La canzone più ascoltata del 2019/2020, “Dance Monkey,” parla di mimetismo, ripetizione, cicli e movimento incontrollato:
Move for me, move for me, move for me, ayy-ayy-ayy
and when you’re done I’ll make you do it all again […]
Just like a monkey I’ve been dancin’ my whole life
But you just beg to see me dance just one more time.1
[Muoviti, muoviti, muoviti per me
E quando avrai finito ti farò ricominciare […]
Per tutta la vita ho ballato come una scimmia
Ma tu mi supplichi di ballare un’altra volta ancora.]
Verso la fine dell’ultimo video di Hito Steyerl, SocialSim (2020), un poliziotto bianco, preannunciato da innumerevoli avatar generati al computer, afferma che sta “praticamente lavorando per [la propria] eliminazione”. Questo esprime al tempo stesso una fantasia utopica — se solo gli sbirri ascoltassero i cori dei manifestanti e “mollassero il lavoro” — e la consapevolezza comune ma disastrosa che stiamo praticamente tutti lavorando per la nostra eliminazione. L’avatar scansionato del poliziotto è migliore di lui. Le persone non riescono a distinguerli, e la versione in computer grafica è più economica, più facile da produrre e più facile da controllare.
SocialSim è un commento denso sullo stato frenetico del consumo mediatico, la complicità dell’internazionalismo privilegiato dell’arte nel controllo dei confini nazionali e delle disparità di reddito; e sui modi in cui il machine learning interpreta, fraintende e infine riproduce una versione incostante ma comunque potente dell’autoritarismo su cui poggia il tutto.
È un riassunto sorprendentemente allegro dell’anno passato, che combina una cronaca astuta della triste realtà con un’estetica luminosa, giocosa, danzereccia. Ma questo, ovviamente, è già di per sé un commento sulle forme del nostro stesso disfacimento algoritmico: il disastro (la sostituzione degli esseri umani con gli algoritmi) mascherato da utopia (i poliziotti che si autoeliminano tramite l’uso dei media contemporanei).
La “scienza” della predizione è il nucleo dell’ultimo lavoro dell’artista, che combina machine learning, tecnologia e diritto, rapporti di potere, spazio di intervallo e apprensioni planetarie, che vanno dalla comunicazione al realismo ambientale. La mostra “I Will Survive”, che ha esordito alla Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen e successivamente inaugurato al Centre Pompidou nel febbraio 2021, comprende lavori che collettivamente offrono una testimonianza esaustiva sui rapporti globali di potere che resistono alla sintesi e dunque, come è ovvio, non ci offrono nessuna analisi o risposta puntuale, utilizzabile o facilmente digeribile.2
Quello che è chiaro, tuttavia, è l’interesse di Steyerl per il rapporto tra machine learning, autoritarismo e predizione.
L’uso di tecnologie predittive e sorveglianza informatica per il tracciamento dei contatti durante la pandemia di COVID-19 ha concretizzato quella che Steyerl chiama “idiozia digitale”.
È un’espressione ironica, ma le sue conseguenze possono essere tremende: è capitato che gli algoritmi non sapessero identificare gli individui e mettessero in quarantena la persona sbagliata. Una quarantena forzata comporta una separazione dalla società (dalla famiglia, dal lavoro, dalle reti di assistenza). Inoltre, una volta istituita, la tecnologia usata per il tracciamento può essere usata (e già lo è stata) per scopi nefasti, per esempio localizzare e reprimere i manifestanti.
La “scienza” della predizione è esplicitamente adottata in This is the Future (2019), già presentato alla Biennale di Venezia, in cui la protagonista, Heja, enuncia predizioni probabilistiche e osserva che “tanto più il futuro diventa prevedibile, tanto meno lo è il presente”. La statistica — che, per definizione, è concepita per individuare il comune e ignorare il particolare — offre spesso dati per le previsioni. Dunque il futuro è prescritto da una versione quantificata del passato. Le deviazioni standard hanno buone probabilità di essere escluse perché rendono meno definitive le predizioni del futuro basate sui comportamenti passati. In altre parole, il futuro, per essere prevedibile, deve conformarsi al passato. Quello che si presenta come progresso è in realtà una forma di stagnazione mascherata da ciclo.
La gamma di errori possibili che nascono dall’idiozia digitale, dalle predizioni, dalle interruzioni e dalla “distruzione creativa” interviene nei momenti comici di How Not to Be Seen (2013), Hell Yeah We Fuck Die (2016), Robots Today (2016), This is the Future (2019), e anche della vita reale3. In una intervista, Steyerl discute del suo ricordo di un errore digitale tratto da un notiziario del 2017 della BBC in cui il video a ciclo continuo di apertura ha trasformato “breaking news” (“ultime notizie”) in “broken news” (“notizie spezzate”). Questo errore momentaneo, provocato dall’automazione dei notiziari, cela un potenziale fondamentale. Un regno di possibilità non binarie che nascono da questa osservazione si collega alla politica del ciclo. I media tradizionali4 lo accolgono con più facilità: una volta che il ciclo è svelato, può essere digerito dal sistema o può uscire dalla sua logica costitutiva per creare una moltitudine di possibilità che si aprono in un bene comune.
Ci sono momenti in cui siamo in grado di sfruttare l’idiozia delle macchina che di solito gestisce le nostre vite: quando riconosciamo il potenziale immenso del problema tecnico; quando incontriamo il circolo vizioso, lo spazio di intervallo.
Sono momenti che possono essere facilmente assorbiti nella logica capitalistica della distruzione creativa. Al tempo stesso, sono momenti di produzione con un finale aperto, in cui le cose si inseriscono e ritirano dalla sincope e il ciclo è soppiantato da moltitudini5.
Ciò che diventa visibile a partire da questa estetica abbozzata e traballante è un’economia di cura e solidarietà, in cui le immagini si muovono e circolano per amore, e non per controllo, potere o profitto.
La corsa non finisce mai
Steyerl è una studiosa di questi sistemi e movimenti. Traccia “oggetti” come neuroni che si muovono in un sistema chiuso. Traccia i modi in cui essi si muovono, si incontrano, si contaminano, si plasmano, divengono e si diffondono… in cui evolvono e si manifestano.
Come una cartografa di macchine ignote, mappa un sistema tracciando questi oggetti e le loro fonti di movimento e dinamismo.
Questi “oggetti” possono essere interpretati come immagine povera, informazione povera, e suono povero. Quella che segue è una riflessione sulla loro modalità d’azione; su quello che genera e rafforza i loro movimenti divergenti; sul modo in cui esercitano la gravità in un circuito mediatico chiuso.
L’immagine povera, descritta dall’artista in un testo omonimo del 2009, si evolve insieme ai media. In contrasto con l’immagine nitida e patinata di un rendering, di una grafica computerizzata o della ricostruzione digitale di un evento, l’immagine povera, a bassa risoluzione e facilmente trasferibile, suggerisce un’interpretazione soggettiva, e dunque potenzialmente politicizzata, di un evento. Questa politicizzazione non è solo il risultato delle sue capacità di distribuzione e disseminazione, ma è essenziale per il modo in cui essa rappresenta la soggettività.
In un’epoca in cui l’estetica forense è in gran parte dominante, la “verità” si costruisce mediante un’estetica della scienza, grafici astratti, presentazioni cifrate e slide di PowerPoint che procedono in parallelo all’esperienza e offrono una versione probatoria della verità.6
Questo immaginario appare elegante, chiaro, coerente e privo di contraddizioni. Al contrario, l’immagine povera si identifica con la reale attività umana, per esempio con le manifestazioni di protesta. È fondamentale per sommosse e rivoluzioni: le riprese girate dai partecipanti durante la Primavera Araba, il recente movimento pro-democrazia a Hong Kong, Black Lives Matter negli Stati Uniti, e altrove. Questa versione dell’immagine povera è una versione piena di amore e sostegno reciproco. Circola attraverso reti solidali che risultano politicamente stimolanti. L’immagine povera appare spesso approssimativa, sciatta, e tuttavia è reale e nasce dal desiderio di sostenere, aiutare e nutrire.
L’immagine povera, da questo punto di vista, è antitetica rispetto all’informazione povera, e alla forma estetica dei mezzi di comunicazione di massa che consentono la rappresentazione dei terroristi suprematisti bianchi come più o meno equiparabili agli attivisti di Black Lives Matter: una forma che coopta tutti i movimenti della o per la differenza nel movimento ciclico. Che sarebbe il falso movimento dello status quo; il non-movimento della infinita “ripetizione” politica.
Qui l’informazione povera è fondamentale. Il termine inglese razzializzato “riot” è esemplare delle conseguenze violente dei significanti squilibrati e scivolosi dei media tradizionali. Il termine “riot” è stato affrontato e interrogato o riappropriato da molti studiosi e attivisti neri, come Gwendoyn Brooks, Martin Luther King Jr., W. E. B. Du Bois, M. NourbeSe Philip, Young Thug e Cheryl D. Hicks. La parola, nella bocca dei media tradizionali, rimanda all’essere neri, e collega l’essere neri con la distruzione irrazionale e violenta. La parola “riot” è stata usata come un’arma in tutta la storia americana per escludere gli afroamericani dall’idea stessa di processo e partecipazione democratici. Il suo utilizzo, in opposizione alla parola “protest”, ha legittimato atti vandalici di violenza contro i manifestanti.
L’informazione povera possiede anche un altro genere di gravità, e gravitas, che Steyerl individua in modo eloquente in SocialSim. L’informazione povera, moltiplicandosi, diventa infodemia: il video mostra come l’infrastruttura e la velocità siano prodotte da una mano algoritmica invisibile in modo da creare una infodemia che, nelle parole del direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, “si diffonde più velocemente e facilmente di questo virus”7.
Il video Mission Accomplished: Belanciege affronta di petto la questione della infodemia e delle fake news per mostrare che, come tutti i cicli di retroazione e processi di apprendimento automatico attraverso la ripetizione, una volta che il processo è innescato, esso cambia la struttura del sistema. Come impariamo in Belanciege, esistono strategie consapevoli volte a creare un desiderio estetico e consumistico. Tre volte, spiega Steyerl in Belanciege, sono sufficienti a far combaciare una storia con una cosa.
La “magia” della digestione capitalistica e del ciclo tecnologico lancia il suo incantesimo, allargando il cerchio in modo che i terroristi siano incorporati nell’anello interno mentre l’esterno rimane intatto, proteggendo le libertà di “TUTTI” gli americani. Il nastro di Moebius in continua espansione è concepito per generare un’abbondanza di disinformazione, incoraggiata da cicli compulsivi (che spesso includono incitamento all’odio e teorie del complotto), per screditare, sminuire o riposizionare i resoconti veritieri. Espande il ciclo in modo da creare più segni: tre ripetizioni combinate con un opportuno posizionamento mediatico bastano a equiparare terroristi e attivisti, precludendo ogni possibile resistenza futura.
Quando consideriamo il modo in cui il movimento dell’informazione povera abbozza un luogo di divulgazione, ci rendiamo conto che questa politica del ciclo è destinata a ridurre lo spazio che occupiamo, come la repressione dei manifestanti da parte della polizia, che restringe il movimento del cambiamento politico nello spazio reale.
La gravitazione qui è basata su una logica diversa che è stata completamente naturalizzata: la produzione di profitto8. In Belanciege Steyerl mostra brillantemente l’architettura del sistema di privatizzazione: una spirale estesa nello spazio e chiusa che può essere vista come uno stato stazionario di consumo da un lato, e da un’altra prospettiva rivela una struttura stratificata e gerarchica di violenza. La domanda posta da Steyerl — la domanda che si deve porre — è come aprire questo sistema chiuso.
L’amore è gravità | Viaggi sonori
Il suono povero è l’oggetto più complesso dei tre.
Steyerl isola i suoni e li dissemina in tutti i suoi video nella sfera digitale. Il suono di Broken Windows viaggia fino a SocialSim, mentre in quest’ultimo il suono della parola “socialism” è scomposto, disgregato e riconfigurato come “astrazioni sociali”. La musica curda di Robots Now risuona in frammenti di This is the Future, che a sua volta remixa la voce dell’artista insieme ad altri frammenti di musica curda, insieme alle ri-sonorizzazioni di Kojey Radical e altri9.
Nella sua magistrale analisi dei suoni della diaspora nera, Louis Chude-Sokei ipotizza che il significato di “sound” in inglese giamaicano contenga un intreccio di significati che agiscono in simultanea, provenienti da diverse geografie della diaspora nera10. “Sound”, in inglese giamaicano, comprende il concetto di sound system. Dunque, significa “processo, comunità, strategia e prodotto”11. Comporta una comunità di produttori e una comunità di ascoltatori. In questa prospettiva, suggerisce che i sound system nella diaspora nera, nella loro enorme diversità, abbiano funzionato come spazi critici capaci di offrire simboli alternativi e una sensibilità spirituale che mancava in altre modalità di produzione identitaria e costruzione del gruppo, per esempio il nazionalismo12. A differenza della macchina tecnologica che dissemina suoni remixati, qui il “sistema” ha a che fare con il significato della cultura come modo di ascoltare.
L’ascolto è anche una forma di solidarietà, di amore e un fattore importante dell’economia della cura. A differenza dell’udito in generale, per cui il suono raggiunge semplicemente un orecchio, l’ascolto è intenzionale.
In contrasto con vari tipi di suono, Chude-Sokei tratta il remix come “la forma più sfacciata di capitalismo: massimizza il profitto e minimizza la manodopera. Trasforma i produttori in artisti e reintroduce merci finite nel ciclo produttivo”13.
Questa distinzione rivela qualcosa della scivolosità del suono povero: ha a che fare con la diaspora; deriva dal desiderio e gravita attorno all’amore; può essere disordinato, disturbato, collaborativo, incoerente, discordante; può farsi assimilare da altre melodie che lo indeboliscono. A volte, per trovarlo, dobbiamo ascoltare con molta attenzione. Ma una volta che lo facciamo, esso spalanca un terreno comune di possibilità non narrate e non strumentali. Può restare povero finché non viene recuperato dalla macchina14.
Se digerito dalla macchina dei media tradizionali, i suoi valori produttivi progrediscono; diventa di una chiarezza cristallina e, benché si presenti come inventivo e puro, è disseminato attraverso un algoritmo che tiene conto delle preferenze degli ascoltatori, non del loro rapporto con il suono o con chi lo produce. Gravita attorno all’interesse nell’accumulo del surplus attraverso la monetizzazione dell’informazione. Con la stessa facilità potrebbe contrarsi, circondare, ridursi, reprimere.
* * *
Nel marzo 2020, Steyerl ha aggiunto un paragrafo a una conversazione con Trevor Paglen che è stata riprodotta nel catalogo. Qui afferma che il machine learning e la tecnologia della sorveglianza potrebbero offrire contributi positivi alla “ricerca medica” o creare “reti locali più forti”, ma il suo ottimismo è moderato. “La gente come me diceva lo stesso anche di Internet”, osserva.