
Ricreare una mostra iconica come “When Attitudes Become Form” di Harald Szeemann è un progetto abbastanza ambizioso. Eppure Germano Celant è andato oltre, non solo perché ha radunato il 90% dei lavori che erano presenti nel 1969 alla Kunsthalle di Berna: con l’aiuto di Rem Koolhaas e Thomas Demand, ha ricreato i volumi esatti delle stanze della mostra originale all’interno di Ca’ Corner della Regina, il Palazzo del XVIII secolo che ospita la Fondazione Prada a Venezia. L’intento non era quello di trovare un white cube per ricostruire la mostra, come spiega Celant a Erik Verhagen: “(…) ricostruire sarebbe stata un’illusione, perché non puoi ritornare indietro nel tempo, oppure trasformare la mostra — e così tradirla — secondo un adattamento che non è lo stesso. Questo potrebbe apparire inconciliabile con il vero scopo del progetto, che è di “mostrare una mostra, come quella curata da Szeemann”. Il risultato, assai intrigante, va al di là della semplice ricostruzione della mostra. La trasposizione della Kunsthalle all’interno del palazzo veneziano, dà vita allo spazio espositivo più strano che si possa immaginare, legato da assi di legno bianco e attraversato da elementi architettonici — le pareti e le colonne del palazzo — come elementi parassitari. Questo ha delle conseguenze drammatiche sulle opere, come per esempio Screen Piece and Pipe Piece di Bill Bollinger, che si ritrova compresso contro i pilastri, 36 Copper Square di Carl Andre posto tra le due porte d’ingresso, oppure Two Space Rope Sculpture di Barry Flanagan trasformato in uno spazio triplo. Ma colpisce anche il modo in cui i (molti) visitatori guardano la mostra, come se non ci fossero modi semplici per entrarvi: essere una guardia alla Fondazione Prada sarà un lavoro molto duro quest’estate. L’unica soluzione per prevenire incidenti con Props di Richard Serra è collocare una spessa corda intorno a essa, qualcosa che a prima vista appaia inconcepibile. Celant ci spinge a cercare il significato del mostrare dei lavori storici in questo modo, puntando l’attenzione sulla libertà del curatore. Il suo gesto sembra di primo acchito iconoclasta, ma produce esattamente l’effetto contrario, e bisogna ammettere che, anche in queste condizioni, le opere mantengono la loro integrità. Lo scorso anno, Jens Hoffmann (suo uno dei testi in catalogo) ha curato al MOCAD una mostra “When Attitudes Became Form Become Attitudes”, presentata come un “sequel, e una rivalutazione” della mostra di Szeemann. Piantine, immagini e un modello della Kunsthalle di Berna, furono presentati insieme a lavori di “artisti che lavorano in connessione con la storia dell’arte concettuale”, o in risposta all’evento del 1969. Se Hoffmann e Celant condividono un interesse simile nei confronti di “When Attitudes Become Form”, guardano a essa da due diversi, eppure complementari, punti di vista: il primo si focalizza sulle opere stesse e sulla loro potenziale influenza sull’arte oggi, mentre l’ultimo la studia come un momento fondamentale nella storia delle esposizioni. Per Celant, è proprio grazie a Szeemann che “il curatore ritrova una propria dignità creativa”. Considerata la (molto) prominente posizione assunta oggi dal curatore nello scenario artistico contemporaneo, non ci sono dubbi che il suo messaggio sia stato recepito.