Ludovico Pratesi: Cominciamo dall’inizio. Com’è nato il progetto “Three Amigos”?
Dan Colen: Tutto è iniziato lo scorso ottobre, quando sono venuto a Roma per vedere lo spazio di Gagosian, che mi aveva molto colpito. Quando decisi di fare una mostra da Gagosian, Massimo De Carlo mi chiese di immaginare qualcosa di diverso nella stessa città, e abbiamo cominciato a rifletterci insieme.
LP: E avete pensato di coinvolgere Nate?
DC: Esatto. Volevamo qualcosa di speciale, di diverso , che raccontasse anche qualcosa dell’amicizia tra di noi. Non sapevamo esattamente né cosa né come, e mentre ne stavamo parlando Massimo ha suggerito di inserire anche Dash Snow. Io e Nate abbiamo già fatto molte mostre insieme, ma volevamo creare un momento più intimo, legato alla memoria del nostro vissuto. E così abbiamo accettato la sua proposta.
LP: Avete pensato subito a questo titolo, che suggerisce in maniera goliardica e ironica l’amicizia?
Nate Lowman: In realtà il titolo è nato da un suggerimento di Blair Taylor, la persona che si è occupata della mostra di Snow. Abbiamo avuto molte conversazioni scherzose via mail insieme, su questo progetto e sulla sua definizione. Eravamo indecisi sull’opportunità di fare un’unica mostra collettiva in tre posti diversi o tre personali, e all’inizio l’unico che aveva visto gli spazi del Palazzo Rospigliosi e dell’Accademia Americana era Dan.
DC: Stavamo riflettendo insieme sul numero tre e i suoi significati in diversi contesti: la trinità nella religione, i tre topolini ciechi nelle favole, la tripla penetrazione nel porno… Siamo arrivati a “Three Amigos” e ci è sembrato il titolo giusto: viene da un film comico piuttosto ridicolo, una parodia eccessiva di un road movie .
NL: Durante la conversazione via mail qualcuno ha fatto saltare fuori l’immagine del film e ci è sembrato ovvio che era quello che cercavamo per il progetto a Roma.
DC: L’idea dell’amicizia intesa come momento di condivisione ci piaceva molto, anche perché due giorni prima di venire a Roma avevo appena installato un’opera realizzata a quattro mani con Nate, e negli stessi giorni stavamo lavorando a un libro su Dash.
LP: Vuoi dire che l’idea era già nell’aria?
DC: Esatto. Nell’evoluzione del progetto abbiamo capito che il modo migliore per presentare il lavoro di ognuno di noi era quello di separare le personalità, e legarle ognuna a un luogo diverso: io a Palazzo Rospigliosi, Nate all’Accademia Americana e Dash al Macro.
LP: Come vi siete relazionati con gli spazi?
DC: Per quanto mi riguarda, la mia mostra è stata concepita per Palazzo Rospigliosi, ma sulla base di un’idea che avevo da tempo. Volevo fare dipinti in bianco e nero, con parole scritte in grande, che esprimessero l’idea di un climax, del momento culminante di qualcosa: un’ispirazione positiva, ma anche un momento negativo. Quando poi ho visto gli affreschi del palazzo, che rappresentavano i ratti di dee e ninfe come Europa o Proserpina, ho pensato al culmine di un atto sessuale. Del resto, sono ambienti talmente carichi che è difficile aggiungerci qualcosa. Così ho pensato alle esclamazioni nei dipinti, come una sorta di risposta scritta alle immagini, una reazione forte a un luogo carico di storia.
NL: Questa primavera ho fatto una grande mostra in due gallerie di New York, Maccarone e Gavin Brown, e quindi prima dell’estate avevo consumato le mie energie. Non sapevo bene cosa fare prima del sopralluogo con Dan all’Accademia Americana in maggio, ma poi ho pensato di non relazionarmi con la storia dell’istituzione, molto diversa da quella di Palazzo Rospigliosi.
LP: Cosa ti ha ispirato?
NL: Sono partito dalla conversazione sul titolo, e ho iniziato a realizzare nuove versioni di opere che avevo già fatto, come la serie di dipinti ispirati a fotocopie di immagini di persone che attraversano il confine tra due stati. Ho riflettuto sulla natura di queste opere, che sembrano ispirate da figure di fantasmi, basate sull’assenza e sulla scomparsa dell’essere umano. Non legate direttamente a Dash, ma ispirate alla sua perdita.
LP: La ricostruzione per frammenti di una memoria personale?
NL: Sì. Memoria e amnesia. La memoria è un flusso che va e viene, che non è permanente. Sono opere legate alle mie esperienze personali, come la visita a una mostra di Goya, una pizza, l’opera di un altro artista, rivissute attraverso la pittura che le trasforma in qualcosa d’altro.
LP: Torniamo alla vostra relazione con Dash Snow. Come avete vissuto la sua scomparsa?
NL: Non ho l’abitudine di parlare dei miei amici scomparsi. Non che non sappia farlo, ma non riesco. L’ho fatto con la mia mostra, dove ogni opera non è un souvenir, ma una creazione.
DC: Non ci sono riferimenti espliciti alla memoria di Dash nei miei quadri, che parlano dell’ambiguità di un momento importante, che può essere positivo o negativo. Nonostante sia scomparso, credo che Dash sia presente nella mia vita, come Nate. Siamo noi i “three amigos”!