Da sempre, uno degli aspetti più sexy della net art è la sua capacità di sondare vie non convenzionali per raggiungere il pubblico, costruire senso, generare comunità. In un certo senso, questa tendenza è connaturata a una pratica che ha scelto di rifiutare il ruolo mediatore delle istituzioni, posizionandosi in uno spazio pubblico dove è, al contempo, incredibilmente vicina e terribilmente lontana. Mi raggiunge a casa, a circa quaranta centimetri dal mio sguardo, ma come posso scovarla, in quel mare di informazione, senza una guida?
Ovviamente, le istituzioni sono intervenute presto a farci da guida, e altrettanto presto si sono ritirate. Ma sono stati soprattutto gli artisti a dare vita ai nodi di aggregazione più vitali e ai formati espositivi più interessanti. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono stati proposti da due artisti europei, e sono una contagiosa boccata d’aria fresca in questi tempi di crisi, che richiedono auto-organizzazione e iniziative low budget. Entrambi i concept sono “open source” — possono, cioè, essere ripresi e riproposti da chiunque; entrambi hanno costi vicini allo zero, ed entrambi avvengono in uno spazio di aggregazione reale. Quest’ultimo aspetto è molto importante, per una comunità che si conosce e si frequenta soprattutto attraverso la rete.
Concepita dall’artista tedesco Aram Bartholl, “Speed Show” è una mostra di una serata organizzata in un Internet Cafe. Il curatore ne contatta uno e se lo fa mettere a disposizione per una serata, noleggiando tutti i computer alla consueta tariffa oraria. Ogni computer diventa la postazione d’accesso a un lavoro, e il pubblico si muove da un computer all’altro guidato da una mappa distribuita all’ingresso. La mostra, tuttavia, non si sostituisce all’attività tradizionale dell’Internet Cafe, ma si sovrappone a essa. Chi viene per navigare in rete o per telefonare a un parente può anche vedere dell’arte; e chi viene per la mostra, può anche controllare la sua e-mail. Il progetto è ricchissimo di implicazioni: consente di conciliare la natura pubblica e privata della net art, innestandosi in uno spazio pubblico di accesso a internet; la sottopone al giudizio di un pubblico non specializzato, e probabilmente non interessato all’arte; fa convivere, con esiti imprevedibili, due comunità diverse, e due diversi rituali; ed esplora la funzione sociale degli Internet Cafe, che spesso cambia di paese in paese.
Finora, Bartholl ha organizzato quattro “Speed Show” (a Berlino, Vienna, Amsterdam e New York), ma l’idea si presta a diffondersi viralmente. Cosa che succederà presto, come sta già accadendo per “BYOB (Bring Your Own Beamer)”, frutto di un’idea dell’olandese Rafaël Rozendaal. Il titolo, ispirato alle feste in cui i presenti sono invitati a portarsi la birra (bring your own beer), dice tutto: gli artisti coinvolti (anche qui, per l’evento di una serata) sono invitati a portarsi il loro proiettore, da usare come display per un’opera screen based o in qualsiasi altro modo. In questo caso, il curatore trova lo spazio, e gli artisti invitati arrivano con l’opera e il proiettore, allestiscono e smontano a fine serata. L’allestimento non è predeterminato: ciascuno si sceglie uno spazio di proiezione (le pareti, il pavimento, il soffitto, gli interstizi, i pilastri), rispettando il lavoro degli altri ma anche dialogando con esso.
Il primo “BYOB” è stato organizzato da Rozendaal e Anne de Vries a Berlino, nello studio di quest’ultima; il secondo, curato dall’artista Angelo Plessas, si è svolto alla Kunsthalle di Atene; il terzo ha avuto luogo in una grande galleria commerciale di Soho, la Spencer Brownstone (a cura di Rafaël Rozendaal); e il quarto, curato dagli artisti Chris Coy e Guthrie Lonergan, in una galleria universitaria di Los Angeles. Molti altri sono già in gestazione. Rispetto a “Speed Show”, il concept è evidentemente più spettacolare e più flessibile, non essendo vincolato né a uno spazio specifico (peraltro molto caratterizzato come quello degli Internet Cafe) né a un determinato linguaggio. Rozendaal dichiara di aver tratto ispirazione, da un lato, dalle quadrerie ottocentesche e, dall’altro, dall’idea che l’informazione, che oggi fruiamo prevalentemente attraverso uno schermo, ci circonderà, diventando presto il nostro spazio di vita. Ma se Internet, e la sua peculiare tribù, sono all’origine del progetto, “BYOB” non è vincolato a loro: chiunque contempli l’uso del proiettore nella sua pratica artistica può prendervi parte.
Ovviamente, sia “Speed Show” che “BYOB” hanno dei limiti, se confrontati con i formati espositivi convenzionali. Più che di mostre, si tratta di piattaforme, fortemente legate al lavoro di chi le ha ideate, eppure capaci di imprevedibili derive. La loro forza sta nel fatto di cogliere appieno lo spirito di una pratica e di una generazione, e di proporsi come autentiche piattaforme relazionali, basate sul DIY, la comunità, il rispetto e la competizione. La lezione di Internet si innesta su quella di Rirkrit Tiravanija e delle mostre d’appartamento di Hans Ulrich Obrist, comunità online ed etica open source ridanno slancio alle teorie di Nicolas Bourriaud. Il cocktail è irresistibile, e se volete arricchirlo, le regole sono semplici: attribuzione, non commerciale, condividi allo stesso modo.