Creare delle fratture su una superficie per poi ricomporle affinché nulla sia percepibile. Un inutile dispendio di energia?
Forse no, se puntiamo l’attenzione sulla sfida che gli artisti hanno lanciato a loro stessi e alle competenze che hanno dovuto assimilare e mettere in atto.
Pensiero e azione, concetto e manualità; entrambi i livelli nella ricerca del duo Ornaghi&Prestinari si alimentano vicendevolmente incontrandosi sul terreno comune del dialogo e del confronto, aspetto imprescindibile e fondante del lavorare in coppia.
Il dispendio di energia in questione riguarda Girare la vena del legno, 2012, scultura dove gli artisti, partendo da un asse di noce, vi hanno eseguito un intarsio impiegando un legno dello stesso albero. L’obiettivo è apparentemente paradossale: mimetizzare l’intarsio con le venature originarie del legno. Mimesi come imitazione della natura, ma qui in un senso nuovo, per certi versi originario, di imitazione della crescita organica. La realizzazione di un’opera non può dunque prescindere dal “fare” — e come non pensare al significato originario di tecnica, dal greco téchne, quel “saper fare” che si può declinare tanto sul piano teorico che fattuale — e il “fare” per gli artisti significa per l’appunto confrontarsi in prima persona con materiali e tecniche, da quelle antiche e complesse come l’intarsio, fino alla sperimentazione di nuove strade laddove necessario per ottemperare a un obiettivo prefissato, come avviene nei calchi di luce di Opgrafie, 2012.
Interrogandosi sullo scarto esistente tra la complessità della percezione di un oggetto tridimensionale (scultura) e la sua riproposizione in un formato bidimensionale (fotografia), gli artisti sono andati alla ricerca di una tecnica in grado poter colmare questo divario. Il soggetto di indagine per queste sperimentazioni non a caso è la Pietà Rondanini, un’opera che vive intrinsecamente una dicotomia nella tensione tra finito e non finito. L’opgrafia è appunto una tecnica dove gli opposti trovano una sintesi in una sorta di “rimaterializzazione” dell’immagine: nella fase di sviluppo fotografico invece della carta gli artisti hanno utilizzato una resina trasparente fotosensibile in grado di solidificarsi per azione della luce attraverso il negativo. Nel passaggio dalla scultura alla fotografia si ottiene la restituzione di nuova forma di fisicità in cui i due linguaggi convivono trovando un punto di sintesi nella luce. Un’idea di ciclicità e trasformazione ritorna in altri lavori come in Brina, intervento realizzato a chiusura di una residenza alla Fondazione Spinola-Banna nel 2011 dove Ornaghi&Prestinari hanno disseminato delle sfere di ghiaccio nel paesaggio lasciandole assorbire e integrare nella terra, o nella piramide di cubetti di zucchero con puntale di marmo installata in un bosco (Supino, 2011), dove ancora una volta la materia si trasforma (lo zucchero si scioglie) trasformando di conseguenza la forma stessa dell’opera e facendo entrare in circolo con il mondo della natura.
La ciclicità può anche concretizzarsi nella creazione di sistemi autosufficenti: ne è un esempio Esperimento_1 (2010), quasi un divertissement concepito come una piccola sfida al quotidiano: il prototipo di una caffettiera dove il caffè rimane in costante ebollizione.
Dallo studio all’esperienza, dalla creazione alla trasformazione, ma anche dalla realtà alla finzione e viceversa. Il museo immaginario BCC2212 è un progetto articolato che nasce e ruota intorno a un fittizio frammento di roccia lunare. Da questo progetto, non ancora compiutamente realizzato, deriva l’installazione Cielo di pietra, 2010-2012: delle formelle disposte a pavimento hanno l’ambizione di ricostruire sulla terra il suolo lunare. A vedere questi moduli di basalto (il materiale più simile alla roccia lunare) allestiti nello spazio bianco di una galleria il pensiero può andare al Minimalismo, ma ci rendiamo subito conto di uno scarto. Questi moduli ci congiungono direttamente a un sogno