Il tempo è un bene prezioso… concedetevi almeno un paio d’ore per visitare la mostra “Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della maniera” a Palazzo Strozzi e, a mio avviso, questo tempo sarà ben speso. Firenze celebra i suoi due “figli” più spregiudicati e anticonformisti della prima metà del Cinquecento, protagonisti della “maniera moderna”, come fu definita da Vasari, con una mostra che, grazie a interessanti confronti, vuole metterne in luce soprattutto le divergenze, oltrepassando i limiti della troppo stretta e posteriore definizione di “manierismo”. Coetanei, nati a pochi chilometri di distanza, formatisi nella medesima bottega capeggiata da Andrea del Sarto, i due, fin dal principio della loro carriera artistica, scelgono strade diverse, sia dal punto di vista delle committenze sia del linguaggio pittorico.
Il Pontormo, pittore preferito dai Medici, ricerca soluzioni innovative rispetto alla tradizione fiorentina, ispirandosi al naturalismo di Leonardo prima, e ai pittori d’Oltralpe poi, non si sposta mai da Firenze se non, probabilmente, per andare a Roma con Andrea del Sarto e il Rosso; il Rosso Fiorentino lavora per committenze aristocratiche repubblicane e quindi antimedicee, rimane sempre legato alla tradizione del suo territorio seppur utilizzando un linguaggio spregiudicato e originale, influenzato da soluzioni michelangiolesche, dalle sculture di Donatello ma anche dall’Antico, e dopo Firenze peregrina tra Piombino, Napoli, Volterra, di nuovo Firenze e poi Roma, Borgo San Sepolcro, Arezzo, Pesaro, Venezia fino a fermarsi in Francia alla corte di Francesco I a Fontainebleau. La mostra, aperta fino al 20 luglio, è curata da Antonio Natali, direttore della Galleria degli Uffizi, e da Carlo Falciani, docente di Storia dell’Arte. Una mostra irripetibile, come sottolineano i curatori: difficile infatti riunire nuovamente un così grande numero di opere dei due in un unico luogo: si parla, infatti, del 70% della loro produzione.
Il percorso dell’esposizione è cronologico e tematico, in un continuo parallelo e confronto tra i due pittori, con un filo conduttore ispirato dalla critica d’arte loro contemporanea, ovvero dal Vasari e dalle sue Vite, presente in tutto il percorso con citazioni davvero esemplificative e che concludono la mostra a decretare “vincitori e vinti”. Le prime sale sono dedicate agli anni giovanili dei due in dialogo con i loro maestri, opere ancor più affascinanti se si pensa che le realizzarono poco più che adolescenti e dove si individuano già segnali di innovazione: originalità nella composizione per il Pontormo; visi spigolosi, pittura irregolare e scabra per il Rosso. Nella terza sala in una grande parete, un confronto che vale la mostra ed esempio decisivo delle strade intraprese dai due dal 1517: al centro la Madonna delle arpie di Andrea del Sarto, a sinistra la Pala Pucci del Pontormo, a destra la Pala dello Spedalingo del Rosso. Difficile non rimanere incantati a osservare le tre tavole a lungo, e non sentirsi chiamati a scoprire i punti di somiglianza e di distacco tra i due, ormai evidenti sia dal punto di vista della composizione, che delle soluzioni pittoriche. La tavolozza degli incredibili colori pontormeschi è già delineata insieme ai suoi panneggi “metallici” e alle sue scelte compositive variate e originali, con l’espressione del volto della Vergine, è decisamente misteriosa. Lo stile pittorico del Rosso così rapido e poco definito, è “graffiante”, così come lo sono i volti e i corpi lividi, la sua arcaicità ci sorprende per modernità. Il tempo di riprendere fiato ed eccoci immersi in un’emozionante galleria di ritratti: “vivi e naturali” quelli del Pontormo, “cere bizzarre” quelli del Rosso. Appaiono davvero così reali ai nostri occhi che siamo noi a sentirci osservati e non il contrario. E dopo i ritratti, a meravigliarci sono i disegni: “vivacità e prontezza” in quelli del Pontormo, “fiero e fondato” il Rosso. Il primo, uno dei massimi disegnatori del Cinquecento, raggiunge vette di modernità altissime nei fogli esposti, in particolare negli studi di nudo e in un suo probabile autoritratto. Il Rosso non disegna dal vero, crea soluzioni originali con un linguaggio che richiama Michelangelo; oltre ai disegni sono esposte una serie di sue incisioni a soggetto mitologico davvero interessanti per spregiudicatezza. Testimonianza dell’avvicinamento del Pontormo al linguaggio pittorico d’oltralpe è la Cena di Emmaus ispirata da un’incisione di Dürer: bellissima la posa del giovane uomo dai capelli rossi che ci porge in primo piano il suo collo sinuoso, curiosa la presenza di cani e gatti, e un piede di Cristo che spunta da sotto la tovaglia, di forte naturalismo i ritratti dei monaci. Esempio del legame alla tradizione fiorentina con invenzioni però sorprendenti lo Sposalizio della Vergine del Rosso, tavola restaurata per la mostra: il san Giuseppe è dipinto giovane con indosso degli splendidi calzari, la ricchezza di personaggi e di scene che sono veri e propri quadri nel quadro, i giochi di luce e ombre, l’originalità nella scelta dei colori, i riccioli d’oro che paiono disegnati con la luce. Il Pontormo e il Rosso furono giovani artisti in tempo di crisi, anni di guerre e rivolgimenti, e questo si rifletté nella loro arte ma ancora una volta in maniera divergente: un altro eccezionale confronto è quello tra la Deposizione del Rosso per la Chiesa di San Lorenzo a Sansepolcro del 1527-1528 e la Visitazione di Carmignano del Pontormo 1528-1529.
Atmosfera cupa, corpi lividi del color della pietra, visi scolpiti nel legno, gesti drammatici, caratterizzano l’affollata composizione del Rosso. I tre personaggi che reggono il Cristo, come a impedirgli di toccare terra, sono giovani e belli, hanno vesti eleganti e riccamente decorate, ma man mano che si passa nelle retrovie tutto diviene più tenebroso e gli uomini assumono sembianze di bestie.
Negli stessi anni il Pontormo dipinge una delle più misteriose e affascinanti opere della storia dell’arte. Quattro figure femminili monumentali, che corrispondono a tre personaggi in quanto Elisabetta viene rappresentata due volte, due rivolte verso lo spettatore due di profilo, giochi di sguardi e di abbracci, abiti dai colori sgargianti. Alle spalle una scenografia teatrale con quinte di edifici grigi che si stagliano su un cielo di un azzurro vivido. Il restauro realizzato per la mostra ha portato alla luce dettagli prima sconosciuti, un profilo di un asino, una donna alla finestra, i reggistendardo, un panno appeso. Un’atmosfera surreale ed eterea che lascia incantati. La mostra termina con altri efficaci confronti, dalle opere del Rosso eseguite per la corte di Fontainebleau e del Pontormo per i Medici, tra cui splendidi arazzi, alla Pietà del Rosso prestata dal Louvre, di un’incredibile modernità per le scelte cromatiche e compositive. A dimostrare la fortuna dei due nel corso dei secoli e nell’età a noi contemporanea, in esposizione a Palazzo Strozzi l’opera video di Bill Viola The greeting, presentato per la prima volta alla Biennale di Venezia del 1995, e ispirato alla Visitazione del Pontormo, qui per la prima volta esposti insieme. Nel catalogo della mostra si citano invece i due tableaux vivants dal film La ricotta di Pier Paolo Pasolini, 1963, ispirati dalla Deposizione del Pontormo e dalla Deposizione del Rosso Fiorentino, e come disse il poeta “Colori? Chiamali colori…”.