
Vi sono regioni oscure che ci attraggono, in cui però ci si guarda bene dall’addentrarsi, perché non se ne conosce la profondità e le logiche che le governano e ci si può fatalmente perdere: queste regioni sono dentro di noi. Il sogno apre un varco su questa realtà, sullo straordinario quanto incontrollabile potere di rappresentazione della mente e sui turbamenti che possono derivarne. In questi territori si muove Victor Man, artista consapevole del fatto che solo abbandonando le rassicuranti coordinate del pensiero logico-razionale si può accedere a uno stato di coscienza inesplorato, ben più ampio e multiforme. Uno stato in cui miti, memorie, fantasie e paure, se richiamati si manifestano prendendo corpo; e se riproposti, secondo alcuni dei molteplici punti di vista possibili, mutano apparenze e significati, eludendo interpretazioni e gabbie narrative, alimentando così ulteriormente il mistero. Con queste dinamiche gioca Man affinché l’osservatore si ritrovi avvinto dall’enigma che gli si scopre allo sguardo. Nella mostra “The Dust of Others” i lavori si richiamano ruotando intorno a elementi cardine. Un oggetto trovato, una piccola statua nera che in virtù di un sogno riveste un significato speciale, è l’idolo di Composition with a Pagan Statue, un assemblage che ricorda una sorta di altare. Il piedistallo, una lattina vuota di cibo per gatti, rimanda al dipinto che sta alle spalle da cui emergono inquietanti sagome feline. Lo stesso idolo riappare in “Pagan Space”, una serie di tre dipinti le cui componenti spaziali e compositive contribuiscono allo straniamento già in atto nel contrasto tra la cupa figura e alcune stelle vitree. La serie “Four Spell Paintings” — quattro dipinti monocromi in cui elementi geometrici si combinano con carte da gioco — si affianca a una raccolta di inserzioni di cartomanti di un giornale romeno che acquistano peso visivo nell’essere censurate dall’inchiostro nero.