Gabriele Francesco Sassone: Direi che la prima cosa da cui partire sia la tua educazione: sei italo-argentino, ma hai vissuto molti anni a New York. Questo ti ha aperto la mente oppure è stato difficile da gestire?
Sebastiano Mauri: Entrambi direi. Essere in contatto con luoghi e culture così diversi tra loro consente di mettere in prospettiva la propria vita, le proprie scelte. Ci si confronta costantemente con larbitrarietà della cultura, delle abitudini, dei credo, e immagino sia più facile approdare a una visione più critica, meno dogmatica delle cose. D’altro canto si rischia di perdersi più facilmente. Ogni viaggio è un nuovo piccolo inizio, ed essere presenti in più luoghi vuole anche dire essere costantemente assenti. Per molti anni ho vissuto tra Milano, New York e Buenos Aires, il che ha significato che in tutte e tre le città era più il tempo in cui mancavo di quello in cui ero presente. Si rischia di essere cronicamente di passaggio, di non fare mai davvero parte di nessun luogo.
GFS: Infatti è proprio questa mobilità di pensiero che mi interessa approfondire: vorrei che mi parlassi della tua spiritualità e di come questa entra nel tuo lavoro.
SM: Fin da piccolo mi sono fatto molte domande su Dio, la sua natura, la sua credibilità. Allora ero molto più scettico di adesso, ma avevo un obiettivo specifico: superare la paura della morte. Avevo un sincero bisogno di credere in qualcosa, ma non sapevo in cosa. Non mi hanno mai convinto le risposte assolutistiche, mentre mi ha sempre affascinato cercare il filo rosso che accomuna i diversi racconti sacri. È a quel che filo che mi sono aggrappato per non affogare. Nel mio lavoro cerco di sgarbugliarlo per poi tesserlo in nuove trame. Che si tratti di un video sulle religioni, sullo status sociale o sull’amore, provo a liberare lo sguardo, anche se per un solo attimo, dai pregiudizi che lo accompagnano, per poter vedere l’altro in modo inaspettato.
GFS: Tra le altre cose, stai per pubblicare il tuo primo romanzo. Eppure la narrazione non è fra gli elementi principali delle tue opere. Spesso pesano di più gli sguardi e i silenzi dei personaggi, come se tu lavorassi in controparte.
SM: Diciamo che avevo sentito il bisogno di una nuova sfida. Ripetere all’infinito variazioni di lavori già fatti non fa per me: mi piacerebbe, in un certo senso, sarebbe un percorso meno nevrotico, più agevole. Quando inizio ad annoiarmi, mi pongo una nuova domanda e cerco il mezzo migliore per dare qualche risposta. Così negli anni ho dipinto, fotografato, fatto sculture, installazioni e video. Questa volta è venuto fuori un romanzo. Da tempo avevo voglia di scrivere, e ho semplicemente iniziato a farlo. Ormai è un progetto che mi accompagna da qualche anno, le sue storie si confondevano con le mie, è stato un processo molto personale, una forma di terapia. Ora non vedo l’ora che diventi una realtà anche fisica, di guardarlo in faccia, uomo fatto, indipendente, tascabile.
GFS: Al contrario, la musica mi sembra una parte attiva nel tuo lavoro. Penso a I believe in God dove musiche sacre di diverse religioni si fondono, oppure a The Song I Love to nel quale le canzoni identificano le persone.
SM: All’università ho studiato cinema, forse la più poliedrica delle arti. Credo che abbia influenzato molto il mio lavoro. Immagini, ma anche narrazione, poesia, ritmo e musica: il cinema include tutto, o quasi. La musica è una forma di comunicazione viscerale, ti colpisce dritto allo stomaco, riesce a smuovere parti di noi che sono difficilmente accessibili attraverso immagini statiche e mute. Così spesso ne faccio uso, e credo sia proprio grazie alla musica che ho prodotto i miei lavori più emozionanti. Nel video The song I Love to, in cui mostro una lunga serie di video-ritratti accompagnati dalla canzone d’amore preferita dalla persona ritratta, la musica è l’elemento chiave del lavoro. Ogni canzone ci trascina all’istante in un universo sentimentale diverso, a volte accompagnando in modo armonico, quasi organico, il personaggio che l’ha scelta, a volte invece scardinando gli stereotipi, dando vita a una lettura emotiva del soggetto che ci sorprende.