Elementi di difesa alle accuse di cinismo da parte di C.
La mia non era un’opposizione ai suoi argomenti (i valori), avevo solo concluso dicendo: “il destino delle avanguardie è quello di essere assimilate, addomesticate e mercificate; vedi Erwin Bluemefield e le invenzioni Dada nei servizi di Vogue o Malcom McLaren e le invenzioni situazioniste nell’industria discografica”.
Lista di ricordi mediatici dall’infanzia al 2001 (per trovare risposte ad un eventuale cinismo): le luci verdi dei missili nei video notturni di Bagdad, gli Hutu e i Tutsi, la gente sulla Vlora, le dirette notturne di Samarcanda sulla Jugoslavia, stragi di mafia, manifesti con le siringhe, la liberazione di notte di Farouk Kassam, Mani pulite, alcune puntate dei Simpson la sera tardi, la morte di Senna, Blob prima di cena, Rotten.com, lo spot del Ballantines con il discorso di Seattle in sottofondo, Beavis & Butt-head, immagini del Kosovo, L’Ottavo Nano, il Booster a San Siro, il G8 di Genova, la diretta dell’11 settembre.
2001–2010 caratterizzati da: depressione, guarigione, sport vari, amicizie solide, studio, manifestazioni, senso di unione con la natura, primi amori, viaggi, ingresso in accademia, laurea, prime esperienze artistiche.
2010–2021 caratterizzati da: ingresso nel mondo dell’arte, nuova concezione rapporto essenza-apparenza, frammentazione dei rapporti personali, nessuna distinzione tra viaggi di lavoro e piacere.
Note sul cinismo
Per C. essere cinici significa rassegnazione e mimetismo con il potere (la sua vera accusa forse era di snobismo e elitismo). Meccanismi di autodifesa. Superamento della distinzione tra amici e nemici. Accettazione dell’incomunicabilità. Dubbi sui valori, e sulle verità e utilità dell’arte.
Lati positivi del cinismo: dimestichezza con l’ossimoro, con l’identità sincretica, con la simulazione, controllo degli eccessi, disincanto (nel senso più positivo possibile!)
La critica di C. nei miei confronti è quella di un atteggiamento che si sottrae troppo alle determinazioni definitive, e a quel punctum che renderebbe l’arte più empatica e accessibile. Critica anche il mio modo di vestire (come se evitassi il punctum anche lì). Secondo C. dovrei essere più nostalgico, isolare di più gli artisti e le opere per apprezzarne il lirismo (come lo chiama lui), pensare meno alle complessità e alle criticità, ai punti ciechi.
Caro C,
ho pensato a quello che mi dicevi, a lo “stare nel mezzo”. Mi viene in mente qualcosa tra l’azione e la passività. Immagino un dualismo diverso dalla differenza tra vita activa e vita contemplativa di Hannah Arendt e più vicino a Giordano Bruno che pone due stati: l’atarassia e “l’eroico furore”. Questi ultimi sono due condizioni nelle quali sentimenti opposti coesistono simultaneamente. Ma se nell’atarassia sono ridotti al minimo (come nel dandy), nell’“eroico furore” invece sono estremizzati e animati dall’autodistruzione (immagino Jan Palach o Mohamed Bouazizi).
Ti propongo due non-opere. Non sono recenti ma sono contemporanee agli artisti di cui parlavamo.
Reggio Emilia 7 luglio 1960
Nell’estate del ’60 il settimanale Vie Nuove pubblica un disco in allegato. Un dimostrante che voleva registrare dal vivo la manifestazione degli operai si trova invece a documentare una strage. Registra le urla della gente e gli spari della polizia mentre uccide cinque dimostranti e ne ferisce oltre trenta. Pasolini, rispondendo a un lettore di Vie Nuove, descrive questo disco come “il più terribile e anche profondamente bello” che avesse mai sentito, e dice: “gli esperimenti, estetizzati, di fare poesia con la casualità – dalla musica alla pittura – appaiono ridicoli da questo esperimento che, di estetizzante, non ha proprio nulla: nato dal caso, semplice riproduzione di materia pura. La sua bellezza ha dei momenti sublimi, perché mai la suggestione estetica si distacca dal suo contenuto”.
Facile immaginare fra gli “esperimenti” di cui parla Pasolini lavori come quelli di John Cage o Allan Kaprow, introduzioni di segmenti di realtà nell’opera, la ricerca di annullare la separazione tra arte e vita e i tentativi di eludere la rappresentazione.
Anteo Zamboni
Anteo Zamboni, muore a quindici anni per quattordici pugnalate al torace inferte da un gruppo di squadristi per aver tentato di uccidere Mussolini, durante un corteo tenuto a Bologna il 31 ottobre del 1926, in occasione del quarto anniversario della marcia su Roma. Lascia alcune note su carta da lettere e su una busta, supporti di fortuna trovati nei cassetti di casa.
Le scritte si mescolano con i disegni, si incrociano, cambiano inclinazione, dimensione e calligrafia, nel caos si possono leggere frasi come: “Uccidere un tiranno non è un delitto ma è un dovere”, “è l’ora di morire”, “griderò sempre W la libertà”.
Le parole e i disegni sembrano fatti di getto e con la mente altrove, come in trance o sotto ipnosi. Le scritte sembrano slogan sui muri per strada. Il disegno della pistola che poi userà al corteo È la pistola. Sul foglio Anteo sembra proiettarsi in quel luogo e in quel momento, non c‘è distinzione tra immagine, pensiero e azione.
Ora secondo me è molta della poesia visiva ad apparire ridicola (come direbbe Pasolini) di fronte a quei pochi pezzi di carta, nei quali non c’è alcuna distinzione tra immagine, testo e verità. Ogni elemento grafico sembra inseparabile dalle emozioni che hanno concorso a quella stesura, come in una unità di corpo, azione e passione (sono il soggettile di Artaud descritto da Derrida?). Come per la registrazione di Reggio Emilia, anche qui la realtà è estetizzata fino a eludere la rappresentazione, o si confonde con essa.
C’è qualcosa di più “lirico”?
A.