Appena atterrata in Australia mi sono precipitata nel suo studio. Era da un po’ di tempo che seguivo il suo lavoro, ma non sono brava a lavorare con artisti che non ho mai conosciuto personalmente. E se non ci piacessimo? Non sono “professionale”, nel senso che non riesco a immergermi in un lavoro senza conoscere la mente e la voce della persona che lo ha realizzato. Sono arrivata nel suo studio molto presto, lei ha aperto la porta e mi ha offerto un caffè, poi abbiamo parlato della sua mostra “Reclamation” da Artspace, a Sydney, di cui Micheal, nella sua recensione, ha scritto:
Concentrandosi sulla miniera di Panguna, gestita dall’Australia – un tempo la più grande miniera a cielo aperto del mondo – Reclamation scava in profondità nelle ferite della Regione Autonoma di Bougainville della Papua Nuova Guinea, dando una forma poetica alle realtà degli abitanti di Bougainville che si intrecciano nel tentativo di ricostruire una società devastata dagli interessi minerari. Quegli interessi hanno portato alla migrazione di migliaia di rifugiati in tutta l’Oceania, inclusa la famiglia di Taloi Havini1.
Ho ascoltato Taloi raccontare questa storia con la sua voce, e quando ha terminato le ho detto che la mia missione era convincerla a realizzare una nuova opera per Ocean Space a Venezia. Ero molto stanca a causa del viaggio, un po’ euforica. Ricordo di essermi mostrata molto appassionata al progetto perché desideravo disperatamente che accettasse la collaborazione. Lo stesso giorno doveva partire. Ci siamo lasciate con un grande abbraccio, lì ho avuto la sensazione che avessimo stretto un legame. Quando ho raccontato la nostra conversazione a Markus Reymann, direttore di TBA21-Academy e un amico, gli ho detto “Oggi ho conosciuto una nuova amica”.
Quella è stata l’ultima volta che ho visto Taloi di persona. Durante il viaggio di ritorno, la presenza del virus era ormai palpabile. Nonostante tutto, eravamo ancora ignari dei cambiamenti e delle conseguenze che avrebbe portato.
La mostra ad Artspace era incredibile. I lavori erano allestiti in due sale: in una c’era Habitat (2018-2019), un video a quattro canali sulla guerra civile dell’isola, e Reclamation (2020), un’installazione scultorea. Ai tempi ero convinta che la combinazione dei suoi oggetti e immagini in movimento sarebbe stata perfetta per lo spazio della chiesa di San Lorenzo. E invece, quando sono atterrata, prima a Madrid e poco dopo a Basilea, il mondo ha cominciato a chiudersi come non aveva mai fatto prima di allora. Taloi ed io avevamo paura, nelle nostre conversazioni telefoniche eravamo entrambe sconcertate e non avevamo idea di come gestire la situazione. In un certo senso, mi sono aggrappata a lei. Non volevo rinunciare alla possibilità di lavorare insieme a lei. Ero ormai certa che, quell’anno, non sarebbe stato possibile organizzare una mostra, ma avevo comunque la forte sensazione di dover continuare a scoprire il suo mondo, a imparare nuove condizioni epistemologiche e nuovi punti di vista. Ciò che mi spaventa di più è trovarmi nel mezzo dell’Europa da sola, senza un compagno o la guida di qualcuno che sa come farti vedere il nocciolo di un problema, che conosce il dolore, ma anche la luminosità che si sprigiona quando esso viene riversato nella pratica artistica. L’ansia ha iniziato a pervadere il nostro sistema nervoso, ma, nonostante ciò, poco prima che il primo lockdown ci cogliesse di sorpresa, Taloi mi disse che stava pensando ai suoni. Abbiamo visto la luce. Ci siamo calmati. Il suono era l’elemento di connessione quando parlavamo al telefono. Ci ascoltavamo, cercando di connetterci; la stessa premessa può funzionare su scala più ampia, su scala collettiva. Abbiamo deciso di incontrarci ogni settimana per parlare del progetto. Da un lato, quello di Taloi, il racconto riguardava la musica, il suono, il suo legame con i musicisti che aveva in mente – Ben Hakalitz, batterista, e Mario Celestino, flautista. Da parte nostra, c’è stato prima molto ascolto, e successivamente una narrazione dello spazio, dell’eco, della luce, dell’altezza, del pavimento, dell’entrata, del transito nello spazio. L’intero team di Ocean Space era presente agli incontri, come la studio manager Laura Thompson e la production manager Angela Dufty, e Philipp Krummel, che lavora per Taloi come studio manager, production manager e architetto, ci ha assistito con i suoi disegni. Tutti ascoltavano e facevano domande. Diverse settimane ci siamo incontrati anche due volte, era diventato un momento di gioia. Abbiamo osservato le idee diventare lentamente realtà: una composizione, un test, una prova, un brainstorming su attrezzatura e materiali. Poi è apparso il colore: blu. La settimana in cui il colore ha fatto la sua apparizione è stata speciale. Quale blu? Taloi ha spiegato il significato di questo colore. Il suo blu ha un altro nome e una funzione diversa nella sua cultura. Questo ci ha dato una base da cui partire. Era come se l’oceano stesse emergendo nello spazio. Ma era ancora poco chiaro se qualcuno di noi sarebbe potuto andare laggiù per testare il colore con le luci. Sono passi i mesi e il progetto è cresciuto, e ho cominciato a capirne il significato. Ho scritto: “Qualcuno vi offre la sua casa, come un’isola. All’inizio esiterete, ma poi vedete il blu e capite che siete invitati ad abitare l’isola per un po’, forse anche per un periodo più lungo. È vero che potete sentire il mare. In un primo momento è difficile percepire l’isola come una vera isola nel Pacifico, ma poi ecco che compare. Sapete come è stata modellata la curva della Terra? Dalla stessa energia che ha creato questa meraviglia. È naturale dal momento che questo lavoro – concepito specificatamente per Ocean Space, per voi – nasce dalle impressioni di Bouganville, luogo da cui proviene l’artista. Siete invitati ad abitare questo spazio e ad ascoltare i suoni che arrivano, come le nuvole che vengono spinte dai venti. Quattro elementi si intrecciano in questa composizione: i tamburi, il flauto di Pan, gli antenati e l’oceano stesso. Il titolo è Answer to the Call. I tamburi sono uno strumento utilizzato per trasmettere forza da un corpo all’altro; risuonano più profondamente della voce umana. Come noi, i tamburi hanno la pelle. È delicata e tesa. I tamburi sono ritmo, per questo sono stati al centro delle comunità per migliaia di anni. Alla loro chiamata, ci sincronizziamo. I battiti del tamburo chiamano il nostro cuore, e il cuore che batte risponde. Cerimonie, rituali, festività, guerre, o semplici chiacchiere trasmettono questi ritmi nel cielo. E da lì arriva il suono del flauto, che richiama il respiro della terra, dai polmoni del giocatore. Ika, chulli, malta, sanka, toyo (il più grande flauto di Pan): sono questi i nomi che le culture indigene dell’America centrale e meridionale hanno dato a quello che gli europei chiamano flauto di Pan, in un costante riferimento alla mitologia greca. È uno strumento magico: dai quattro ai diciotto tubi di bambú, senza buchi per le dita. Il suono emerge direttamente dalla matematica dell’universo tradotta in respiro. L’universo che si esprime sonoramente anche nelle profondità dell’oceano e nel canto delle nostre voci, come in quelli dei nostri antenati. Ci siamo riuniti su quest’isola per poter toccare questi suoni, per salutare questi fenomeni, per rispondere alla chiamata con la nostra presenza. Chiamata e risposta è un legame. Un legame che non si trova nelle nostre teste, ma nei nostri organi, nelle gambe in movimento, nei torsi oscillanti, nelle orecchie che seguono, negli occhi chiusi per non disturbare. Solo così emerge una presenza. E i tempi passati sono più vicini, i milioni di anni di esistenza dell’oceano diventano tangibili, le voci di colori che non ci sono più diventano presenti. Il tempo e lo spazio hanno stretto un patto grazie a quest’opera che celebra la sua presenza al di là della storia”.
Il nuovo lavoro commissionato a Taloi Havini può essere descritto come un lungo viaggio che attraversa il tempo e lo spazio con il suono. Quest’opera sonora composta di ventidue canali si allontana da una tradizionale composizione realizza per un luogo specifico, assumendo la forma di una chiamata e di una risposta che produce un dialogo tra i tamburi dell’Oceania e il flauto di Pan del Sud America. Successivamente si trasforma in una diversa sostanza sonora attraverso delle risorse d’archivio, come le registrazioni idrofoniche. In musica, quella della chiamata e risposta è una tecnica di composizione simile alla conversazione. Un fraseggio musicale serve da “chiamata”, a cui rispondono altri fraseggi diversi. Ma in questo caso, chiamata e risposta sono qualcosa di più di un formato; è un modo per affrontare un pensiero dialogico attraverso il suono che supera la distanza (spazio fisico), il tempo (perché gli strumenti incarnano la memoria degli antenati), e il linguaggio (la volontà di relazionarsi e creare collettivamente delle forme di comunicazione). Gli strumenti si rispondono a vicenda, gli ascoltatori rispondono a turno, e tutti ci lasciamo trasportare dal suono. Abbiamo la netta sensazione che i suoni stiano parlando direttamente con noi. Anche quando è registrato, lo spirito della performance live prevale su tutto, e presto capiamo che lo scopo principale di questi suoni è collegare il lontano Oceano Pacifico e il pubblico di Ocean Space a Venezia. Eppure, questo forte momento partecipativo evolve in una narrazione sonora più astratta, in cui non ascoltiamo solo gli strumenti degli umani, ma anche i suoni dell’oceano. L’opera guarda alla possibilità di fondere questi due mondi per percepirli insieme. Noi – un pubblico che potrebbe non viaggiare mai nel Pacifico – siamo inclusi nella filosofia della comunità che Taloi sta creando.
“Io sono perché appartengo agli altri.” Questa la fondamentale credenza a cui l’opera da vita.
Taloi Havini è nata nella Regione Autonoma di Bougainville, nel Pacifico, ma attualmente vive in Australia. La sua produzione assume molte forme diverse, dal film, al video alla scultura, ma la sua pratica artistica si manifesta anche nel suono e nella scrittura. Il suo lavoro abbraccia il pubblico mediante gli elementi fondamentali delle culture native del Pacifico: la loro epistemologia; il modo con cui si approcciano all’oceano e concepiscono il linguaggio; la loro espressione di vita nell’organizzazione delle proprie comunità; e il loro profondo rapporto con la natura. La sua opera è un terreno di riflessione sulle conseguenze dell’espropriazione economica, sulla militarizzazione, sull’estrazione mineraria, sulle piantagioni, sulle malattie, sul razzismo, sulla migrazione e il degrado ambientale.
Questa commissione per Ocean Space è la più grande mostra personale dell’artista in Europa. Realizzare una nuova opera nelle condizioni imposte dalle restrizioni sui viaggi a causa del COVID-19 ha richiesto una concezione completamente nuova di distanza e presenza. La nuova opera di Taloi Havini per Ocean Space intende dare nuova vita alla presenza di molti visitatori attraverso l’utilizzo del suono. Voci, storie, musica: un ritorno alla funzione originale della chiesa: raccogliere una congregazione per ascoltare.