Maurizio Cattelan è colpevole di omicidio, dato che ama scherzare con animali impagliati e fachiri seppelliti a oltre novanta metri di profondità. Non ha scrupoli a desiderare la moglie e la casa del suo prossimo: in realtà, ha costruito la sua carriera proprio interrogandosi sui dogmi del possesso e dell’originalità, trasformandosi in un ladro di stile.
Proprio come Zorro o Robin Hood, Cattelan è un bugiardo, e quest’anno ha elevato la falsità al rango di arte, convincendo sponsor e musei a pagare a lui e ai suoi assistenti una vacanza al sole, mascherata come Biennale dei Caraibi. Non stupisce che un simile tipo sinistro non abbia rispetto per suo padre e umili i suoi galleristi, crocifiggendoli al muro con lo scotch, o vestendoli da peni giganti. Come ogni incorreggibile peccatore, Cattelan dichiara la sua innocenza. Probabilmente, egli non ha mai letto la Bibbia, ma ricorda bene: “Colui che è senza peccato, scagli la prima pietra”. E così lancia un enorme meteorite contro una perfetta scultura in cera del Papa.
Il Santo Padre sembra riconquistare la dignità e la fragilità che appartiene alla santità, e che oggi è persa nella confusione delle comparsate televisive, dei CD, dei libri di poesia, e delle magliette che oggi vanno a comporre l’immagine esplosiva del Santo Padre. Infatti, come in ogni atto di blasfemia, l’installazione di Cattelan risuona con la potenza del Sacro: è un carnevale di idioti — il debole che cerca di detronizzare il re — lasciati a giocare con una effige di cera, mentre l’oggetto reale ancora è seduto sulla sua sedia, e si gode felicemente lo spettacolo. Non importa con quanta insistenza ci provi, Cattelan è destinato a perdere. Il gioco è proprio su di lui, e pesa come una pietra.