Quello che segue è un testo fatto di eventi e corpi che accadono nell’incontro, un appuntamento al centro del cuore di uno spazio infinito d’Amore1. Raccoglie alcuni appunti corali di una ricerca intorno a tutte quelle espressioni artistiche prodotte negli anni di crisi HIV/AIDS in Italia tra il 1982, anno in cui viene registrato il primo caso nel nostro paese, e il 1996, anno in cui alla conferenza di Vancouver vengono presentate le terapie antiretrovirali combinate. È una storia non ancora scritta e che, ora, stiamo provando a rammendare insieme ad attiviste, storici dell’arte, del teatro e della letteratura, poete, artisti e studiose – i cui primi risultati saranno presentati nella mostra VIVONO. Arte e affetti, HIV/AIDS in Italia. 1982-1996 al Centro Pecci di Prato nell’autunno 2025.
Questo testo si chiede cosa voglia dire fare ricerca e perché farla, guardando all’HIV/AIDS non come oggetto ma come esperienza, in cui una serie di infinitesimali, microscopiche e urgenti negoziazioni di corpi accadono. Parla, qui, del sesso, di come sia stato interpretato, raccontato, fatto e di quello che dice a noi oggi2 ; lascia emergere diverse voci, le intreccia. Si perde, con cura e curiosità nelle incertezze, insaziabilità e indeterminabilità che sono gli incontri delle carni.
«Splatter my heart, honey
… please!»3
11 dicembre 2023, New York
Com’è quando perdi il controllo della tua mano? Quando la tua lingua ne incontra tante da sciogliere i suoi contorni? Quando il cazzo sfiora le intestine fino a diventare rosso? Quando nudo, a gambe aperte, sto seduto su una poltrona di finta pelle nera nella seconda stanza a destra di un loft a Midtown Manhattan, mentre intorno altri corpi nudi giocano a incastrarsi? Pelle contro pelle. Sono tutte prove di intimità impersonale4: abbandonare la presunzione della propria e altrui identità e consumarsi in quell’evento che porta le tue carni a sostituirsi alle altre carni, laddove l’intimità non è definita dalla conoscenza ma si consuma nel darsi all’altro. What if we were no longer impressed by permanence, longevity, and a certain museological artifactuality rendered as evidence?5 E se scoprissimo che ci possiamo dire molto di più quanto chiudiamo le bocche e apriamo i culi? È la sessualità perversa polimorfa di cui scrive Mario Mieli6, quella possibilità di conversazione che insiste sulla porosità, l’indifferenza del desiderio, l’intercambiabilità come alternative alla norma; o l’etica del contatto che per Tim Dean7 è all’opera nelle comunità di barebacking8, quando il rischio del contagio non cheta l’ardore di esperire l’altro–intimità illimitate. Sono prove d’amore.
Nel 1993, con oltre 100.000 casi registrati di AIDS negli Stati Uniti e 22.000 in Italia, John Giorno scriveva: Tratta un perfetto estraneo / come se fosse un amante, abbraccialo / come un caro amico, quale infatti è / allo stesso modo in cui 10 anni fa / potresti aver fatto del / sesso favoloso / in assoluto abbandono / con lo stesso estraneo. / Ora la vita è devastata / e noi offriamo amore dalla stessa radice di / compassione / senza limiti.9
Sono tutte prove d’amore impersonale.
Tra le carte conservate presso la John Giorno Foundation, ci sono le insistenti lettere che Felipe Hall, musicista, artista e persona con HIV, recapitava a Giorno da un istituto penitenziario di Brooklyn, indirizzate all’AIDS Treatment Project–un progetto che il poeta inaugura alla fine degli anni ‘80 con l’obiettivo di fornire assistenza finanziaria gratuita a persone con HIV e AIDS in difficoltà economiche. Sono confessioni che alternano momenti di sconforto, richieste disperate di soldi e profondi slanci di affetto. C’è rabbia e paura, ci sono lacrime e sorrisi. Così, quel supporto economico che non vuole compensazioni fa sì che Giorno diventi amante e amico. C’è un filo sottile che lega questa storia, il cruising anonimo, l’AIDS Treatment Project, la condivisione di sofferenze, e il mio stare qui, ora, con il cazzo duro tra le mani e una lingua che descrive il profilo della mia coscia: è la decisione di lasciare noi stessi alle spalle10.
Fin quanto possiamo raccontare qualcosa che non abbiamo vissuto? Qual è il limite tra revisionismo storico e sguardo laterale? Lì, su quella poltrona, ho pensato a cosa gli anni di crisi HIV/AIDS11 abbiano lasciato oggi, a quale sia il loro significato. È tutto nella “compassione senza limiti”, quando decidiamo di abdicare al riconoscimento intersoggettivo come prerogativa per l’intimità. Sono le storie di chi visitava in ospedale persone sconosciute per condividere con loro alcuni attimi; i ricordi di chi offriva aiuto, con generi alimentari e pasti, in case che non avrebbe più rivisto; i resoconti delle feste o delle raccolte fondi organizzate con la speranza del presente; sono tutte quelle famiglie i cui legami si sono inscritti sui corpi non in virtù di biologie reazionarie ma quando occhi hanno incontrato occhi e alcune mani si sono strette e le dita si sono incrociate. È tutto quell’amore impersonale.
25 maggio 1987, Roma
Improvvisamente la voglia di amare
il desiderio di un amore –
delle labbra calde e morbide da baciare –
è solo un film – e quanto può sull’immaginario –
da ieri sera c’è questo fantasma –
forse sono ancora vivo.12
Massimiliano Chiamenti era un poeta buio, un filologo dantesco, un frocio, un mostro eternamente giovane e immortale, allegro e saltellante13, un corpo che si muoveva a 165 bpm nel sottobosco fiorentino e bolognese degli anni Ottanta e Novanta. Era una voce trascinata, una disperata vitalità, un secco colpo al cuore. Nelle sue parole sghembe e inventate–sospese tra il plurilinguismo dotto e le secrezioni umide agli orinatoi dei cessi pubblici–l’amore straziante pulsa sotto pelle, come se esistesse solo tra muscoli, nervi e grasso, nell’odore agrodolce e bagnato. […] quante adorabile la puzza dei tuoi piedi / ti bacero le gote et le lebbruzze / la testa semicalva et le cioccione / ti lecchero le ascelle et lombeliko / et il plesso pingue del tuo ventre / lanello del trullante et il santo marmo / grattandoti con lunghie i peli delle cosce / ed odorando a capofitto / lacidita stordente del tuo pube / quante adorabile la puzza dei tuoi piedi […]14. Come se, l’amore, fosse macchina di disfacimento, fosse fine. ma quanto questo folle amore mi consumi / che dura più che batteria o pila / mentre la polvere si posa sul mobilio / et sempre gli indumenti vanno rilavati / con essudazioni et liquamenti / i corpi si sospingono nel mob / […] quanto poco dura la birra nel bicchiere / et lo sballottamaento che trapela in gora / eet resta poi perpetuo motorino / questo folle amore che consuma.15
Come si fa sesso durante un’epidemia?16 A partire dalla metà degli anni ‘80 si moltiplicano pamphlet e campagne informative per il sesso sicuro; Douglas Crimp si chiede perché altri insistano sul pericolo della promiscuità, quando sarà proprio quella a salvarci17; Simon Watney nota come la fantasia (o desiderio) sia quel modo per make good sex better18; Franco Grillini gira l’Italia con una valigia piena di preservativi, ne mostra l’uso, come divertirsi; «Maschio» pubblica le prime immagini porno dove il condom diventa un gioco, viene esplorato con la lingua, è corpo in mezzo ai corpi. C’è lo stigma. EssePiù19 raccoglie le voci di persone con HIV e AIDS, lascia traccia delle loro paure e delle loro speranze: alla comunicazione della sieropositività segue un periodo di “autosterilizzazione”–il soggetto “sapendosi infettato e infettante si ritiene tagliato fuori dal gran ballo della seduzione”20, dove finisce il desiderio, allora? Spesso si scioglie nella rinuncia all’amore, “una donna disse che non sentiva la mancanza del sesso quanto piuttosto di affettuose carezze e che il suo compagno in quel periodo si asteneva da qualsiasi contatto affettivo”21. O, al contrario, si disfà nelle ulcere che espellono sieri nauseanti: Il didietro – pardon il retto / non funziona più, una fistola / o ragade l’ha infettato. / Allergie successive hanno / reso odioso il Karma dei poveri. / Le possessioni diaboliche / lasciano spazio alla musica / di Mozart, il resto è prosa22. Dario Bellezza, poeta affamato che ha saputo guardare sé stesso con occhi asciutti, senza indulgenza, ha raccontato delle marchette di Piazza dei Cinquecento, del sesso come panacea al dolore, di come–quando svuotato–si possa intravedere una brevissima pace, dopo il corpo è vuoto / sterile il tuo bosco23. È nel 1995 che, in seguito alle indagini intorno alle faccende della villetta di Vitinia24, sui giornali la sua foto è associata all’AIDS: erano gli anni dell’assenza di cure, quando era scandalo, isolamento, merda. Alla fine dello stesso anno appare in un’intervista RAI dove, sguardo in camera, si presenta: parla di Dio come affetto e cattiveria, della malinconia dell’amore. Addio cuori, addio amori / foste i benvenuti, gli adorati / ascoltati meno / per non intrecciare / meschine figure, o suicidi. / Così si scriveva una volta: / carcasse di ingenuità / per volare alto, sacrificare / al nemico, infinito. / Oggi tutto ha perso senso / senza tregua minaccia / anche voi amori, anche voi cuori25. È una constatazione secca, che non lascia speranza. Come se quella fantasia, quella possibilità polimorfa del desiderio fosse già caduta. E le mani–Il tuo sesso nelle mie mani, liscio, / pieno di seme da succhiare, in gola26 –fossero fredde, inerti. Non c’è più l’amore carnale–io vecchio ormai / decrepito incapace d’amore27 –quello che nelle fioriture lasciava intravedere un paradiso, ma solo il ricordo che si fa pesante come il sentimento stesso e ne calpesta le immagini, perché sono ancora a questo dunque: / a rievocare dentro una scucita / coperta giapponese, in prosa / ritmica e baciata, lunga di seme / la presenza cacciata dello sguardo / di un ragazzo fuggito in Germania28. Bellezza non esclude colpi, intreccia brama e rassegnazione, insieme tesse parole di sesso e di droga, guarda alla sua generazione e ne descrive il tempo che è fatto dell’attimo senza il domani, del devastante ed euforico qui e ora, laddove Ci è stato / tolto il futuro, a meno che / non lo si viva in questa ansia di / distruzione […]29. È un buio accecante dove, per quanto struggente e violato, esiste ancora lo spazio dell’affetto. Può esserci innamorato / più fedele di me? Che io / sia un re lo sai solo tu / e il comune sogno ferito. / Non vivrò eternamente. / Smettila, ma non guarire!30
Allora l’affetto non è la forma o l’immagine di una relazionalità, quello che potremmo volere o essere; è invece la traiettoria disordinata di una forza che a partire da un corpo si dispiega in quello che potremmo fare, esiste nella nostra volontà, quando guardiamo, sentiamo, osserviamo, percepiamo e pensiamo. È quando affoghiamo in questo amore, quando ci facciamo lambire da baci larghi, ci rilassiamo nello sguardo di chi, per un momento, entra dentro di noi. È vedere il lato bello, accontentarsi del momento migliore, fidarsi di quest’abbraccio e non chiedere altro perché la sua vita è solo sua e per quanto tu voglia, per quanto ti faccia impazzire non gliela cambierai in tuo favore31. Pier Vittorio Tondelli pubblica «Camere Separate» nel 1989, una storia a tratti autobiografica, l’incastro delle vite di Leo (lo scrittore) e Thomas–che muore di un male indicibile. È, in realtà, tutta un’epica delle attrazioni e dei respingimenti dell’amore, della clandestinità della solitudine, la fuga per non farsi trovare dall’amore. Eppure arriva, ineluttabile. L’amore è assoluto, non si può comandare, accelerare, evitare, guidare. L’amore è totalità e pienezza32. Di nuovo, è quella forza che esiste al di là delle sembianze che per qualche istante prende, siano quelle di Thomas, Madison, Vondel o altri ancora. Si agita nella sua impersonalità–e gratuità–solo per consentire l’accesso, finalmente, nel mondo di un altro. Una forza che per un attimo squaderna una superficie di condivisione dove ciascun corpo è importante per le sue carni, per l’unicità della sua esperienza. Fidarsi dei suoi baci, della sua pelle quando sta con la tua pelle, l’amore è niente di più.33
Allora, come si fa sesso durante un’epidemia? Si fa con i muscoli, i piedi, le gote e le ascelle; con la testa semicalva e il retto che non funziona più; si fa con il seme, il preservativo o senza, con il dolore e questo abbraccio; si fa con l’amore, senza sapere chi hai davanti. È molteplice, penetrativo e non, è desiderante, fantasia. Si fa con il tempo, nell’urgenza di un’unica coordinata, si fa ora. Un’ora che conflagra tutta la promiscuità del passato e le potenzialità del futuro, che sovrappone su un volto tutti i volti che abbiamo incontrato e incontreremo, che dice di quello che siamo e del nostro divenire. Fin quanto possiamo raccontare qualcosa che non abbiamo vissuto quando tutto si brucia in un istante? You got to burn to shine.34
1993, Palermo
Ho bisogno di un angelo
tu sei un
angelo?
Io sto cercando un angelo
mi chiavi mentre parliamo?
Ho tanto bisogno
vedi? Sono dimagrito
ma ho ancora la luce degli occhi
mi baci la bocca?
O ti lasci baciare queste tue labbra
grosse?
Ma tu che linguaggio usi a distanza
di un anno?
Avanti
portami sopra
alla maniera di una buttana
se vuoi
ma portami
non stiamo qui a parlare sempre.35
8 novembre 1984, Roma
Ancora non so, se l’amore è sempre così – è bello
mette paura –
non si può gestire come tutte le altre cose – come il sesso –
ti sfugge di mano – ti prende –
ti perdi…
eccomi senza difese.36
11 dicembre 2024, Milano
Ho salito veloce le scale e Andrea mi ha aperto la porta quando ancora alcuni scalini mi separavano dal pianerottolo. È un signore sui settanta ben portati, veste sportivo con sneakers bianche, mi fa entrare e mi indica un divano azzurro, a terra dentro buste di carta accatastate ci sono diverse medicine, mi dice di essere dermatologo. Parliamo di Roberto Caspani, artista e suo compagno negli anni ‘70 e ‘80, morto nel 1985 all’ospedale Sacco di Milano per complicazioni dovute all’AIDS. Mi dice che appena ci fu il sospetto della presenza del virus HIV (all’epoca HTLV-III/LAV) mandarono un campione del suo sangue in Inghilterra perché ancora in Italia non si facevano le analisi. Caspani fu tra i primi casi registrati, nel 1985 se ne segnalano poco più di 200. Mi ha raccontato di come si sono incontrati, del viaggio negli Stati Uniti fatto insieme nel 1980, del loro amore; abbiamo parlato di battuage, saune, di sesso libero, di quel brivido che è darsi quando conosci solo gli occhi dell’altro. Mi ha raccontato di come Roberto dipingesse, di come condensasse le sue emozioni, le situazioni sedimentate nella notte37, sulla tela. Di come i suoi lavori vedano la terra dall’alto, a volo d’uccello, e ne descrivano le geometrie sghembe. Di come, alla fine, i colori brillanti, quasi accecanti, avevano lasciato posto a velature più spesse e grigie e il segno si fosse fatto più rapido, sbrigato, a fendere il piano come ferite su carne viva. Mi ha detto degli ultimi giorni, delle persone amiche che si erano adoperate per aiutarlo, di come si era costruita una comunità intorno a qualcosa il cui nome era ancora difficile da sapere. Amore impersonale. Abbiamo pianto–e come si fa a resistere alle lacrime? Le calde lacrime che su gote amate / scendono piano o silenziose / come una mano le scalda un’altra / le butta via. Lacrime leccate, invano / succhiate che resistono alla vita, / si spargono in lacrime purulente / come lacrime venute a pioggia / da un mondo lontano e infetto38.
Ci siamo salutati con la promessa di rivederci presto, a gennaio. Ho camminato venti minuti per raggiungerti, asciugandomi gli occhi e quando sono montato in auto mi hai dato un bacio sulla guancia.