Identità, trasformazione, accelerazione, sviluppo, contraddizione, transizione, memoria, integrazione, ma soprattutto consapevolezza politica. Sono gli argomenti principali su cui hanno riflettuto i trenta artisti invitati alla mostra itinerante “Indian Highway” al MAXXI, realizzata in coproduzione con la Serpentine Gallery di Londra e l’Astrup Fearnley di Oslo e rivolta agli artisti indiani più rappresentativi emersi nell’ultimo ventennio. Un’“iniezione di ricostituente culturale” (Gayatri Sinha) per l’Occidente, maturata attraverso un articolato progetto curatoriale ispirato alla nozione di mondalité di Édouard Glissant, che parte dall’idea di autostrada come tragitto, come passaggio, come connessione tra i flussi migratori che si spostano dalla periferia alla città, ma anche come impulso e temperamento innato dell’individuo.
Una realtà, quella indiana, che non può essere ridotta a mere dicotomie o luoghi comuni, e da cui scaturisce una dirompente pluralità culturale. Ed è questa pluralità che la mostra di Roma riesce a riconoscere e a trasmettere, ma soprattutto a strutturare attraverso un allestimento ineccepibile che sottolinea e architetta le differenti aree tematiche dell’esposizione. Così, gli stereotipi, il sovrabbondante uso del colore, l’iperdecorativismo o il richiamo alle tradizioni culturali, sociali e religiose del paese si alternano e si intrecciano con mezzi e forme più efficaci, più adeguate al linguaggio contemporaneo.
In questo modo, le diverse sfaccettature dell’arte indiana contemporanea, moltiplicate particolarmente dopo la liberalizzazione economica e i violenti disordini provocati nei primi anni Novanta a seguito della demolizione della moschea di Babri ad Ayodhya in India, vengono analizzate in base a tre macro aree che si intersecano per tracciare uno sguardo multiplo ed eterogeneo della realtà culturale del subcontinente. “Identità e storie dell’India” indaga temi politici, sociali e religiosi come nel grande dipinto di Fida Husain o nei meccanismi fondamentali di funzionamento di Shilpa Gupta. L’area “Metropoli deflagranti” s’incentra, invece, sui temi dell’espansione, del caos urbano e dell’abbandono delle periferie attraverso i fiumi di fuoco di Dayanita Singh, il grande camion in tondini di alluminio di Valay Shende o la città assemblata di Hema Upadhyay. Infine, “Tradizione contemporanea” esplora la rielaborazione di antiche forme espressive della cultura indiana, rappresentata in particolar modo dalle tavole smaltate di Nalini Malani.
Una delle mostre più interessanti di inizio stagione che, tuttavia, arriva al MAXXI come un corpus preconfezionato altrove, a eccezione delle quattro installazioni ideate per l’occasione, mostrando così la preoccupante necessità e volontà del museo di continuare ancora a importare, invece di configurarsi come un’istituzione di reale caratura internazionale in grado di produrre ed esportare le proprie mostre.