Umberta Genta: Manifesta 9, “The Deep of the Modern” (dal 2 giugno al 30 settembre) si svolgerà nel complesso minerario di Genk, in Belgio, e si ispirerà allo sviluppo industriale verificatosi nel XX secolo. Qual è il ruolo dell’eredità culturale e della storia in questa mostra?
Cuauhtémoc Medina: Il progetto ambisce a produrre un complesso intreccio di storie e una serie di risposte alle trasformazioni e ai cambiamenti provocati dall’industrializzazione nel corso di due secoli. La nostra speranza è che i visitatori riescano a trovare costanti richiami, sia nelle opere contemporanee sia nella storia dell’arte. Vogliamo provare a immaginare quale risonanza avrà Manifesta 9 e a sottolineare le possibilità che le biennali potranno avere in futuro come strumenti educativi e luoghi per la riflessione politica.
UG: In che modo i trentacinque artisti selezionati interagiranno con le peculiarità geo-politiche di questa regione?
Katerina Gregos: La mostra assume come punto di partenza il fatto che la regione belga dove in passato c’era un complesso minerario possa rappresentare un’opportunità per discutere sul retaggio dell’industrializzazione e il conseguente sviluppo del capitalismo industriale come fenomeno globale. La sezione di arte contemporanea, dal titolo “Poetiche della ricostruzione” si concentra intorno alle risposte date dall’arte rispetto alla riorganizzazione economica globale.
UG: Quali sono le novità rispetto alle passate edizioni?
Dawn Ades: Sicuramente la sezione storica, presente quest’anno per la prima volta, dal titolo “L’età del carbone: una storia sotterranea della modernità”, che traccia le risposte degli artisti agli effetti della rivoluzione industriale in Europa in termini sociali, politici e ambientali. Non si tratta di una storia illustrata delle miniere di carbone, ma pone l’accento sulle trasformazioni provocate dalla nascita dell’industria all’interno della storia dell’arte. Si parte allora dai cambiamenti che hanno interessato la pittura di paesaggio con l’avvento dell’industrializzazione, fino alla comparsa della figura del lavoratore all’interno dei dipinti del secolo scorso, includendo l’iconografia del realismo socialista.
Daniela Ambrosio: Puoi spiegarci meglio cosa vedremo?
CM: Manifesta 9 sarà una combinazione, un montaggio e un dialogo fra tre iniziative che saranno presentate in un’unica location. In “Poetiche della ristrutturazione” ci sarà una sezione “ridotta” di arte contemporanea, con circa 40 artisti che offriranno diverse prospettive sulla continuità del sistema industriale mondiale e i suoi effetti sociali e ambientali, insieme a una riflessione sui concetti di lavoro e produzione. Fin dall’inizio, uno degli obbiettivi che Katerina Gregos e io avevamo era di ridurre drasticamente le dimensioni di questo evento, per presentare il lavoro degli artisti in maniera appropriata e per offrire una nostra accurata selezione, invece di lasciare il pubblico confuso ed esausto di fronte alle opere. Ho inoltre lavorato con lo storico Dawn Ades alla realizzazione di un saggio dal titolo The Age of Coal, che riflette su quanto, durante il XIX e XX secolo, l’arte fosse influenzata dalla centralità del carbone, e su come il mondo della miniera dava vita a un nuovo immaginario visivo e poetico. Vorremmo che questa fosse una mostra storica costruita su idee d’arte contemporanea, e che il lavoro degli artisti viventi traesse benefici dall’essere presentato in una più ampia prospettiva storica. Infine, c’è un esperimento sul concetto di eredità, sviluppato nella mostra dal titolo “17 tones”, che combina collezioni e contributi di organizzazioni e gruppi che hanno a che fare con la memoria delle miniere di carbone, insieme a personalità culturali di vario tipo. Dato che Manifesta è una biennale migrante, sentiamo che questo complesso progetto sarà in grado di rappresentare un’interessante piattaforma per l’arte e uno specifico contributo intellettuale e politico finalizzato allo sviluppo di riflessioni sul ruolo della cultura come strumento di conoscenza del mondo.
DA: Qual è la definizione di “moderno” oggi?
CM: Ciò che ci interessa è esplorare le relazioni tra produzione artistica e materiale e il modo in cui le miniere sotterranee per l’estrazione di carbone hanno contribuito a costruire il mondo moderno. In questo senso, non vogliamo inserire il moderno nella definizione di presente, al fine di estendere il suo significato poetico e culturale, ma invitare lo spettatore a riflettere sulla cultura moderna come prodotto dell’estrazione del carbone. La selezione degli artisti contemporanei ha origine dal fatto che i loro lavori rappresentano una sorta di storiografia, consapevole o inconsapevole, della modernizzazione.
DA: Quali sono state le tue impressioni lavorando in un territorio unico come quello di Genk?
CM: Genk è una città che riassume, in maniera singolare, come le forme della produzione diano vita a società e paesaggi. Sono rimasto colpito dall’energia della memoria presente in questo luogo, e infatti Manifesta 9 intende creare una piattaforma per far riflettere le persone sull’importanza della loro storia, e indirizzare le problematiche relative all’eredità in un modo più complesso rispetto alla semplice rivendicazione di un’identità.