Flash Art Italia presenta:
VADO A VIVERE IN ITALIA
Una rubrica di interviste e recensioni sugli artisti stranieri che hanno scelto l’Italia per la loro carriera.
Si parla spesso degli artisti che lasciano l’Italia per “far fortuna” all’estero, ma esiste un nutrito gruppo di artisti che da ogni parte del mondo hanno scelto proprio l’Italia come base culturale e professionale per la loro carriera artistica. La rubrica di Alessandra Galletta racconta le motivazioni profonde di questa scelta, e indaga sulle influenze del paese d’origine nella loro opera.
Alessandra Galletta: Semplicemente sfogliando un tuo catalogo, viene voglia di appellarsi alla carta dei diritti umani: lapidazioni, aborti, prostituzione, fucili puntati, spose bambine, divise militari, manicomi, cadaveri coperti da un lenzuolo, crocifissioni e tanto sangue.
Sükran Moral: C’è sempre stata violenza nella mia vita, e mi sono sempre sentita “espulsa”, anche in famiglia. Volevo studiare, ma non era previsto che una ragazza turca desiderasse un’istruzione. Evidentemente sono nata diversa, più pronta alla lapidazione che al matrimonio…
AG: Comunque alla fine ne hai trovati tre di mariti!
SM: Matrimonio con tre è un’opera che ho realizzato la prima volta nel 1994 a Roma, nel mio studio; di recente invece l’ho rappresentata a cielo aperto, in un villaggio curdo. Ho fatto quello che molti uomini fanno normalmente: prendono più di una moglie, se possono permettersela. Io ho potuto permettermi di realizzare lo stesso rituale e mettere in evidenza l’umiliazione di comprare qualcuno: vado a prendere i miei tre mariti ciascuno nella sua casa, metto loro la cintura di raso, simbolo di verginità, e attacco al loro abito soldi e oro. Balliamo, festeggiamo con i parenti, e poi tutto il villaggio ci accompagna nell’alcova. Ma non credo che ci saranno tre lenzuola rosse stese l’indomani…
AG: Sei sempre al centro del tuo lavoro, mi sembra che più che interpretare le performance tu le viva.
SM: Già a tredici anni, per poter stare in giro dopo il tramonto senza rischi, indossavo gli abiti dei miei fratelli, così da lontano sembravo un maschio anch’io, quindi ero intoccabile. Per la prima volta il travestimento mi dava la libertà; è stata una lezione che non ho mai dimenticato.
AG: Ora vivi tra Istanbul e Roma. Quanto di questi due paesi c’è nel tuo stile?
SM: All’inizio mi sentivo fragile per il mio carattere malinconico, per l’essere in un paese arretrato, per essere donna, per avere ambizioni che nemmeno io capivo. Ma la fragilità poteva trasformarsi da rischio in dono. Bastava forse aggiungere un po’ di ironia, e in questo l’Italia è davvero molto sofisticata. La mia parte italiana è anche nella cura nel realizzare esteticamente le mie idee, e persino nella capacità di disegnare i miei abiti per le performance. Quando faccio una foto, un video, un allestimento penso a Rossellini, Caravaggio, a Pasolini…
AG: E la tua anima turca?
SM: Nei primi anni Ottanta, durante il colpo di stato in Turchia del 1984 ho sviluppato una sorta di estetica della disperazione. Quella che ti fa sopravvivere è solo la cultura, l’unica per la quale sei pronto a morire. Ovvio che la mia sia un’arte autobiografica; ho perso tanti amici ma la loro morte mi ha insegnato che non si può essere indifferenti, non si può vivere senza dolore. Il dolore è magico, è necessario. Il dolore è il succo della mia allegria. Non si può aver paura del dolore come voi occidentali, noi ci battiamo per vocazione, e il mio dolore brilla. Il mio dolore è sensuale, e la sensualità è sempre presente nel mio lavoro, come un sottofondo di disperata felicità.
AG: Eppure dopo tanti anni le tue performance ancora scandalizzano il tuo paese, come in Amemus, per la quale sei stata prima censurata e poi addirittura minacciata di morte.
SM: Nel dicembre 2010 è stata concepita Amemus, una dolcissima performance dove mettevo in atto un amore lesbo con un’amica in pubblico, ed è successo di tutto. Ti dico solo che era il momento dello scandalo Assange e Wikileaks, e i giornali qui parlavano di me!
AG: Di cosa ti sorprendi?
SM: Che le conferme siano arrivate così presto. Lo scandalo, le minacce di morte, l’essere ancora una volta marchiata come infedele, espulsa dalla famiglia, dall’opinione pubblica, dalla mia stessa arte, mi ha solo dimostrato che avevo ragione io. La sessualità è ancora considerata sporca e la misoginia è ancora qualcosa da combattere. Gridano allo scandalo e poi, dati alla mano, i siti porno più frequentati in assoluto sono in Turchia. La mia arte è una forma di resistenza, Resistenza politica, sociale, un’attitudine che perseguo dentro e fuori dall’arte, con e senza pubblico, nella mia vita.
AG: Eppure dopo la vicenda della performance lesbica hai avuto l’appoggio di molti giornali e nella rete.
SM: Sì, mi difendono e sostengono da tutto il mondo, ma so di non poter contare su un appoggio totale. Mi accusano di essere “troppo” trasgressiva e quel troppo mi dà veramente fastidio. Come dire “fai bene ad andare oltre, ma attenta a non andare troppo oltre”. Ma che vuol dire?
AG: Il tuo lavoro trova un riscontro crescente anche nel mercato dell’arte, e sei richiesta da musei e collezioni internazionali.
SM: Non è dalle interviste, dai cataloghi, dagli inviti nei musei, dalle tue quotazioni d’asta che capisci che hai vinto. Lo capisci dal fatto che gli studenti di arte ti cercano per conoscerti, per sapere la tua storia, la genesi di ogni lavoro. L’apprezzamento delle nuove generazioni è quello che mi stupisce e mi ricompensa.
AG: Difficile rilanciare con opere sempre così provocatorie: a un certo punto si esauriscono anche i tabù contro i quali combattere.
SM: È l’umiltà che mi porta a realizzare i lavori migliori, e a sentirmi al servizio di cause più grandi. Non solo la minoranza femminile ma tutte le minoranze, gli immigrati, gli ignoranti, i disoccupati, i diversi, i pazzi, gli imperfetti che con le loro imperfezioni sporcano il paesaggio. È l’Amore.
AG: Come avviene nel tuo ultimo lavoro, Despair.
SM: In Despair volevo raccontare lo spostamento di grandi minoranze, il fatto che, già prima del termine del viaggio, sai che ti accoglieranno come un disturbo, come un problema, come una malattia. Ma nessuno lascerebbe il proprio paese se non fosse costretto a farlo. L’emigrazione è una forzatura, è contro natura soprattutto per chi si muove, ma anche per chi la subisce. Per questo volevo raccontare questi volti, questo viaggio sempre in attesa, senza speranza. Emigranti fregati dalla vita, dalla politica dall’economia, dallo Stato, dalla Storia. Eppure eccoli lì, ci sono. Volevo far loro un ritratto perché quando li vedi nei telegiornali non li vedi mai in volto, sono sempre una massa di stracci senza sguardo; invece sono persone, ciascuna con un nome, una biografia, una lingua, una canzone.
AG: Il prossimo lavoro?
SM: Il mio ruolo come persona, e come artista, è prendere parte al cambiamento con dolcezza, ma anche con cattiveria, con risultati spesso inaspettati. Del resto, me ne sono andata per questo. Il prossimo lavoro magari sarà un lavoro che rinuncerò a esporre: per ora, so solo che dovrà piacere a me.