori soppressi” nella vecchia gerarchia della pittura. Eppure, il “contrasto pastorale”, così come è rappresentato nell’iconografia silvestre dei più recenti lavori di Rossetti, parla direttamente alle gerarchie contestate all’interno del medium stesso. Su questa nota finale, un altro quadro esposto in “Le Fantasie”, posizionato però lontano dall’installazione, è The Red Mountain (2020), in cui la cima della montagna appare dietro i semplici verdi della campagna che si sviluppano su tre pannelli. Con la realizzazione di questo trittico quasi religioso l’artista esalta letteralmente il paesaggio e individua una chiave per negoziare la presenza dell’elemento pastorale all’interno dei generi più alti della pittura con il pastorale, esaltando così la nobiltà nell’ordinario.