Originariamente pubblicato in Flash Art no. 237, Dicembre 2002 – Gennaio 2003
Giancarlo politi: Come vi siete incontrati voi artisti della Transavanguardia?
Nicola De Maria: Paladino e io eravamo amici, e lui rimane sempre il mio artista del cuore.
GP: Quando hai conosciuto Paladino?
NDM: A Milano, una trentina di anni fa. Rimasi colpito dalla bellezza delle sue opere, e poi dalla sua limpidezza. Quando ci presentarono mi parve che ci conoscessimo da sempre, perché nel suo sorriso riconobbi qualcosa d’eterno. Aveva il sentimento dell’amicizia impresso sul volto. Poi, alcuni anni dopo, Marisa Merz mi presentò Sandro Chia.
GP: Non frequentavi Roma a quei tempi?
NDM: Tanti anni fa andavo talvolta a Roma e la mattina presto, in Via dell’Oca, incontravo Gino De Dominicis. Questo è il mio ricordo di Roma: aver salutato Mario Schifano e avervi incontrato persone e artisti eccezionali. Erano gli anni tra il 1979 e il 1980. C’era Luigi Ontani e altri artisti che mai ti avrebbero ferito, al contrario ti offrivano la loro amicizia. Questo è essere un grande artista nella città di Penna, Cardarelli, De Chirico, Parise, Festa, Germanà. Gli altri, quelli che vivono con il coltello puntato per colpire, non valgono niente.
GP: Purtroppo ormai la nuova etica del cinismo propone questi modelli.
NDM: A volte penso questo: ho sacrificato la giovinezza per aprire terreni minati dalle convenzioni a una vera libertà per tutti gli artisti, vecchi e nuovi. Poi un giorno mi sono chiesto: ma ho vissuto questa vita da pittore perché appendessero un asino morto al soffitto? Mi piacciono i cavalli vivi, l’opera originale, non il suo commento conservatore, perché l’arte partecipa alla creazione, è slancio vitale, libertà totale dell’espressione. La Transavanguardia è questo: aver voluto la libertà per tutti. La libertà di usare la fiamma ossidrica con la poesia, di osare adottando ogni mezzo, sempre al servizio di una nuova bellezza resistente alle crudeltà del mondo, sapendo che il miglior computer è dentro la testa e che la pittura non è un prodotto ma un’espressione della creazione.
GP: Anche il crollo delle due torri non è stata un’emozione…
NDM: Quella mattina ero a un chilometro di distanza. Ho avuto la sfortuna di vedere l’inferno. È stata veramente una lezione di crudeltà in un mattino di calma e serenità assolute. A un certo punto, mentre lavoro, sento qualche sirena, gli elicotteri mi fanno guardare il cielo e vedo il fumo. Penso che quell’edificio non ha nemmeno una balconata, è completamente sigillato, gli sventurati chiusi lì dentro, e in pochi minuti la tragedia ha superato anche la peggiore delle più nere previsioni.
GP: Qualche settimana fa Damien Hirst è stato costretto a presentarsi in televisione e a scusarsi per una dichiarazione che aveva rilasciato e che condivido: l’attentato alle due torri è stata una grande performance d’arte, come il Papa colpito da una meteorite.
NDM: Soffro vedendo il Santo Padre raffigurato nel momento in cui viene colpito da una pietra. Questa mi sembra una viltà politicamente corretta, il coronamento del perbenismo filisteo che terrorizza oggi il mondo. È proprio la dittatura dell’attuale moralismo conservatore fondato sulla bestemmia politicamente corretta. La Transavanguardia si era messa a lottare con mezzi artistici contro i potenti di allora. Oggi si fa la guerra ai deboli.
GP: Ritieni che dopo l’11 settembre il tuo lavoro abbia subito qualche lacerazione?
NDM: Ha assunto una più grande responsabilità. Un dipinto deve ancor di più diventare un oracolo che esprime salvezza, che lancia una parola di speranza e anche di più forte opposizione alla brutalità.
GP: Gli uomini sono induriti dalle circostanze della vita, la sensibilità viene sostituita dal cinismo. Come sperare che l’arte possa…
NDM: Ma io l’ho sempre sperato. Anche trent’anni fa quando ho cominciato era così, eppure li ho visti cadere tutti quelli armati di cinismo. Invece ho visto l’arte vera prevalere, tra percorsi sotterranei e centomila difficoltà.
GP: Ma esiste una verità?
NDM: Esistono molte verità, nella coesione di una legge morale che ci unisce.
GP: Il cavallo attaccato al soffitto della galleria o il Papa colpito da una meteorite non rientrano fra queste verità?
NDM: Mi sembrano più appartenere al mondo tecnologico delle televisioni. Io credo di fare un altro mestiere. Non sono per l’uniformità del linguaggio e per la sua accettazione incondizionata. Non sono per quello che oggi chiamano “globalizzazione”. No, devo rispondere al mio cuore quando vedo un’opera, e mi dice “questo è bene, questo è brutalità pura”. Ho sempre ascoltato questa voce, e se la tradissi non potrei più lavorare onestamente.
GP: Vivi una vita spiritualmente intensa ma anche in una sorta d’isolamento e solitudine.
NDM: Faccio uno sforzo immane per comunicare quello che sento e vedo. Essendo un pittore mi esprimo con i dipinti e certamente capisco qual è la mia colpa: il troppo tempo impiegato per dipingere un quadro. Questo implica un assorbimento quasi totale di tempo.
GP: Come vedi il recente sviluppo dell’arte giovane o dello star system?
NDM: Il mondo dell’arte mi sembra invaso dal perbenismo. Invece di essere libero è stato reso schiavo di regole fondate sulla falsità. L’arte, che è il trionfo di verità, bellezza e libertà, mi sembra soggiogata ai condizionamenti, addirittura dittatoriali, del politicamente corretto, del perbenismo e del moralismo conservatore. Non vado alle inaugurazioni per non assistere ai finti sorrisi, per non partecipare alla cerimonia del disgusto. Perché il mondo dell’arte deve essere migliore degli altri.
GP: Però prima mi parlavi di terrorismo culturale negli anni Settanta, in cui il condizionamento c’era.
NDM: Ho parlato di un dominio culturale, però ricordo anche che i vecchi artisti sostenevano il lavoro dei più giovani, vedendo in esso anche un rinnovamento capace di dare un accento nuovo al loro lavoro. Nutrirò sempre riconoscenza verso artisti che non ci hanno preso a calci ma accolto con vera amicizia. Fra questi, Mario e Marisa Merz.
GP: Ti è capitato di essere respinto da qualche pittura?
NDM: Sì, una volta ho intitolato un quadro Nicola, meglio morire se chiamano arte questa brutalità. Era l’epoca della pittura selvaggia “fatta con la pancia” che oggi è quasi completamente scomparsa, così come scomparirà un’arte fatta solo con la testa.
GP: Esiste un concetto di qualità? E su cosa si basa?
NDM: Si basa su elementi diversi. In un’opera d’arte che viene dalla Guinea, poniamo una canoa dipinta, risiedono le stesse leggi d’armonia intuitiva che abbiamo noi. Penso che nelle arti ci sia una verità basata su leggi a noi ignote ma che dentro di noi esistono.
GP: Col passare del tempo si consuma una specifica idea di bellezza. Come lo spieghi?
NDM: Lo si può spiegare con il peso della soggettività. L’arte è l’espressione stessa del libero arbitrio, ma l’arte in sé dimostra addirittura l’esistenza di Dio.
GP: Che da laico non condivido. Spiegami come lo scolabottiglie di Duchamp dimostra l’esistenza di Dio e non è invece una testimonianza dell’intelligenza, cioè di un’umanità che può decidere ciò che è arte.
NDM: Fra centinaia di esempi, mi offri proprio il meno adatto a dimostrare la mia tesi.
GP: Dopo Duchamp c’è anche il Papa colpito dalla meteorite.
NDM: Preferirei che tu mi parlassi del volto di Gesù dipinto da Georges Rouault, opera molto più importante di quella di Duchamp e di tutti quanti i suoi epigoni messi assieme dal 1915 al duemila e cento…
GP: Ma senza Duchamp non ci sarebbe stato Damien Hirst, Cattelan e probabilmente nemmeno Fontana. Perché è l’idea che ha permesso che tutto sia arte purché noi la consideriamo tale. O no?
NDM: Credo che la mia opera sia immune dal relativismo. Parto da un altro luogo per arrivare più lontano. Penso che un’opera comunichi al di là dei riconoscimenti, che possono essere erronei perché ha la virtù di trasmettere l’intensità della bellezza e della verità, altrimenti avresti ragione tu: l’opera non sarebbe più nulla.
GP: Sarebbe interessante vedere se le persone non coltivate e predisposte apprezzerebbero queste cose. Credi che il concetto di bellezza e di qualità sia un concetto immutabile?
NDM: Nella trasformazione degli individui c’è un’armonia che continua. Se vedo a Paestum la Tomba del tuffatore sono pieno di ammirazione verso quest’artista sublime, e se, accanto, vedo le opere degli artisti del tempo, emerge con evidenza la grandezza di uno e la limitatezza degli altri. Questo dipinto potrebbe non avere quasi tremila anni, potrebbe essere stato dipinto due anni fa.
GP: Non credi che la verità sia semplicemente la legge del vincitore?
NDM: Ma noi cosa abbiamo vinto? Il mondo è pieno di civiltà e di arte che vengono dal nostro paese. Perdonami Giancarlo, ma tutti hanno avuto una dose di felicità ascoltando o cantando delle bellissime canzoni. Gli echi che vengono dalla profondità di una cultura sono proprio questi e questi dicono la verità.