I
Dai primi mesi dell’anno in corso le tenebre accompagnano la pressoché totalità degli abitanti del pianeta. In questi tempi stiamo vivendo lo stesso incubo per la seconda volta. Scrivo dunque al presente, non posso farne a meno.
L’esperienza che stiamo vivendo è più forte di tutto: non ho la disposizione mentale per organizzare un discorso lineare. Non l’ho mai avuta ma nelle attuali circostanze mi è ancora più difficile. Il mio sentire cambia quando riesco a condividere con gli “altri” vicini e lontani, la paura, il senso di incertezza, una condizione che di fatto ci riguarda tutti.
Non posso ignorare queste condizioni, non riesco a pensare a niente con distacco. La dimensione dell’esperienza è il terreno che mi consente di continuare a riflettere, a stare in relazione a non farmi travolgere dalla paura. Non voglio parlare di me, ma attraverso di me.
Il titolo di questo testo, Notturno, è un omaggio al regista Francesco Rosi, autore di un documentario struggente girato nel corso di tre anni in territori colpiti dalle conseguenze delle guerre: Iran, Iraq, Siria, Kurdistan… prendendo il tempo di incontrare le persone, coinvolgerle.
L’ho visto due volte, in quel buio si è aperto un mondo.
Un altro buio emerso con la pandemia riguarda la condizione delle donne nel nostro Paese e non solo. In Italia la piena parità tra i generi è lontana. Nei mesi “notturni” in cui siamo nuovamente riprecipitati, ho letto cronache di violenza domestiche, la scomparsa dei lavori di cura (dei bambini, degli anziani, della casa).
È vero anche che nel buio in cui tutti/e siamo nuovamente immersi a tratti si percepisce un sentire comune e a questo proposito la chiusura decisa, nei giorni in cui scrivo questo testo, di cinema, mostre e teatri è un colpo al cuore che ritengo ingiustificabile.
L’ultima mostra che ho visto di Monica Bonvicini era alla Galleria Raffaella Cortese a Milano.
Un passaggio denso, le fotografie delle villette anonime, il quadro con il Marlboro Man circondato dalle ombre, la rabbia che cresce a fronte della catastrofe provocata da un uragano: Anger is one short of Danger… (2019), le tracce di pittura elegantemente disordinata rendono ulteriormente drammatica la situazione. Ho scelto di lasciare il più possibile la parola all’artista, rifacendomi a estratti da interviste, a testi dei curatori… Ho cercato di mettere insieme più voci, più punti di vista di chi ha visto le sue mostre più recenti. Il compito che mi sono data è stato l’unico possibile dato che non ho avuto – a causa del pericoloso ritorno della pandemia – la possibilità di viaggiare. È così che ho rinnovato a voce l’incontro con l’artista e con il suo lavoro, questa è una occasione importante per riprendere un dialogo e condividere con lei il suo “notturno”.
II
Il centro dello spazio espositivo, che viene quasi sempre percepito come un punto focale di una mostra d’arte, è ostruito dalla creazione di una fortezza cubica fatta di 112 fogli di oltre 300 metri quadrati di alluminio grezzo laminato: I Cannot Hide My Anger (2019).
Il semplice atto di sostituire la lettera ‘s’ con il segno del dollaro guida la narrazione verso il capitalismo che dilaga in ogni aspetto della società, compreso il mercato dell’arte.
Inoltre, l’installazione stessa limita lo spazio, ostacolando la percezione nel processo. La mostra “I cannot Hide My Anger” (2019) all’interno dei locali del Belvedere 21, progettato dall’architetto Karl Schwanzer – quest’ultimo spesso associato allo stile maschile dell’architettura del dopoguerra – è un contraccolpo contro le restrizioni imposte dalle antiquate percezioni sociali, in questo caso particolare le percezioni maschili che spesso si impongono alla società. In I Cannot Hide My Hanger (una citazione presa da Audre Lorde), quindi, Bonvicini si ribella allo sguardo maschile, mostrando il suo impatto claustrofobico sulla società.
Axel Köhne, il curatore della mostra nota come “con rabbia e umorismo secco, Bonvicini espone non solo le strutture di potere dominate dagli uomini, ma anche le conseguenze del nostro stile di vita capitalista, come la crisi climatica, le migrazioni e la violenza dei confini (nazionali). Le sue opere sono dirette, spietate, socialmente rilevanti e politicamente molto attuali”.
III
Ancora un riferimento alla mascolinità nella storia dell’arte era presente nella mostra “As Walls Keep Shifting” alle OGR – Officine Grandi Riparazioni a Torino (2020) anticipato in parte anche alla Galleria Raffaella Cortese con il titolo “Unrequited Love” (2019). Quest’ultima presentava lavori come Marlboro Man (2019) e Fleurs du Mal (pink) (2019) che come nota l’artista “circolano attorno a un’immagine della mascolinità nella storia dell’arte cosi come nella pubblicità”; sul lavoro Bent on Going (2019) e sulla serie di disegni in bianco e nero sulle catastrofi naturali sempre Bonvicini sottolinea quanto “l’aspetto dell’architettura, la sua rappresentazione, il legame che nasce dal vivere in un nucleo familiare, sia esso di tipo tradizionale o no, viene articolato nella mostra “As Walls Keep Shitifing” alle OGR. Entrambe le mostre hanno comunque un forte legame con il tema dell’identità, cosa sia e come essa venga costruita.
Chi vogliamo essere e come lo esprimiamo? […] L’identità è fortemente legata alla società in cui viviamo. Ecco perché mi occupo di immagini e di idee che esistono attorno a noi. Un esempio: come il modello abitativo abbia influenza sullo sviluppo di tipo sessuale, caratteriale, socio-politico nei diversi quartieri, in centro storico, in provincia, in campagna. È difficile avere coscienza del tipo di potere che ne è alle spalle. Solo riflettendo su di loro possiamo davvero capire cosa significa identità”1.
Sulla questione dell’identità soprattutto in relazione alla donna ritorna anche con la sua partecipazione all’attuale Quadriennale d’Arte 2020 di Roma “FUORI” con il video No Head Man (2009), e in particolare con l’installazione 3rd Act / Never Die for Love (2019), un progetto per la Turandot di Giacomo Puccini concepito per La Fenice di Venezia — mai realizzato. Nella sala a lei dedicata due sculture in acciaio dalle forme cilindriche illuminate internamente da led dotate di ruote sono di fatto spazi ambulanti, in cui si rinegozia l’autodeterminazione dell’identità femminile. Le sculture sono accompagnate da disegni From the Series Bind Me! Torture Me! (2019), una serie di spartiti dell’opera in cui l’artista è intervenuta con citazioni prese da letture femministe sull’opera Turandot come “she deserves her punishment because of her fatal desire for erotic love”, o “a description of a woman produced by a man” sono presentati a parete. Sono inviti a ritornare sulla questione identitaria e di genere — e sul ruolo ancora passivo che ricopre la donna nel modello patriarcale — sullo sfondo di un’opera incompiuta, come appunto la Turandot.
IV
Alla Kunsthalle di Bielefeld è in corso una personale dell’artista intitolata “LOVER’S MATERIAL”. La mostra comprende diversi nuovi lavori (tutti prodotti durante il lockdown marzo-aprile 2020) tra cui una scultura di orologi, che non lasciano pensare niente di buono rispetto al tempo, Time of My Life (2020), e nella sala centrale circa 70 mq di tappeti a terra: Breach of Decor (2020). Il titolo nasce da una frase di Andy Warhol che, in una visita a casa di Philip Johnson, vede delle mutande su una poltrona e rimane scioccato per questa caduta di stile. Bonvicini, a cui non manca l’ironia, ha ripreso questo episodio e per un anno e mezzo, ha documentato fotograficamente i suoi jeans a terra, nei diversi hotel e appartamenti dove si trovava. Il pubblico può camminare su questi tappeti dalle stampe naturalistiche, senza dimenticare che fino a non molto tempo fa, le donne non indossavano pantaloni. In questa mostra, così come nella mostra a Belvedere 21 è presente il Marlboro Man, una grande stampa che riprende la versione dell’artista Richard Prince, uno dei protagonisti della cosiddetta Picture Generation che tra il 1974 e il 1984 hanno preso le distanze dall’austerità dell’arte concettuale senza negarla ma restituendo centralità all’immagine.
Monica Bonvicini ha studiato a Cal Arts con chi aveva vissuto quell’esperienza, ma nella stessa università va ricordato che in precedenza le artiste Judith Chicago e Mirian Shapiro avevano dato vita all’esperienza di Women House coinvolgendo le studentesse.
Alla Kunsthalle di Bielefeld l’artista ha realizzato una grande parete dove su una composizione di disegni montati su alluminio, “Never Tire”, sono presenti citazioni – da Roland Barthes a Judith Butler, Natalie Diaz, Soraya Chemaly, Andrea Dworkin – molto asciutte rivolte alle donne. Tra una frase e l’altra e tra una immagine e l’altra si alternano catene dal forte carattere simbolico. Forse Monica lo chiamerebbe un muro, un muro che produce un effetto ipnotico poiché non si può vedere fuori (Hy$teria, 2019). Questo lavoro era stato realizzato nel 2019 a Belvedere 21 con un titolo eloquente: I Cannot Hide My Anger…
Infine una scultura di vetro intitolata Up in Arms (2019), ovvero la riproduzione delle braccia dell’artista in vetro rosa tagliato: tenerezza e tensione, nel titolo un appello alla resistenza e alla protesta.
Notturno, ancora… Una notte che finirà ma che adesso sembra non finire mai…