“Dove brulica l’altrove” è la prima mostra personale di Veronica Bisesti e segna l’inizio della collaborazione dell’artista con la Galleria Alfonso Artiaco. Il progetto espositivo è ispirato al testo quattrocentesco della scrittrice italo-francese Christine de Pizan, La città delle dame. La mostra si articola in un percorso di sculture, disegni e dipinti attraverso le sontuose sale della galleria napoletana per tracciare i contorni di un ideale ecosistema socioculturale ispirato ai fondamenti del pensiero ecofemminista.
L’esposizione si apre con Conversazione cosmica, una stampa in miniatura della scrittrice immersa nei suoi studi al centro di un wall-drawing in pigmento blu. Il ritratto è posto in dialogo immediato con Altrove, un corallo-cannocchiale in ottone e ferro su treppiedi in cui lo spettatore, dando le spalle alla miniatura e alla nebulosa di colore che la circonda, è invitato a guardare per scoprire una molteplicità di prospettive aprirsi all’esterno, tante quanti sono i tentacoli che si snodano dal corpo di questo multiforme corallo.
Entrambe prodotte nel 2023, le opere in questa sala funzionano come una sorta di manifesto anti-programmatico che pone le premesse per comprendere il filo che le unisce agli altri lavori in mostra. Un percorso giocato su una tensione tra oggetti della cultura materiale, natura, e tecnologia, e su una riflessione iconografica attorno a simboli come il cannocchiale, il faro, il metro o la pietra, posti al limitare tra queste sfere e la misura o il posizionamento umano tra natura e mondo.
Nella sala seguente, Pioggia primordiale (2023), un acquarello di grandi dimensioni stagliato in solitaria sulla parete centrale, rappresenta una pioggia di stelle che sembra perpetuare un racconto visivo per fasi vitali di una stella iniziato nella sala precedente. L’idea del corpo celeste come luce, ma anche come buio o profondità, è resa esplicita dal successivo acquarello di un grande faro illuminato, Bagno di luce (2023), e dal suo contraltare di oscurità posizionato sulla parete al lato opposto della galleria, Specchio (2023) la scultura di un frammento di ossidiana esposta su una mensola a chiusura della mostra, subito visibile a colpo d’occhio una volta entrati nei vani centrali della galleria. Nel mezzo, tra il faro di luce e la scultura in ossidiana, nove pietre disposte sul pavimento portano il nome di altrettante donne della tradizione religiosa e della mitologia occidentale ed egizia: da Caterina a Semiramide, da Pentesilea a Camilla. Poste a fondamento simbolico e fisico dell’impalcatura teorica della città di de Pizan, sono forse la traccia di un’odierna costruzione culturale da cui ripartire per realizzare una nuova dimensione ideale. Alle pareti, invece, dei disegni a carboncino di piccole dimensioni si soffermano sul tema della procreazione mentre è accennata l’iconografia della radice come proliferazione del molteplice in Fuoco centrale (2023).
Affiancandosi al corallo, questa immagine riprende il celebre modello epistemico e metaforico dell’albero della vita utilizzato nella scienza. Un modello, quello arboreo, per un momento soppiantato da quello del “corallo della vita”, ritenuto più efficace nella resa dell’aspetto rizomatico e complesso dell’esistenza terreste: con la libertà delle proprie fughe in avanti, l’improvviso arresto di alcune estensioni, la contrazione ed espansione dei suoi polipi, il corallo marino identifica e sintetizza il processo di genesi, sopravvivenza, estinzione e coesistenza della diversità biologica della vita, nel mare come sulla terra.
Richiamando il corallo iniziale, il ragionamento continua posandosi sull’installazione scultorea nella sala successiva, Strumento di misurazione (2022). Si tratta di un calco in ottone di una foglia di aloe vera segnata in superficie, in corrispondenza delle sue spine, dalle tacche di misurazione di un sistema metrico non più decimale ma naturale. Posta dirimpetto ad altri disegni di piccolo formato in carboncino dalla serie “Siamo il passato oscuro del mondo” (2023), anche in questo caso la scultura richiama, quasi per metonimia, un universo di significati e un contesto teorico che dai primordi del mondo spazia fino alla temperie barocca, dal riferimento cristiano (la “prima pietra” come fondamento teologico) a quello antico (la baccante Agave che sbrana il figlio Penteo).
In un corpo a corpo con la letteratura, in “Dove brulica l’altrove” Veronica Bisesti costruisce un edificio teorico che accompagna lo spettatore nella fruizione della mostra facendo eco al suo modello di partenza e aggiornandone le premesse sulla base di una lettura nel presente.