Conosciuta al pubblico italiano attraverso la Biennale del 2007 a cui partecipò con il padiglione tedesco, Isa Genzken ha avuto finalmente una retrospettiva presso il Museion di Bolzano che consente di guardare in modo analitico al suo lavoro. Cinquanta lavori, provenienti da collezioni private europee e dalla collezione della stessa istituzione altoatesina, consentono di guardare dentro a un lavoro complesso e caratterizzato da un nomadismo linguistico serrato e affascinante. Da un bel lavoro del 1978, Violett-Graues Ellipsoid che ricorda le ricerche degli stessi anni di Gianni Piacentino, alla recentissima serie “Wind”, il percorso allestito dalla direttrice di Museion, Letizia Ragaglia, senza forzature didattico cronologiche, fa emergere la personalità dell’artista tedesca nata nel 1948. La sua abitudine ad attingere direttamente dalla realtà l’ha portata a guardare il mondo esterno con analiticità straordinaria, le Soziale Fassade del 2002 ne sono testimonianza. I lavori apparentemente strutturati in modo astratto-cinetico, in realtà sono trasformazioni delle facciate dei grattacieli che usano il vetro per nascondere e non per comunicare. L’artista vi legge la sostanziale impenetrabilità del potere, che al contrario dei materiali che adopera punta più a un’autorappresentazione gerarchica che a una sostanziale apertura verso la gente. Interessanti le tele dei primi anni Novanta, reticolari e monocromatiche che nello stesso decennio vengono affiancate da una serie dedicata al cemento, materiale usato dal nostro Giuseppe Uncini o in Germania da Wolf Vostell. In questo caso si tende comunque a mantenere una valenza figurativa, seppur accennata ma evidente, che forse è più vicina alla Genzken. L’architettura è un tema ricorrente nei lavori citati e in altri in cui se la prende con il Bauhaus e con il modernismo-razionalismo in generale. In questo anticipa la moda imperante in tanti giovani artisti attuali.
Ma la serie “Wind” è quella che incuriosisce e intriga maggiormente per il suo sapore da street art. Un’icona pop come Michael Jackson campeggia nella sua celebre icasticità. Plastica, poster, fotocopie, carta stagnola, vernice a spray, nastri adesivi sono i materiali che compongono degli assemblaggi in cui le immagini del cantante prima della catastrofe fisica ne sottolineano la leggerezza. Tutto è leggero, in attesa di un vento che muova i materiali leggeri come il cantante quando muoveva il suo corpo sulla scena. Foto sottratte da libri e riviste, che sono state stampate con la courtesy di Annie Leibovitz, autrice delle immagini originali.
Il rapporto con la realtà è diretto, fisico, molti oggetti e foto vengono presi dall’infinito serbatoio dei ready made. L’installazione Oil XI presentata per la prima volta alla Biennale del 2007, esposta al piano terra di Museion, mette insieme abiti dimessi, valige, pupazzi, poster specchi, roba accumulata e dimenticata, che grazie all’artista diventa una finestra sul mondo contemporaneo, folle e senza memoria.